Zanetti: “Sono stato vicino al Real Madrid. Lautaro è un punto fermo, avrei voluto giocare con lui”

Il vicepresidente dell'Inter torna a parlare di Lautaro Martinez e del club nerazzurro

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IL VICEPRESIDENTE DELL’INTER JAVIER ZANETTI SUONA LA CARICA ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Zanetti a tutto tondo: a “Passa dal BSMT” di Gianluca Gazzoli, il vicepresidente nerazzurro ha raccontato tanto di sé e della sua storia con l’Inter. Ecco alcuni estratti.

Zanetti: “Lautaro era fatta con l’Atletico…poi l’abbiamo preso in due notti! Il triplete? Rimarrà eterno”

Le sue parole sul possibile passaggio al Real Madrid: “Mi è capitato di avere offerte importanti in Europa, ma ho sempre messo per ultimo sulla bilancia il lato economico. Io mi trovo in questo posto qui, perché qui. L’Inter per me era sempre la mia priorità. Con il Real Madrid siamo stati molto vicini. Però ripeto, anche nel momento che mi fece questa proposta era un momento difficile per l’Inter. Io non potevo, volevo lasciare un segno all’Inter. Non potevo andarmene come se niente fosse”.

Qual era la squadra che non vedevi l’ora di affrontare? “Il derby e la partita con la Juve sono le più sentite, anche per ragioni di storia. Viene dalla nascita. Giocare quel tipo di partite creava qualcosa di speciale. Ma ho avuto sempre grandissimo rispetto. Affrontare Paolo Maldini, al di là della rivalità, una cosa bella perché affrontavi un grandissimo campione dentro e fuori dal campo. Anche oggi quando ci troviamo fuori ci abbracciamo, c’è grande rispetto. Anche con Alex (Del Piero, ndr), con Totti e Buffon. Anche se non ti vedi da tanto tempo ti abbracci, perché il calcio unisce”.

Il Triplete rimarrà eterno? “Sì, rimarrà eterno. Fa parte di una delle più importanti pagine della storia del club, siamo fino adesso l’unica squadra italiana ad averla fatta. E per noi…ricordo la nostra curva a Madrid: ‘Coroniamo il sogno’. Era coronare un sogno. E Mourinho anche lo abbiamo vissuto in quella maniera lì. Un’annata indimenticabile per tutti noi”.

Hai sentito in un preciso momento che potesse accadere? “Lo sentivo. Quella Champions lì è stata complicata per noi. Nella fase di gruppo andiamo a giocare a Kiev e dopo il primo tempo perdevamo 1-0, eravamo fuori dalla Champions. A un certo punto però tu senti che quella squadra aveva qualcosa in più. Perché Mourinho dice nell’intervallo: ‘Ragazzi, siamo fuori. Io rischio: tolgo due difensori e metto due attaccanti. O vinciamo o siamo fuori’. Riusciamo a vincere all’ultimo minuto 2-1 e lì è stato il primo segnale che quella squadra poteva fare qualcosa di importante. Poi tutti si ricordano la partita col Barcellona, prima a Milano vinta 3-1 meritatamente, poi siamo andati là. La famoso remuntada che loro speravano, secondo me quella era la squadra migliore perché era fatta da grandi campioni. Stiamo parlando di Messi, Iniesta, Xavi. Lì è stato uno spirito di squadra, dove rimaniamo in dieci dopo 20 minuti per l’espulsione di Thiago Motta. Lì è stata una unione di gruppo e di voler a tutti i costi l’obiettivo e la finale. Dobbiamo resistere e ci è andata bene”.

E il rapporto con Mourinho? “Bellissimo. Lui è riuscito a creare una famiglia, oltre ad avere grandi campioni, tutti avevano grande personalità e avevano grande voglia di fare questa cosa per l’Inter. Penso che per noi rimarrà indimenticabile, una cosa unica”.

Chi era più difficile da gestire in spogliatoio? “Quando fai parte di un gruppo così grande e devi guidare tante personalità è difficile. Ibra aveva un carattere duro, ma quando parlavi con lui subito ti mettevi d’accordo. Aveva la sua personalità però capiva tantissime cose e con Mario Balotelli, che in quel momento era giovane ed è un talento unico…ci sono stati dei momenti di difficoltà. Dico sempre che quando si parla la soluzione si trova. Bisogna parlare, se c’è un problema bisogna parlarne subito. Non lasciar passare il tempo che poi diventi più grande. Poi tutti i ragazzi capivano che bisognava andare in quella direzione”.

Ti è capitato di litigare con qualcuno? “Sì, succede. Ed è giusto che sia anche così, perché magari ci sono persone che non la pensano come te ed è giusto che tirino fuori il loro pensiero. Poi ci confrontiamo, parliamo, però sempre dicevo che non è un problema tra me e te. Dobbiamo pensare al bene del gruppo”.

Quando è arrivato Ronaldo? “Fenomeno. Con noi arriva dal Barcellona, il suo miglior momento. Era imprendibile. Una potenza, dribbling, una freddezza davanti al portiere unica. Ogni volta che partiva era impossibile: o gli facevi fallo o non lo fermavi mai. Poi sempre un ragazzo solare, divertente, per il gruppo era molto positivo”.

Sai quante partite hai giocato all’Inter? “858. Tanti chilometri, davvero (ride, ndr)”.

Qual è la caratteristica che ti ha aiutato di più? “Tecnica, forza mentale e il fisico mi ha aiutato tanto. Ero uno che, giocando domenica, mercoledì recuperavo abbastanza veloce. Allora questo mi ha permesso di giocare con grande continuità. Poi avere un infortunio grave a fine carriera mi ha aiutato tantissimo. E grande dedizione al lavoro, prima durante e dopo gli allenamenti”.

Con chi avresti voluto giocare tra i giocatori di oggi? “Io vedo l’Inter come sta giocando e vorrei giocare con tutti loro, sono tutti forti. Con Lauti che è argentino sarebbe stato bello. C’è un rapporto bello perché tutto inizia quando l’abbiamo comprato”.

L’arrivo di Lautaro all’Inter: “Quando abbiamo preso Lautaro, lui era al 90% dell’Atletico, io conoscevo uno dei procuratori. Io parlo con Ausilio e lui mi dice peccato, perché erano molto avanti. Poi mi chiama questo amico dopo due settimane e mi chiede di parlare con noi. In due notti abbiamo chiuso per Lautaro, mancava l’accordo col Racing. Io avevo un grande rapporto perché c’era Milito, gli ho detto che sarebbe arrivato Ausilio per chiudere e loro lo aspettavano. Ausilio in Argentina chiude, con Lautaro avevamo chiuso, lui aveva 20 anni e pensavamo al futuro dunque, in 3 o 4 anni, non nell’immediato. Devi avere una visione al percorso a 360° e ricordo una sua partita in cui fece tripletta e lui a 20 anni dopo disse di essere contento dei 3 gol, ma non della prestazione, perché per lui non aveva giocato bene. Vedevamo questo Lautaro di ora, che cresce di anno in anno. È un punto fermo e siamo felicissimi. C’era questa empatia, rispetto, la voglia anche da parte sua. È un ragazzo umile, ascolta, si vuole migliorare e i risultati arrivano poi. Lautaro è il nostro capitano, un punto fermo, ha senso di appartenenza e siamo felicissimi. Oggi diventa molto più complicato, le nuove generazioni vogliono tutto subito, invece ci vuole un percorso. Per ottenere serve sacrificio, non è tutto dovuto. Bisogna lavorare, parlo anche da papà e cerco di trasmetterlo ai miei figli”.