Da “Lotito chi?” alla carica di Senatore della Repubblica
Vent’anni, quattro lustri, un quinto di secolo; se in altri settori imprenditoriali, sociali e politici rappresentano comunque un periodo molto lungo, nel mondo del calcio contano quasi come un’era geologica, specie da quando fondi, imprenditori stranieri e perfino emanazioni più o meno dirette di alcuni Stati sono entrati con prepotenza nelle stanze dei bottoni dei maggiori club, con conseguenti e repentini cambi di proprietà o controllo a livello finanziario. In Italia dopo la scomparsa di Berlusconi e la “resa” di Moratti, resiste soltanto la famiglia Agnelli, al timone della Juventus da oltre un secolo, ma nessuno può vantare un ventennio di presidenza in solitaria come lui, dal 19 luglio 2004 indiscusso “padre e padrone” della Società Sportiva Lazio, la più antica società calcistica della Capitale. Lui, ovviamente, è Claudio Lotito, entrato “alla chetichella” e da perfetto sconosciuto nel mondo del calcio e da alcuni mesi arrivato anche alla carica di Senatore della Repubblica Italiana.
Fatti e misfatti del presidente più avversato dai suoi stessi tifosi
Dalle corse in motorino (del suo avvocato di fiducia Gentile) per depositare i verbali in Tribunale, all’auto blu con tanto di scorta, dal bagno di folla per l’arrivo a Formello di Di Canio conseguente al salvataggio della società dal fallimento, ai tifosi inferociti fuori le mura di Villa San Sebastiano, dai latinismi al romanesco, dagli indici puntati contro gli “untori” a quello di liquidità che appesantisce i bilanci; tutto questo, e molto altro, rappresenta soltanto la punta dell’iceberg della sua presidenza, ricca di colpi di scena, di cadute e brutte figure ma anche di vittorie e acquisti a sorpresa, di allenatori “inventati”, di fax malfunzionanti e fusi orari sballati, di iperboli e metafore, di geniali intuizioni e tremende cadute di stile.
Che ci sappia fare con le cifre non lo contesterebbe nemmeno il più agguerrito dei suoi avversari; che sia altrettanto illuminato a livello empatico non lo sosterrebbero probabilmente neanche i suoi amici e collaboratori più stretti; da un lato si muove con finezza e precisione chirurgica, dall’altro è peggio di un pachiderma nel classico negozio di cristalli. Il dubbio è che a volte lo faccia persino apposta a frantumare tradizioni e a spezzare senza remore legami consolidati e sentimentalmente profondi; il suo “cacciare i mercanti dal tempio” ha coinvolto a fasi alterne tutti i livelli del Mondo Lazio; dai tifosi agli ex dirigenti, dalle vecchie glorie ai nuovi eroi, salvo poi recuperarne le gesta ed i valori con iniziative che toccano le corde più recondite perfino dei suoi detrattori.
Lotito passerà infatti alla storia per le battaglie feroci con gli Irriducibili a colpi di comunicati e denunce, per le sue definizioni infelici e addirittura offensive nei confronti della stessa Storia biancoceleste, ma anche per aver portato il simbolo più amato dai tifosi a sorvolare maestosamente sulle loro teste prima di ogni gara casalinga; sarà ricordato come il presidente dei “15 acquisti di cui 9 in un giorno”, dei carneadi approdati a Formello, presentati come grandi calciatori e poi dimenticati in un angolo, ma anche per aver portato a Roma Miro Klose e Lucas Leiva, Milinkovic, Anderson e Ciro Immobile; per il mancato arrivo in panchina di Bielsa e per il rapporto altalenante con Sarri, ma pure per il lancio di Simone Inzaghi e la “trovata” Petkovic, che portò in dote la Coppa Italia più amata dell’ormai ultra centenaria avventura laziale.
Lotito, un presidente che divide e impera
O con lui o contro di lui; sin da subito, o quasi, ha spaccato in due l’universo biancoceleste. Difficile se non impossibile stare nel mezzo. I risultati parlerebbero a suo favore; dati alla mano soltanto la Lazio di Cragnotti è stata in grado di reggere così a lungo a certi livelli, restando quasi sempre nella ristretta cerchia delle “grandi” del calcio italiano, ma l’amore per i colori, per la maglia, per gli idoli pro tempore, una volta elementi cardine di un tutt’uno indivisibile e intoccabile, da quando lui è sulla tolda di comando sono stati sempre offuscati, annacquati e messi in secondo piano da un senso d’impotenza, da un fastidio strisciante non tollerabile e quasi inspiegabile a chi le vicende di casa Lazio non le viva in prima persona e sulla propria pelle, ma le osservi soltanto da lontano, con quella freddezza e quel distacco che rendono certo più obbiettivi per ciò che concerne l’aspetto puramente sportivo ma del tutto inconsapevoli, o quasi, in merito alla sfera emotiva, vero carburante della tifoseria e bene dal valore inestimabile ed irrinunciabile per una compagine calcistica che abbia una tradizione e una storia così lunga e ricca di vicende, anche e soprattutto umane, come la Lazio.
Ecco perché ci riesce difficile dare un giudizio secco sul presidente e sul suo operato in questo ventennio; troppi i rivoli in cui si divide la sua storia, vissuta parallelamente a quella della Società in questo lungo e tormentato periodo.
Forse a volerla dire con le sue stesse parole, per ricompattare l’ambiente una volta per tutte, affinché ogni tifoso possa tornare a vivere la Lazio come un tempo, sentendola propria e non in mani estranee, basterebbe applicare al meglio la sua filosofia, espressa attraverso il famoso slogan carpito alla pubblicità di una nota agenzia immobiliare, continuando certamente a perseguire il raggiungimento di tante solide realtà ma restituendo al pubblico biancoceleste anche la facoltà di sognare.