Totonero, son passati già 40 anni
La stagione calcistica 1979/1980 vide l’Inter vincere il suo dodicesimo scudetto e la Roma la sua terza Coppa Italia, mentre il miglior piazzamento europeo di una nostra squadra fu nella semifinale di Coppa delle Coppe raggiunta dalla Juventus. Nella stagione successiva, i nerazzurri avrebbero rappresentato il nostro Paese in Coppa dei Campioni, la Roma in Coppa delle Coppe mentre Juventus e Torino (seconda e terza classificata) avrebbero giocato in Coppa UEFA. Quella fu l’ultima stagione dove le squadre italiane non poterono tesserare giocatori stranieri.
Nella stagione 1979/1980 ebbe però un ruolo importate Massimo Cruciani.
Il nome “Massimo Cruciani” a chi non segue il calcio non dice nulla: non era un giocatore, non era un allenatore, non era un addetto ai lavori. Cruciani era un tifoso ed un amante del calcio. Come lui, tanti in Italia. Eppure la figura di Massimo Cruciani, come detto, quella stagione ebbe un ruolo importantissimo. Dobbiamo riavvolgere il nastro della storia fino al 1° marzo 1980, quando il signor Cruciani si recò presso la Procura della Repubblica di Roma a fare un esposto.
Perché interessarsi delle vicende private del signor Cruciani? La cosa è doverosa perché il suo gesto era rivolto contro il mondo del calcio: il calcio aveva ridotto sul lastrico il signor Cruciani, di professione venditore all’ingrosso di frutta e verdura nella Capitale, per una serie di scommesse su alcune partite di calcio.
E perché Cruciani, pur sapendo di aver commesso un reato (nel 1980 era illegale scommettere sulle partite di calcio, se non tramite il Totocalcio), si recò in Procura quel giorno? Non tanto per ammettere la sua colpevolezza, ma per dire che era finito sul lastrico per colpa di alcuni giocatori di Serie A. Aveva scommesso oltre 160 milioni di lire di allora (pari oggi a 390mila euro), e non aveva ricevuto il ben che minimo “compenso”. Alla fine decise di vuotare il sacco. Come dire: muoia Sansone con tutti i filistei.
Cruciani, allora 32 anni, aveva il vizio delle scommesse e grazie ad un suo cliente, Alvaro Trinca, titolare di un ristorante nel centro di Roma frequentato da diversi calciatori, entrò in contatto con alcuni di essi. E i contatti non erano solo chiacchiere o autografi: questi gli avevano paventato la possibilità di concordare preventivamente i risultati delle partite con altri colleghi compiacenti, puntando tanti soldi nel mercato nero delle scommesse e alla fine tutti ne avrebbero tratto vantaggio. Per uno che aveva il vizio del gioco come Cruciani, quella fu la svolta. O doveva esserlo.
Cruciani e lo stesso Trinca scoprirono un Mondo: giocatori di calcio che ricevevano milioni di lire che sarebbero finiti ad altri giocatori e dirigenti per raddrizzare alcune partite. Un vero e proprio mercimonio.
Solo che il costo era molto, molto elevato. Cifre davvero notevoli. Non tutte le scommesse andarono a buon fine e Cruciani nonostante gli fu promesso che sarebbe stato “rimborsato” delle spese non ricevette mai nulla dai giocatori. Punta oggi, punta domani e alla fine i debitori divennero invadenti e lui decise di vuotare il sacco perché la sua situazione economica era diventata insostenibile.
Il 1° marzo 1980 Cruciani, quindi, si liberò di un peso, ma ciò che avvenne la successiva domenica 23 marzo ebbe un risvolto clamoroso: al termine delle partite della (allora) 24a giornata di campionato (la 27a giornata in Serie B), in alcuni stadi italiani, arrivarono direttamente dentro i campi da gioco macchine e furgoncini delle forze dell’ordine. Motivo? Arrestare alcuni calciatori. Gli stadi in questione furono quelli di Pescara (Pescara-Lazio), Milano (Milan Torino), Roma (Roma Perugia), Avellino (Avellino-Cagliari), Genova (Genoa-Como) e Palermo (Palermo-Atalanta). Gli ultimi due, di Serie B.
La notizia dell’ingresso delle forze dell’ordine dentro gli stadi venne prima comunicata in via radiofonica e poi in via televisiva durante il celebre programma “90° minuto” condotto da Paolo Valenti.
L’opinione pubblica rimase incredula nel vedere quelle immagini: gli idoli di una Nazione che viveva (sportivamente) di calcio arrestati come comuni delinquenti. Nel giro di pochi giorni poi fu scoperchiato un calderone immenso e prese il via l’inchiesta passata agli annali (giornalistici e non) come “Totonero”, un Totocalcio torbido e nascosto, visto che allora il solo Totocalcio era l’unico modo legale di scommettere sui risultati delle partite di calcio.
Vennero tratti in arresto tredici giocatori tra squadre di Serie A e Serie B: i laziali Massimo Cacciatori, Bruno Giordano, Lionello Manfredonia e Giuseppe Wilson; l’avellinese Stefano Pellegrini; i milanisti Enrico Albertosi e Giorgio Morini; i perugini Gianfranco Casarsa, Mauro della Martira e Luciano Zecchini; il genoano Sergio Girardi; il leccese Claudio Merlo; il palermitano Guido Magherini. Ricevettero mandato di comparizione davanti ai giudici romani anche Paolo Rossi (Perugia), Giuseppe Dossena (Bologna), Giuseppe Savoldi (Bologna) e Oscar Damiani, allora in forza al Napoli.
Furono coinvolte in tutto anche tredici squadre: otto di Serie A (Avellino, Bologna, Juventus, Lazio, Milan, Napoli, Perugia e Pescara) e cinque di Serie B (Genoa, Lecce, Palermo, Pistoiese e Taranto). Le indagini non coinvolsero squadre di Serie C.
L’inchiesta partì a quasi tre mesi dall’inizio dei Campionati europei di calcio che si sarebbero tenuti in Italia: un danno d’immagine incredibile, tanto che Artemio Franchi, allora presidente della FIGC e della UEFA, organizzatrice dell’evento calcistico, si dimise. L’Italia era su tutti i giornali.
Le partite nell’occhio del ciclone furono Milan-Lazio (2-1), Avellino-Perugia (2-2), Bologna-Juventus (1-1), Lazio-Avellino (1-1), Bologna-Avellino (1-0), Milan-Napoli (1-2) e Pescara-Fiorentina (1-2).
Il 14 maggio iniziò il processo della giustizia sportiva, il 13 giugno quello della giustizia ordinaria. Ed il processo si svolse durante gli Europei con la risposta negativa del pubblico che disertò i quattro stadi della manifestazione (“Olimpico” di Roma, “Meazza” di Milano, “Comunale” di Torino, “San Paolo” di Napoli), non guardando neanche le partite alla televisione. Era troppo il disgusto per tutto ciò che stavano sentendo tra tv, radio e giornali.
Dalle prime indagini e dal processo si scoprì che vi era un sistema collaudato di scommesse clandestine sui risultati delle partite, con giocatori e dirigenti coinvolti.
Succedeva questo: i giocatori si accordavano con altri colleghi per “sistemare” la partita, Cruciani aveva l’ok da alcuni di questi, vi puntava milioni e alla fine tutti avrebbe “beneficiato” della somma incassata. Peccato che tante volte ciò che fu scommesso non fu poi l’esito finale della partita con conseguenti milioni non incassati da parte di Cruciani.
Il Pescara uscì subito dalle indagini, mentre Genoa, Juventus, Napoli, Lecce e Pistoiese furono assolte su richiesta del Procuratore federale.
In base alla sentenza di primo grado della giustizia sportiva, nella stagione 1980/1981, il Milan avrebbe giocato in Serie B poiché retrocesso e furono comminati cinque punti di penalità in classifica ad Avellino, Bologna, Perugia e Lazio. Per il presidente del Milan Felice Colombo fu chiesta la radiazione mentre per quello del Bologna, Tommaso Fabbretti, un anno di squalifica. Durante le indagini, furono coinvolti altri giocatori.
Per i calciatori, sentenze shock: radiazione per Albertosi, Cacciatori e Wilson; sei anni di squalifica a Pellegrini; cinque anni a della Martira; tre anni e mezzo a Petrini e Savoldi; tre anni a Paolo Rossi e Zecchini; un anno e mezzo a Giordano, Manfredonia, Magherini e Merlo; un anno e due mesi a Cordova; un anno a Negrisolo e Massimelli; dieci mesi a Morini: sei mesi a Chiodi; quattro mesi a Damiani e Montesi; tre mesi a Colomba. Furono assolti Agostinelli, Antognoni, Claudio Pellegrini, Brignani e furono assolte Juventus, Napoli, Pescara, Genoa, Lecce, Palermo, Pistoiese e Taranto.
La notizia della radiazione di Albertosi (insieme a Zoff, il portiere più vincente della storia del calcio italiano) e Wilson (capitano della Lazio scudettata nel 1974) lasciò tutti sgomenti. Per non parlare di Bruno Giordano e Paolo Rossi, allora attaccanti titolari della Nazionale italiana che non furono convocati da Bearzot per Euro ’80.
Il 25 luglio 1980 ci fu la sentenza della CAF, definitiva ed inoppugnabile: retrocessioni in Serie B per Milan e Lazio. Per i capitolini ritorno in cadetteria (anche se forzato) distanza di otto stagioni dall’ultima volta, mentre il Milan mai era stato retrocesso in serie cadetta nei suoi (allora) 81 anni di storia.
Se furono confermate le pene per Colombo e Fabbretti, i calciatori coinvolti ebbero pene inasprite o diminuite: Cacciatori prese cinque anni, Albertosi quattro anni; Giordano, Magherini e Manfredonia tre anni e mezzo; Wilson e Massimelli tre anni, Paolo Rossi due anni; un anno Merlo; cinque mesi Negrosolo, tre mesi Damiani. Furono confermate le pene di Pellegrini, della Martira, Petrini, Savoldi, Zecchini, Cordova, Morini e Chiodi, Colomba, Montesi. Assolto Brignani.
In Serie A ebbero punti di penalità da scontare nel successivo campionato Avellino, Bologna e Perugia, mentre in Serie B furono penalizzate di cinque punti in classifica da scontare nel successivo campionato Palermo e Taranto mentre Genoa, Lecce e Pistoiese furono assolte.
Alla fine del successivo campionato, Avellino e Bologna si salvarono in Serie A ed il Palermo in Serie B, mentre retrocedettero in cadetteria il Perugia ed in Serie C il Taranto (salvo senza la penalità). Il Milan fu promosso in Serie A mentre la Lazio si piazzò quarta e tornò in Serie A solo nella stagione 1983/1984.
Per molti calciatori, le squalifiche furono la fine della loro carriera agonistica anche se alcuni tornarono in campo dopo la squalifica (ad esempio Bruno Giordano giocò ancora tre stagioni nella Lazio, chiudendo la carriera nel 1992 dopo aver vinto con il Napoli scudetto e Coppa Italia nel 1987).
Il caso più incredibile fu quello di Paolo Rossi. Squalificato per due anni, tornò in campo il 29 aprile 1982 e fu impiegato da Giovanni Trapattoni nelle ultime tre giornate di campionato, non risultando decisivo (se non per una rete) essendo stato lontano dai campi da calcio per troppo tempo. Il Commissario tecnico azzurro Enzo Bearzot decise ugualmente di convocarlo per i Mondiali di Spagna 1982. La sua convocazione fu vista di cattivo occhio da tutti, in quanto si preferì dare spazio ad un giocatore non lontano dalla forma migliore, ma anche coinvolto nello scandalo del “Totonero” invece di convocare il vincitore delle ultime due classifiche marcatori di Serie A (nonché uno degli attaccanti più forti del tempo), il romanista Roberto Pruzzo e l’interista Evaristo Beccalossi.
Dopo tre partite negative della prima fase a gironi contro Polonia, Perù e Camerun (e conseguenti polemiche nei suoi confronti), Rossi trascinò l’Italia in finale e alla vittoria del terzo titolo mondiale con la vittoria della classifica marcatori del torneo con sei reti (tra cui la celebre tripletta al Brasile). E a dicembre, Rossi (tra il 1977 ed il 1980, autore di ben gol cinquantasette gol con le maglie di L.R. Vicenza e Perugia e sette in Nazionale), vinse il Pallone d’oro, secondo italiano a riuscirci dai tempi di Gianni Rivera.
Grazie alla vittoria del Mondiale, la Federcalcio italiana fece una amnistia, condonando a tutti gli imputati del “Totonero” non radiati le pene rimanenti, potendo così tornare a giocare subito. Una sorta di colpo di spugna a cancellare i “peccati” del passato, grazie (indirettamente) ad un calciatore coinvolto nell’inchiesta.
Il “Totonero” tra poche settimane compirà quarant’anni ed è stato uno scandalo che colpì nel profondo le coscienze del calcio e dei tifosi. Quei tifosi che seguivano con passione e tifo le gesta dei loro idoli e che seguivano le partite o dal vivo o attraverso i media di allora. Fu una macchia su un Paese che stava per uscire dai tormentati anni Settanta e che si stava però addentrando negli anni Ottanta, una decade che riserverà tante gioie alle squadre nostrane in campionato, in Europa e nel Mondo.
Come se non bastasse, negli anni successivi il calcio italiano fu ancora colpito da scandali (“Totonero 2” del 1986, il “caso Genoa” del 2005, “Calciopoli” del 2006, “Scommessopoli” del 2011) come se ciò che avvenne nella primavera del 1980 non fu da monito per nessuno. Ma l’onta rimarrà sempre, volenti o nolenti. Per fortuna o purtroppo.
E chissà se Massimo Cruciani da allora ha mai più scommesso nel calcio.