“Chi non vuole contatti, vada a giocare a tennis”. Parole affilate, dense di grinta e cattiveria sportiva. Parole di Felipe Melo, il nuovo guerriero dell’Inter, immagine perfetta del nuovo corso che vede i nerazzurri primi in classifica a punteggio pieno. Immagine perfetta perché in Felipe Melo c’è l’esatto dna che Roberto Mancini vuole nella sua Inter: cuore, grinta, non mollare mai. E Felipe Melo risponde piccato a chi gli chiede quante partite giocherà quest’anno: “Sono cambiato, sono maturato” è la sua risposta a chi gli ricorda quella eccessiva tendenza a rossi e doppi gialli. Questione di stile, verrebbe da dire.
Di visione del gioco del calcio. Da una parte c’è la squadra più forte del mondo – forse della storia -, quel Barcellona che vince e stravince giocando bene a calcio. Certo, la “garra” di Suarez là davanti non fa male, ma la spina dorsale blaugrana è fatta di tocchi di prima, passaggi deliziosi, tecnica sopraffina, Iniesta, Messi, Neymar. Una filosofia unica in un calcio sempre più fisico e battagliero. Una filosofia che si incarna in un calciatore come Pirlo, forse non eccellente in fase di interdizione ma capace di centrare una scatoletta di tonno con un lancio lungo di ottanta metri. Nel calcio moderno, a dire il vero, vince chi sa mixare al meglio qualità e quantità e gli esempi non mancano: Ibrahimovic e Zidane, per capirci, sono esempi di fenomeni tecnicamente dotatissimi ma contemporaneamente difficili da buttare giù con una spallata.
Ma stiamo parlando, appunto, di fenomeni: necessari per vincere ma non sufficienti. Perché in campo servono anche i guerrieri, quelli che si mettono al servizio dei fenomeni, coprono loro le spalle e si impadroniscono delle partite per manifesta superiorità fisica. Osvaldo Bagnoli, ripensando al suo Verona dei miracoli, ha definito Hans-Peter Briegel: “un giocatore fondamentale perché era un armadio, era enorme e faceva paura a chi gli si metteva di fronte”. Come all’oratorio, insomma, quando si vuole sempre avere con sé in squadra quello più grosso perché è rassicurante. I riferimenti ad altri sport non sono una novità: se Melo ha invitato le “signorine” a darsi al tennis, Veron e Montero avevano evocato la pallavolo come alternativa salutare per quelli che hanno paura dei tacchetti alti. In Inghilterra – vera e propria patria del tackle duro – i mastini pronti a tutto sono un must: Roy Keane è il capo, Thomas Gravesen con la sua faccia truce era andato perfino al Real Madrid, Jaap Stamp ha messo paura a tutti prima di imporsi anche in Italia, Vinnie Jones grazie alla sua fama di duro è diventato addirittura un attore – “The Snatch”, ricordate? -, lo stesso ”Ringhio” Gattuso ha trovato la sua dimensione di giovanissimo gladiatore a Glasgow, sponda Rangers.
Ma anche fuori dalla Gran Bretagna l’elenco è lungo: Edgar Davids, Simeone fino ai nostrani Materazzi, Pasquale Bruno e Sebino Nela detto “l’Incredibile Hulk”. Giocatori che, insomma, è meglio avere come compagni di squadra che come avversari. Perché nel calcio il fioretto è poesia, ma la spada deve essere sempre pronta ad essere sguainata, perché su certi campi di complimenti se ne fanno davvero pochi.