Che succede al Pep?

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Guardiola

GLI ILLUSORI SUCCESSI DI INIZIO STAGIONE SONO UN PALLIDO RICORDO, COSI’ COME L’EXPLOIT SUL BARCELLONA. PER IL CITY E’ GIUNTO IL MOMENTO DELLA VERITA’: SONO PRONTI PER VINCERE O NO?

Quando è approdato sul suolo della perfida Albione, il Pep Guardiola, guardando la scarna – rispetto a Barça e Bayern – bacheca dei trofei del Manchester City, avrà subito pensato che per lui si sarebbe trattato della sfida più difficile della sua carriera.
I soliti critici, che hanno in antipatia chi vince quasi per contratto, hanno subito sentenziato che con quel parco giocatori lì, buono ma non all’altezza dei due sopracitati club, vincere sarebbe stato davvero un’impresa. E ancor più il trasmettere il suo “verbo”.

Chi si sarebbe adattato, lui alla sua squadra o viceversa? Ci sarebbe stato un punto d’incontro fra le parti? E quanto avrebbero metabolizzato i suoi giocatori i nuovi dettami del gioco? Gli interrogativi si sono sprecati nell’ultima estate, fermo restando che in Baviera, dove Guardiola era atteso al varco, ha saputo dare una nuova connotazione identitaria al club. Da Ancelotti in avanti, i futuri tecnici del Bayern avranno lui come Pigmalione.

Un po’ come Cruyff per il “vate di Santpedor”, che di fatto, e queste sono parole sue, gli ha insegnato la natura pura e semplice del calcio. Il Barcellona, da quarant’anni e passa fino ad oggi, è stato un continuo tramandarsi la tradizione del “fùtbol totàl”, perpetuatasi fino ai giorni nostri, seppur evolvendosi seguendo i tempi, ma mantenendo la stessa anima.

Il Manchester City, invece, al di là dei soliti clichè del calcio d’Oltremanica, non ha un’identità identificatoria precisa, come i suoi concittadini dello United. Le recenti vittorie in Premier hanno rappresentato piuttosto la nuova cannibalizzazione del calcio che i nuovi magnati stanno apportando allo sport più popolare al mondo. Due successi isolati, fortunosi anche per demeriti altrui, ma senza un fil rouge che li unisca. Per non parlare degli scarsi risultati nelle coppe europee, dato molto attendibile sullo status di una squadra, o meglio di un progetto, fin qui poco coinvincente.

L’inizio è stato illusorio, con 9 vittorie consecutive in altrettanti impegni, fra Premier e Champions; ma, se escludiamo il blitz dell’Old Trafford – contro un Mourinho alle prese con enormi problemi di assemblaggio – gli avversari non facevano tremare i polsi. Il secco 2-0 rimediato a White Hart Lane contro il Tottenham di Pochettino, ha mostrato le prime falle. Nelle successive 10 partite di Premier, il City ne ha vinte solo 4, delle quali l’ultima contro il Watford. In compenso, dopo quella contro gli Spurs, ha subìto due autentiche lezioni di calcio da Conte e Ranieri, che con Chelsea e Leicester hanno maramaldeggiato contro la fragile difesa dei Citizens.

Il punto è questo, ovvero che a livello di mercato, Beguiristain ha operato male, mantenendo invariato di fatto un reparto da sempre lacunoso. In più certi esperimenti di Guardiola (Clichy centrale? Per favore…) hanno ulteriormente creato confusione. Senza contare che, dopo l’inizio da urlo, la squadra ha perso quel piacere di giocare che aveva mostrato più volte durante il periodo autunnale, con un De Bruyne semplicemente immarcabile.

Sembra, inoltre, che la squadra stia patendo una sorta di indigestione, come se gli insegnamenti del tecnico non fossero stati assimilati del tutto. E questo spiega come, nelle ultime uscite, la squadra abbia faticato non solo a difendersi, ma anche a creare gioco, sembrando quasi bloccata cerebralmente.

In più pare ora che il demone dell’insicurezza abbia preso possesso dei garretti dei giocatori di Guardiola, e questo, alla vigilia di un finale di 2016 forse decisivo, non è un buon segnale. Già domenica verrà all’Etihad un Arsenal pronto a riscattare il capitombolo contro l’Everton, e , prima dei botti di Capodanno, un altro scontro diretto, ad Anfield. Da queste due partite capiremo con quali prospettive il City affronterà il girone di ritorno di una Premier che le sta scivolando di mano.