Scommesse, il fallimento del Decreto Dignità

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Decreto Dignità? Un flop…

Il fenomeno scommesse è all’ordine del giorno, nei mesi scorsi si è parlato molto del Decreto Dignità, nato per arginare il problema ludopatia, i dati parlano di fallimento.

A spiegarlo, Andrea Alemanno, docente dell’Università Bicocca di Milano e portavoce di Ipsos Italia in materia di sostenibilità, come riporta gazzetta.it:

Professore, il Decreto vieta la pubblicità al gioco d’azzardo, ma quei siti di news che formalmente danno risultati contengono nel nome un riferimento ad altri siti di scommesse online. “Uno degli obiettivi del Decreto era ridurre la propensione al gioco e ridimensionare il gioco eccessivo. Ma perseguire il fine solo con un divieto di comunicazione è risultato alla fine velleitario. La pecca del decreto è che avendo limitato tantissimo la possibilità di comunicazione a chi pratica gioco legale, ha anche indirettamente limitato la possibilità di far capire bene che c’è un gioco legale e un gioco illegale. Essendosi ridotto il contrasto al mercato illegale proprio per mancanza di comunicazione, oggi abbiamo 4,4 milioni di giocatori in canali illegali, ovvero il 17% su 21 milioni di scommettitori. Ed essendo il fatturato dell’illegale di 1,9 miliardi, se le giocate fossero state fatte in ambito legale, lo Stato avrebbe incassato un miliardo. Come tutti i decreti su un tema così complesso, anche questo andava aggiornato analizzandone gli effetti”.

Un altro canale è costituito dagli spazi dedicati ai siti di scommesse in tv: solo pubblicità?
“Le quote sono un argomento che fa notizia, serve pure agli opinionisti. Forma di comunicazione che spesso porta al gioco chi è già propenso al farlo: è indirettamente un modo per fare pubblicità, ma non è solo pubblicità”.

Essendosi ridotto il contrasto al mercato illegale per mancanza di comunicazione, oggi abbiamo 4,4 milioni di giocatori in canali illegali

Le società di calcio, proprio in forza del decreto, hanno perso importanti sponsorizzazioni.
“Si profila un danno, è certo, ma dipende da come si reagisce. È già successo con la Formula 1 per la pubblicità delle sigarette e in quel caso si trovarono altre forme di introito. L’aspetto che preoccupa di più è che forse non si sia generato, a valle del decreto, un dibattito culturale sul tema”.

Nel momento in cui vende i diritti, la Lega potrebbe inserire una clausola sugli spot?
“Sì, ma non so che effetto potrebbe avere. È un soggetto privato e i suoi interessi potrebbero anche non coincidere con gli interessi degli altri soggetti della filiera e quelli dello Stato”.

Il ministro Abodi ha annunciato di voler superare il decreto: qual è la soluzione più efficace?
“Nel momento in cui lo Stato vuole farsi carico dei danni provocati dal gioco eccessivo e illegale, deve imporre loghi chiari per identificare se il sito è legale o no e strumenti di controllo pubblico, ad esempio incrociando i dati dei conti di gioco e reprimendo i siti illegali, sviluppando pure strumenti di autocontrollo per i giocatori. In Italia giocano in 21 milioni, il gioco è una grande industria dell’intrattenimento. E per affrontare i problemi occorrerebbe coinvolgere tutti i player: dai consumatori all’Agenzia delle Entrate. Sarebbe utile arrivare ad un codice di autodisciplina”.

Anche i calciatori milionari sono soggetti vulnerabili?
“Il problema è che giocano troppo due categorie distinte di persone: chi ha bisogno di soldi e spera di cambiare la propria vita, e chi ama molto il rischio e lo cerca a prescindere. Giocano eccessivamente online soprattutto persone di classe sociale agiata, nelle quali troviamo di certo i calciatori, che possono sopportare grandi perdite. Condivido le dichiarazioni sul tema di Aldo Serena. Sono ragazzi che rischiano di vivere in una bolla isolata dalla realtà: nessuno delle loro famiglie ha avuto a quell’età tutti quei soldi. Solo una maggiore vigilanza sul singolo può aiutare”.

La pandemia sembrava aver alimentato le dipendenze da gioco, oggi qual è il disagio?
“Il gioco è un bene come tutti gli altri, nei momenti di crisi viene ridotto. Però su alcuni soggetti marginali la situazione economica potrebbe favorire il gioco eccessivo. Inoltre, ci sono persone che, anche grazie alla tecnologia, si chiudono in una cerchia che adotta comportamenti simili, come credo sia il caso dei calciatori coinvolti nell’inchiesta”.