Rugby Mbandà all’agenzia di stampa La Presse
“Vedere la gente guarire è stato come segnare una meta”. Con la voce sbuffante mentre si allena Maxime Mbandà, azzurro della nazionale di rugby e flanker delle Zebre, racconta in esclusiva a LaPresse il mese e più passato ad aiutare i malati di Covid-19 come volontario della Croce Gialla. Studente di scienze motorie all’università ha appena sostenuto un esame in tecnica e teorie di sport di squadra. “Ho preso 30, non è facile conciliare lo studio con l’attività che sto facendo e gli allenamenti ma bisogna trovare il tempo per tutto. La mattina presto e la sera riesco ad allenarmi per cercare di rimanere in forma perché prima o poi spero che si possa tornare alla normalità per ognuno di noi”, ha raccontato il 26enne milanese con padre congolese.
Rugby Mbandà : l’intervista
Dopo circa un mese di servizio come volontario come sta e può tracciare un primo bilancio di questa esperienza? “E’ un mese e una settimana ora. Per i bilanci ci sono persone più competenti, ma per quanto riguarda il livello di afflussi negli ospedali sicuramente dopo un mese è diminuito. Però ci sono ancora molti pazienti nei reparti di terapia intensiva e per guarire servono altre settimane. Nel rugby si corre avanti passando indietro ed è una situazione simile: dover restare in casa può sembrare un passo indietro, invece così stiamo cercando tutti di raggiungere l’obiettivo di uscire dall’emergenza”.
Come è nata l’idea di dare una mano, provando a coinvolgere anche le tantissime persone che la seguono sui social? “Mi sono trovato dal preparare la partita del Sei nazioni con l’Inghilterra allo stare fermo. Mi sono chiesto come poter aiutare la mia comunità e ho visto che c’era la possibilità di questa collaborazione con la Croce Gialla di Parma per portare farmaci e assistenza agli anziani che non potevano uscire. Così li ho contattati e dal secondo giorno avevo tutti dispositivi di sicurezza per trasferire persone malate di coronavirus negli ospedali”.
Come è stato l’impatto e le prime sensazioni? “Il primo impatto non è stato proprio dei migliori, perché la prima persona trasferita da Parma e Fidenza era dentro da 10 giorni. Dopo 3 ore è mancato il compagno di stanza, poi altre due persone. Nei primi giorni la sera tornando a casa ero davvero distrutto, ringrazio la mia compagna e la mia famiglia che mi hanno capito e dato il modo di sfogarmi”.
C’è un episodio che l’ha colpita più di tutti in questo mese? “Qualche giorno fa ho dimesso un paziente che avevo portato io stesso in ospedale. Il che vuol dire che era guarito, aveva sintomi lievi e poteva completare a casa la guarigione. E’ stata una grande emozione. Come segnare una meta? Esatto. Quando sono entrato in stanza e ho visto che stava bene è stata una sorpresa”.
Il rugby è uno sport dove il gioco di squadra è essenziale, ha trovato delle analogie nel lavorare in compagnia di altri volontari o addetti alla sicurezza? “Il fatto di fare uno sport di squadra mi ha aiutato, nella Croce Gialla mi hanno accolto come uno di famiglia. Devi cercare di creare un legame e di collaborare. Siamo divisi in squadra e ogni squadra deve assistere le persone nel modo più veloce e sicuro possibile”.
C’è un insegnamento che ha tratto da questa esperienza, quanto le è stato utile nella vita di tutti i giorni? “La cosa che mi ha insegnato è che ci sono tante cose che diamo per scontato e che invece non lo sono. Io spero che dopo ci ritroveremo in un mondo più consapevole e intelligente. Io ho preso di petto questa iniziativa perché ho avuto la fortuna di avere 2 genitori che mi hanno cresciuto con sani principi morali, entrambi mi hanno sempre insegnato ad aiutare il prossimo. E’ vero che nel mondo siamo tutti diversi, ma il mio vuole essere un messaggio per i giovani perché per noi è facile tenerci sempre in contatto con i social mentre per tante persone anziane, che a volte sono da sole, è molto più difficile. Se non si vuole fare i volontari perché si ha paura ci sono tante cose che si possono fare. Anche una semplice telefonata a un parente solo potrebbe aiutarlo a fare un sorriso”.
La stagione delle Zebre
Provando a parlare un po’ di sport, quanto le manca il campo da rugby e pensa sia stato giusto fermare il campionato in via definitiva? “Il rugby è nata come una passione, ora ho lo fortuna che è un lavoro. E’ la mia vita. La decisione del presidente Gavazzi, prima federazione a chiudere i campionati, è stata presa pensando prima di tutto alla salute di noi sportivi. Sarebbe stato inutile andare avanti, è stata una decisione presa con intelligenza e penso che tutti l’abbiano capita. In questo momento è difficile dire quando terminerà l’emergenza, una soluzione si troverà ma la salute prima di tutto”.
Non altrettanto sembra voler fare il calcio, si è aperto anche un dibattito con campioni come Federica Pellegrini che hanno criticato il fatto che si parla solo di pallone. “A me non piace fare polemiche, credo non solo noi sportivi ma tutti ci troviamo in una situazione difficile. Molti lavoratori sono in difficoltà, è nella natura dell’uomo però cercare di portare acqua al proprio mulino. Sicuramente ci sono altre priorità ora, prima dobbiamo uscire da questa situazione e poi penseremo a tutto il resto”.