Roma, vola Svilar! Le mani del serbo sul passaggio del turno giallorosso

I guantoni di Svilar trascinano la Roma agli ottavi di finale di Europa League in una serata al cardiopalma, Un omaggio meritato per il portiere serbo, che con talento e personalità si sta prendendo la squadra sulle spalle.

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Mile Svilar para il rigore a Alireza Jahanbakhsh ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Mile Svilar si sta prendendo tutte le copertine. Dopo esser stato lanciato da titolare in campionato da Daniele De Rossi nella sfida col Frosinone, in cui ha sfoderato un’ottima prestazione esaltata da un intervento miracoloso su Soulé, ha voluto alzare ancora l’asticella, trascinando la Roma in un’impresa che mancava da più di vent’anni.

Era accaduto infatti nel 2002 l’ultima volta: la squadra giallorossa superava la Triestina in Coppa Italia all’Olimpico con i calci di rigore. Curioso che il primo rigore di quella serie lo avesse tirato un diciannovenne biondino alle sue prime apparizioni con la maglia giallorossa. Quel diciannovenne ora ha qualche anno in più, di strada ne ha fatta e siede sulla panchina della Roma da un mese circa.

La scelta di De Rossi, la performance di Svilar. Quando “fiducia” significa tutto

E nella prestazione di Svilar, nei due miracoli che il portiere giallorosso ha compiuto dal dischetto, c’è senza dubbio la mano dell’allenatore, oltre ad un grande talento del portiere serbo. Lo stesso Svilar a caldo non ha potuto fare a meno di ricordare la fiducia che sente da quando il nuovo allenatore è arrivato sulla panchina della Roma: “La fiducia di De Rossi si trasforma in una performance sul campo, lo ringrazio per questo”. 

E’ l’eroe che nessuno si aspettava, il “nostro eroe”, come ha scritto Paulo Dybala su una sua storia Instagram con il portierone serbo. E lo è stato perché, come ha messo in evidenza De Rossi, ha sempre mantenuto testa e piedi per terra, concentrato su se stesso e sul suo lavoro anche quando trovava poco spazio e poca fiducia. Il suo momento è ora arrivato. A 25 anni si ritrova titolare di una delle squadre più importanti di Italia, e tutto il lavoro fatto in questi anni può ora essere ripagato.

Non solo i rigori, Svilar para tutto e si prende la Roma sulle spalle.

La cosa più importante è una sola: para Svilar, para su azione, para i rigori, fa  miracoli, blocca il pallone in uscita alta, difende al limite dell’area. Tutta una serie di qualità che è stato estremamente abile a mettere in mostra nelle poche partite avute a disposizione e che hanno convinto tutti, tifosi e addetti ai lavori, che questo ragazzo ha un talento speciale.

E poi l’apoteosi. Ieri sera, contro il Feyenoord in un Olimpico pieno e caldissimo, para durante la partita quei pochi  tiri che gli arrivano, nulla può sul gol avversario, non si scompone mai e aiuta la squadra giocando dieci metri avanti e sventando alcune imbucate della squadra olandese (questo è necessario se vuoi tenere la difesa alta e un atteggiamento aggressivo), dà sicurezza al reparto e si arrabbia al 94′ quando Wieffer salta da solo in mezzo all’area sull’ultimo calcio d’angolo dei tempi regolamentari.

La magia nel finale, l’emozione, le mani di Svilar contro il destino e De Rossi sotto la curva Sud

E poi accade la magia, la magia del calcio che sempre si rinnova e sceglie trame e sceneggiature incredibili, sempre inaspettate, sempre meravigliose. Arriva il momento dei rigori e l’errore di Lukaku abbatte gli animi dei giallorossi; di tutti, ma non di Svilar, che subito dopo si presenta sulla linea di porta e ipnotizza Hancko volando alla sua destra con una forza e una reattività da fenomeno.

Poi ancora, si presenta sul dischetto l’iraniano Jahanbakhsh, entrato al 119′ appositamente per calciare il penalty. Ed è proprio in questi momenti che gli astri del calcio si allineano, che il giocatore entrato per calciare il rigore si lascia ipnotizzare (quante volte sia capitato si fa fatica a contarle) e Svilar compie una parata ancora più bella della prima, ancora più difficile, ancora più esplosiva.

L’Olimpico, la Roma, De Rossi, tutti sono in visibilio, Roma si poggia sulle spalle di un gigante, di un portiere serbo che la serata di ieri ce l’aveva scritta nel destino. E poi si va a prendere l’abbraccio della sua curva.