Roma, un uragano chiamato Spalletti

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SpallettiCi sono stati due momenti, in questa stagione, in cui tutto il mondo romanista è sembrato sul punto di collassare in maniera irreversibile, con il timore fondato di veder volare via a giugno tutti quei giocatori che formano lo scheletro della squadra presente e, si pensa, futura. Le gare con lo Spezia, eliminazione dalla Coppa Italia, e quella con il Bate Borisov, un pareggio che significò si passaggio del turno in Champions ma condito da sonore bordate di fischi per una prestazione tutt’altro che da tramandare ai posteri. In quei giorni si pensava, a ragion veduta visti i risultati, che gli sforzi degli ultimi anni, sebbene non avessero portato nessun trofeo alla Roma, sarebbero stati cancellati da un’annata che rischiava di diventare drammatica, sportivamente parlando.

L’UOMO DI CERTALDO

Invece, dopo il pareggio interno con il Milan, James Pallotta ha rotto ogni indugio e chiamato personalmente Luciano Spalletti. Il tecnico toscano si è così imbarcato su un volo per Miami dove ha parlato a quattr’occhi con il presidente giallorosso, gli ha esposto le sue richieste, non solo economiche, per poi rimbarcarsi per l’Italia e varcare nuovamente i cancelli di Trigoria sei anni e mezzo dopo. “Torno per completare ciò che avevo iniziato” sono state le prime parole di Luciano Spalletti agli amici più stretti. I maligni, all’epoca, avevano pensato che le sue fossero le solite frasi di circostanza che si dicono una volta che si arriva, o si torna, in una squadra. Eppure, già dalla sua prima conferenza stampa, si capì che qualcosa era cambiato, che l’uomo di Certaldo era un soggetto vecchio e nuovo allo stesso tempo. Un signore che tutti, all’interno ed all’esterno di Trigoria, avrebbero imparato a conoscere o riconoscere.

UN MONDO CAPOVOLTO

La Roma, al momento dell’arrivo di Spalletti, era una squadra sfiduciata, sulle gambe, una nave in balia degli eventi che sembrava viaggiare verso una conclusione di campionato anonima e senza soddisfazioni. Dal 14 gennaio in poi, giorno del suo primo allenamento, l’ex tecnico dello Zenit ha letteralmente capovolto il mondo Roma, responsabilizzando i giocatori, la società, l’ambiente, i tifosi. Facendo capire, giustamente, che indossare la maglia giallorossa è un privilegio ed un onore, che l’antico adagio che l’ambiente rovina la squadra ed i giocatori era solo una scusa e che bisogna, e bisognerà, imporre uno stile Roma. Queste semplici ma ferree regole, l’arrivo di Perotti, El Shaarawy e Zukanovic insieme al recupero, fisico e mentale, della vecchia guardia, la gestione del caso Totti, hanno trasformato la Roma: i capitolini, ora, sono terzi con tre punti di vantaggio sulla quarta, la Fiorentina, e puntano con decisione e determinazione ad impensierire il Napoli, secondo e lontano cinque lunghezze. Impresa non facile ma alla quale Manolas e soci credono fermamente, consapevoli che in un campionato così folle, tutto può ancora accadere. I capitolini sono tornati ad essere un gruppo granitico, compatto, sempre sul pezzo e senza mai lasciarsi andare a voli pindarici. Non è un caso se proprio Allegri, non più di una settimana fa, abbia affermato: “La vittoria contro la Roma sarà fondamentale per la conclusione del torneo”. Una dimostrazione che a Torino, nonostante gli otto punti di vantaggio, si guardi sempre con occhio attento a ciò che accade dalle parti di Trigoria: senza il gol di Dybala, infatti, oggi bianconeri e giallorossi sarebbero distanziati da sole cinque lunghezze.

PRESENTE E FUTURO

Il presente dovrebbe, almeno questo è quello che si aspettano James Pallotta ed anche i tifosi, portare un posto in Champions (terzo o secondo, il primo, obiettivamente, non appare raggiungibile) per il prossimo anno magari continuando a dispensare gioco ed intensità come si è fatto finora. Il futuro è ancora tutto da scrivere: Spalletti è stato lapidario, resto per vincere visto che secondo ci sono già arrivato. Poche parole ma che segnano un solco netto con il passato: il segno che il tecnico toscano crede fermamente in questo progetto, tanto è vero che non ha chiesto una rivoluzione ma qualche aggiustamento nei posti cardine. Molti partiranno, alcuni giovani torneranno, altri ancora dovranno guadagnarsi la permanenza a Trigoria in questi ultimi mesi di campionato. Perché, come ha detto l’ex allenatore dello Zenit dopo la gara contro il Real Madrid, “Uscire dalla Champions dopo aver ricevuto complimenti e giocato bene non ci deve soddisfare. Quindi niente festeggiamenti ed al lavoro”. L’ulteriore dimostrazione, qualora ce ne fosse bisogno, che l’uomo di Certaldo è tornato con un unico obiettivo, vincere…