De Rossi, addio alla Roma
Daniele De Rossi saluta e se ne va, in conferenza stampa il centrocampista dice addio ai giallorossi ma non al calcio giocato e coglie l’occasione per pungere la società giallorossa. Di seguito la conferenza stampa come riportata da mediaset:
Cambieresti qualcosa nella tua carriera alla Roma?
“Farei scelte diverse nel quotidiano, in alcune cose detto, cose di campo. La mia decisione di rimanere per sempre fedele a questa squadra non la cambierei mai. Se avessi la bacchetta magica metterei in bacheca qualche coppa in più”.
Oggi quando si è sparsa la notizia i tifosi hanno dato spazio alla retorica: è vero, vinciamo poco, ma per noi De Rossi è una vittoria. Questo per te che cosa è? Una consolazione, o la sintesi dei tuoi sacrifici?
“Semplicemente un dato di fatto. L’hanno dimostrato in tanti anni, nel corso di episodi, più o meno positivi, di tenere a me. Ed io ho fatto la stessa scelta, e non li ho cambiati per qualche ipotetica coppa in più: ci sono stati tre o quattro anni in cui potevo andare in squadre che potessero vincere più della Roma. Ci siamo scelti a vicenda e oggi sarebbe stato un dramma se avessimo detto: “No era meglio andare via e vincere di più”. Lo stato attuale delle cose vede un grande amore che penso continuerà, anche se poi sotto forme diverse. Non escludo che tra qualche anno mi troverete con panino e birra a tifare i miei compagni”.
Che cosa hai pensato quando ti hanno comunicato la decisione? Il tuo futuro è già orientato?
“Mi è stato comunicato ieri, ma avevo capito, non sono scemo. Ho 36 anni e so come vanno le cose se nessuno ti ha mai chiamato in questi mesi. Riguardo al futuro ringrazio l’amministratore delegato per l’offerta. Sono cose che vanno rispettate. Squadre? Non c’è ancora nulla, ero concentrato sulla corsa Champions. Stamattina mi sono arrivati 500 messaggi, vediamo se c’è qualche offerta. Mi sento calciatore e voglio giocare a pallone”.
Questa proposta di rimanere è sempre valida? Questo futuro da calciatore è già orientato verso qualche direzione?
“Mi è stato comunicato ieri, ma io ho 36 anni non sono scemo, avevo capito se nessuno ti chiama per 10 mesi neanche per ipotizzare un contratto la direzione è quella. Io ho sempre parlato poco, anche quest’anno, un po’ perché non mi piace, non c’era niente da dire e non volevo creare rumori che potevano distrarre. Ringrazio Guido per l’offerta e come mi ha trattato in questi mesi. Devo ringraziare anche Ricky Massara, la sensazione che ci fosse stima reciproca era forte e la sensazione che si sarebbe potuto andare avanti da uno o due anni idem, ma sono decisioni che si prendono in società e globalmente: è divisa in più parti, sono cose che vanno rispettate e non posso uscire diversamente. Qualcosa ho sentito per le squadre, ma non ho cercato niente. Fino al pareggio di Genova ero convinto che la squadra sarebbe arrivata in Champions. Stamattina ho avuto 500 messaggi e vedo se c’è qualche offerte ma non ho direzioni particolari. Io mi sento un calciatore e mi ci sono sentito quest’anno. Ho ancora voglia di giocare a pallone, mi farei un torto a smettere adesso”.
Non era più giusto che la decisione l’avessi presa tu?
“Ho sempre detto anche a Totti, la penso uguale anche per Del Piero. Non sono d’accordo su questo, c’è una società a posta che decide se puoi o non puoi giocare. Possiamo discutere 10 ore su quanto sarei potuto essere importante per la squadra, che non li guardo perché altrimenti scoppio, ma qualcuno un punto deve metterlo. Ci siamo parlati poco quest’anno, un po’ mi è dispiaciuto, le distanze a volte creano questo e spero che migliori perché sono un tifoso della Roma. Non posso dire diversamente”.
Spesso i romanisti sono stati divisi e sono stati uniti nella cavalcata Champions e nell’addio di Totti. Te la senti di lanciare un’ancora ai tifosi?
“Io consigli ai tifosi posso darne pochi, ma devono stare vicino ai giocatori. Sono un gruppo di giocatori per bene e meritano grande sostegno”.
Hai sempre detto che in futuro avresti fatto l’allenatore. Ora il ruolo dirigenziale che ti è stato proposto cambia i tuoi progetti?
“Io ho sempre detto che potrebbe piacermi fare l’allenatore e voglio studiare ed imparare questo lavoro. Il dirigente non mi attira particolarmente, ma qui a Roma poteva avere un senso diverso. La sensazione, anche guardando chi mi ha preceduto, per ora ancora si possa incidere e mettere poco mano in un mondo che conosciamo bene. Faccio fare il lavoro sporco a Francesco (Totti, ndr), spero possa prendere più potere e se cambierò idea lo raggiungerò. Quello che ha detto l’ad è che mi accoglieranno a braccia aperte, ma la voglia è di fare un lavoro che mi piacerebbe fare, ma prima devo studiare e imparare”.
Ti senti di dire, come hai sempre fatto, che l’eredità è al sicuro con Florenzi?
“Il romanismo è qualcosa che ha contato molto per noi. E’ qualcosa di importante ed è in mani salde, perché Lorenzo e Alessandro sono due persone che possono continuare questa eredità, non devono scimmiottare ne me, ne Francesco. Devono portare avanti l’attaccamento alla maglia. Ma c’è Cristante che viene. Da dove vieni? Non è romanista, ma ne voglio altri 100 così. La Roma ha bisogno di professionisti, che se sono romanisti come Ale e Lorenzo abbiamo fatto bingo. Penso che la società è orientata a cambiare questa situazione e nel voler fare una squadra più forte. Ho detto Cristante, ma ne potevo dire tanti altri”.
Emerge un po’ il distacco tra società e giocatore. Questo addio te lo immaginavi così?
“L’addio ho cercato di prepararmi mentalmente non senza pensare come sarebbe stato. Non sarei stato felice nemmeno se avessi scelto io. Normale ci sia un po’ di distacco, perché volevo continuare. Ma non serbo rancore. Devo accettarlo altrimenti mi faccio male da solo. E guardo avanti. Fienga ha detto che sono già un bravo dirigente, io mi sarei rinnovato il contratto”.
Se mi giro vedo Nainggolan, Strootman, Alisson, tu che vai via, non so che farà Edin o Kostas. Come te lo spieghi? Sembrava davvero una squadra pronta per costruire qualcosa di importantissimo?
“Mi riallaccio a prima riguardo i rimpianti: un piccolo dispiacere è che tante volte, anche la passata gestione, ho avuto la sensazione di una squadra veramente forte, vicina a quella che vincevano e poi si faceva un passo indietro. Sono le leggi del mercato, alcuni si permettono una macchina, altri un’altra. E’ un rimpianto, ma non è una colpa, non so come funzionano queste cose, non entro nei numeri. Spero che la Roma possa diventare tanto quanto le altre squadre. Tanti giocatori sono andati via e mi hanno chiamato a dirmi quanto stavano bene e che volevano tornare. Roma è un posto in cui si sta bene, bisognerebbe fare quel passo in più, ma non sono d’accordo: la squadra è forte, che ha futuro, con dei giovani su cui si deve ripartire. Negli ultimi anni qualcosa si è sbagliato, ma oggi parliamo di altro dai”.
Quando hai capito che sarebbe finita così? Cosa succederà dal 27 maggio? Hai qualche preclusione per la futura destinazione?
“E’ una consapevolezza che è cresciuta durante l’anno e sapevamo tutti quanti che avevo il contratto in scadenza e se non c’è mai un colloquio, anche se Monchi mi aveva rassicurato, ma l’ultima volta ho firmato due anni di contratto il giorno dopo che aveva smesso Francesco. Non a novembre. Quindi qualcosa c’era. Il 27 maggio alle 3 ho l’aereo e vado in vacanza: ho un grande bisogno di passare del tempo senza pensare al calcio. Futuro? Vediamo, per me è una cosa completamente nuova: devo parlare con me stesso, la famiglia, procuratore, con troppa gente mi dovrò confrontare”.
Si sente spesso questa parola rimpianto. Quale partita cambieresti?
“Ogni anno c’è una partita da voler cambiare. Forse la più fresca per una stagione clamorosa, la partita che vorrei cambiare è Liverpool-Roma: vivere un sogno come vivere un film. I rimpianti li hanno tutti, anche Messi che magari ti dice che non ha mai vinto il Mondiale. Ognuno vive di rimpianti perché è fatto di gente ambiziosa con la vittoria come fine unico. Ringrazio Dio per la carriera che ho fatto, fino a 14 anni non sembrava avessi tutte queste qualità, avrei firmato per fare i 14 anni di Serie C di mio padre. E’ una squadra che continua con compagni stupendi ed avversari stupendi che voglio ringraziare: spesso le emozioni più belle le ho vissute in trasferta. Sono contento di aver avuto nemici che si identificavano in me: vuol dire che era un simbolo”.
ph: Fornelli/Activa