Il mantra degli esegeti è, in generale, quello di trovare spiegazioni quanto più scientifiche e razionali a ciò che si presenta come oggetto del loro studio: se già messa così l’impresa appare quanto meno ardita, nel calcio – e nello sport in generale – le varianti si moltiplicano e decifrare la genesi di alcuni risultati diventa un’impresa. In questo senso, il campionato di Serie A cui stiamo assistendo si presta a varie interpretazioni e la facilità con cui i giornali cambiano le loro improbabili graduatorie Scudetto ne è una buona dimostrazione. Juve, Napoli, Fiorentina, Roma: le candidate si sprecano, insomma, ma se c’è una squadra che più di tutte vince, sorprende e discute, quella è l’Inter di Roberto Mancini, che a poco più di un anno dal suo arrivo ha riportato l’Inter in cima alla classifica (e non succedeva dalla stagione del Triplete).
Da quel 14 novembre 2014, giorno in cui il tecnico jesino ha accettato la corte di Erick Thohir e sposato il ritorno ad Appiano Gentile, è cambiato praticamente tutto: Mancini aveva avvertito Ausilio con quel famoso “serviranno dieci acquisti per tornare grandi”, pronunciato al termine dell’ultima giornata dello scorso campionato, ma in pochi credevano fosse più di un titolone di fine stagione. E invece acquisti in serie, uniti ad epurazioni – anche eccellenti – tra giocatori e staff, hanno stravolto la rosa e dato ai nerazzurri una squadra in linea con le idee del proprio tecnico.
Detto ciò, un conto è prendere giocatori come figurine ed un altro è metterli insieme: ebbene, una componente alla base del sistema Inter è proprio l’affiatamento di una squadra in cui tutti sono utili alla causa ma nessuno indispensabile alla stessa. E allora ecco spiegate le panchine di Icardi e quelle di mister 30 milioni (più sette di bonus) Kondogbia, o anche scelte apparentemente assurde come – tanto per citare l’ultima – quella di Martin Montoya, titolare a sei mesi di distanza dall’ultima partita ufficiale, contro l’Udinese. Mancini ha cambiato l’undici titolare sedici volte in altrettante partite e sperimentato – quasi sempre con successo – 4-3-1-2, 4-3-3, 3-5-2, 4-2-3-1 e 4-4-2. La versatilità come mezzo per coinvolgere i suoi e disorientare gli altri.
E i dati? Se fossimo tanto presuntuosi da voler cercare ad ogni costo la chiave che apre tutte le porte di questa Inter, quello statistico sarebbe il campo più indicato per farlo. Conti alla mano, il numero che balza subito all’occhio riguarda i gol subiti: il pacchetto difensivo Handanovic – Miranda – Murillo è di gran lunga il migliore con nove reti, seguono Napoli e Juve con dodici. Ma non è tutto: anche se la scarsa vena realizzativa non lascia spazio ad elogi offensivi, infatti, l’Inter è una delle squadre che tira di più e – per tornare ad un aspetto meno ‘scientifico’ – col passare delle settimane ha dimostrato di trovare sempre più gioco.
Mancini, fiducioso dei suoi mastini in mezzo al campo, riserva sempre più fantasia al proprio attacco, con la coppia Jovetic – Ljajic a cui viene data grande libertà di movimento e creazione. A Mauro Icardi, rinvigorito dalla doppietta del Friuli, il compito di fare – checché se ne dica dopo questa prima parte di stagione – ciò che gli riesce meglio: segnare.
Più brutti degli altri, eppure in testa: la ciurma del Mancio si gode il primato e sogna in grande.