Quanto ci manchi Pirata…

LA STAGIONE CICLISTICA 2016 STA LENTAMENTE SPEGNENDOSI, NEL SEGNO DI PETER SAGAN. MA A QUESTO CICLISMO, FRA TANTI CAMPIONI, MANCA QUELLO CHE FA INFUOCARE I CUORI

Il Mondiale in Qatar ha incoronato il personaggio più pittoresco e affascinante del ciclismo mondiale. Peter Sagan, fuoriclasse slovacco di immenso talento, in ogni uscita sa sempre regalare spettacolo, diverte, quasi come una rockstar. Era dai tempi di Mario Cipollini che lo sport delle due ruote non godeva di un personaggio così istrionico, capace persino di giocare al rosso e nero della roulette una chance olimpica, ritornando alle origini, e deliziando il pubblico di Rio nella prova in mountain bike, quando tutti lo aspettavano su strada a battagliare con i vari Nibali, Van Avermaet e via dicendo. Una vittoria a cinque cerchi avrebbe rappresentato per lui un trittico incredibile, assieme al Mondiale e all’Europeo portati in saccoccia questa stagione. Ma da Sagan ti aspetti di tutto, e questo costituisce un bene per uno sport ricco di campioni “low profile”.

Nelle ultime settimane il Giro edizione numero 100 e il Tour de France hanno svelato le trame dei loro romanzi, e non possiamo non pensare a quello scricciolo di Cesenatico che calamitava l’attenzione mediatica su rapporti e pedivelle intrise di sudore e sangue, come ai tempi di Coppi e Bartali. In questo caso però, l’Italia era compatta per spingere sulle erte salite di Italia e Francia “quell’elefante magrolino che scriveva poesie”, come cantava splendidamente Gaetano Curreri.

Marco Pantani, indubbiamente, pur vincendo “soltanto” un Giro e un Tour, è stato negli ultimi trent’anni il campione più carismatico del nostro sport, assieme ad Alberto Tomba. Uno, romagnolo, con quell’aria di poeta maledetto delle due ruote che vinceva con un’aura di malinconia, l’altro, emiliano, che ha trascinato folle incredibili per seguirlo nel barnum del circo bianco, anche chi veniva da posti dove la neve la vedevano giusto in cartolina.

Nella sofferenza Pantani ha incarnato l’eroe maledetto, anche per le sue vicende post-Madonna di Campiglio, quando morì il Pantani ciclista, 5 anni prima del Pantani uomo in quella stanza dei misteri a Rimini.

Se ne sono dette di ogni risma sulla sua vicenda; gli hanno dato del dopato, quando non è mai stato squalificato per doping, è stato lasciato solo nel momento più difficile della sua tragica vicenda umana, da chi si è nutrito della sua fama come una sanguisuga. Non era facile da aiutare, l’orgoglio, la presunzione di immunità che ha alimentato il suo ego fattosi smisurato, beh, questo gli si è ritorto contro come un boomerang. Nel ciclismo delle provette, rappresentato da quel Lance Armstrong cannibale in giallo e poi sprofondato nel guano da lui creato, lui ha sempre proclamato la sua innocenza. E’ stata avallata la tesi del complotto, perchè ciò che è successo a Madonna di Campiglio nella sua dinamica è sembrato fin da subito poco chiaro. Ma di un Pantani totalmente esente da certe pratiche è difficile crederci, soprattutto in un mondo dove l’omertà regna(va) sovrana e la farmacologia fa sempre passi da gigante per occultare i soliti indegni magheggi. Con questo, a partità di condizioni, lui vinceva ed emozionava, gli altri, sicuramente più sistematici nell’affrancarsi all’immondezzaio farmacologico, potevano solo stare a guardare. E questo basta per redimerlo. E per consegnarlo al mito. Il più umano in un mondo di automi.