Ajax-Manchester, l’Editoriale di SportPaper
L’ultima volta che l’Ajax arrivò in finale di una coppa europea c’era ancora il fiorino, l’Unione europea contava quindici Stati, la regina Beatrice governava da sedici anni e la Corte Penale Europea sarebbe stata istituita sei anni dopo. Era il 1996, precisamente il 22 maggio e quella sera allo stadio “Olimpico” di Roma si affrontavano i lancieri e la Juventus: per gli olandesi si trattava della seconda finale consecutiva ed erano campioni uscenti, mentre i bianconeri tornavano in finale dopo undici anni. Ad alzare la coppa fu Vialli dopo i calci di rigori. Fatali furono gli errori di Davids e Silooy, il primo e l’ultimo della serie. Dopo quella finale, gli aiacidi si spinsero fino alla semifinale della stagione successiva (sconfitti ancora dalla Juventus) per poi sparire dal panorama calcistico europeo. Fino a domani sera quando affronteranno al Friends Arena di Solna, nei pressi di Stoccolma, il Manchester United di Mourinho e Pogba nella finale di Europa League.
Per l’Ajax è la seconda finale nella seconda coppa europea, dopo la vittoria della stagione 1991/1992 nella finale contro il Torino. Per i Red devils si tratta invece della prima volta nella loro storia: in caso di vittoria, lo United diventerebbe la quinta squadra europea a vincere tutte le coppe. L’Ajax questo primato lo raggiunse proprio nel 1992.
Da questa stagione, chi vincerà la Europa League accederà alla fase a gironi di Champions: per lo United l’opportunità di partecipare alla coppa più importante vincendo quella minore, per gli aiacidi tornare nell’Europa che conta dopo due stagioni e sperare dopo undici anni di superare la fase a gironi e dopo quattordici di raggiungere i quarti di finale.
L’Ajax è la grande sorpresa di questa stagione: età media molto bassa (22 anni e qualche mese), una serie di giovani di prospetto che piacciono alle grandi d’Europa ed il killer instict in finale di una coppa, visto che ha vinto dieci delle quattordici finali cui ha preso parte.
Gli olandesi hanno sudato le proverbiali sette camicie in semifinale, superando solo per differenza reti uno scatenato Lione: 4-1 ad Amsterdam, 3-1 in Francia con la squadra Bruno Génésio che ha tentato fino all’ultimo di acciuffare i supplementari.
In questi ultimi venti anni all’Ajax sono rimasti solo i ricordi dei tempi che furono: Calcio-totale, il vivaio che sfornava giocatori in continuazione (tra la finale del 1992 e di Vienna erano rimasti sono in due), il “calcio in punta di piedi” (come ha ricordato Alec Cordolcini sulle pagine del GS lo scorso mese), l’era di Litmanen.
In Patria non sono mancati i successi in questi due decenni, eppure l’ultimo ad alzare una coppa europea è stato Danny Blind al Prater di Vienna contro il Milan. Ironia della sorte, proprio il 24 maggio.
Era un grande Ajax, quello: da Van der Sar a Blind, dai gemelli de Boer a Frank Rijkaard, dai futuri italiani Seedorf e Davids al promettente Kluivert (che decise la partita) al divino Litmanen, capocannoniere di quella Champions e idolo dei tifosi come van Basten e Cruijff.
Eh già, Marco van Basten e Johan Cruijff, il “cigno di Utrecht” e il “profeta del gol” a capo di due generazioni di calciatori che hanno fatto grande la squadra della capitale.
La squadra allenata da Peter Bosz non ha grandissimi nomi, ma ha tantissimi talenti che sembrano aver appreso quelle che sono state le TIPS introdotte da Co Adriaanse: tecnica, visione di gioco, personalità e velocità.
Tre su tutti: Kasper Dolberg, Davy Klaassen, Justin Kluivert, figlio di Patrick e maggiorenne solo dal 5 maggio. Di questi tre, solo il secondo era nato quando l’Ajax di van Gaal aveva fatto il treble Champions-Supercoppa europea-Intercontinentale.
Il giocatore su cui si fa più affidamento per giocare alla pari contro i Red devils è il (quasi) ventenne Dolberg arrivato due anni fa ad Amsterdam ma in gol 23 volte (con otto assist vincenti) in quarantasette partite (di cui sei in Europa League) e una personalità da veterano. A fine stagione sicuramente il classe ’97 saluterà tutti e approderà in altri lidi più competitivi (e danarosi), ma davvero si sta imponendo come uno dei giocatori più di prospettiva in Europa.
Capitan Klassen è nato con il mito di Ibrahimovic e per lui sarebbe stato un sogno sfidare il suo idolo con la maglia che lo consacrò al calcio mondiale, ma lo svedese tornerà giocare a calcio solo ad autunno inoltrato e quindi si dovrà accontentare di sfidare il connazionale (figlio del vivaio aiacide) Daley Blind, figlio di quel Danny che alzò la coppa contro il Milan. Stesso ruolo (e stessa visione di gioco) di Eriksen, a differenza del midfielder del Tottenham, Klaasen ha passato tutto il settore giovanile aiacide (il De Toekmost), è diventato il capitano della squadra ed è uno che segna parecchio. La squadra biancorossa a differenza che con gli altri gioielli, vorrebbe non cederlo. Nella maniera più assoluta, anche se si parla di un forte interessamento della Lazio.
Justin Kluivert è nato quando il padre giocava nel Barcellona e gli ha copiato le movenze, ma gioca più arretrato in campo facendo l’ala destra. Giovane com’è (è coetaneo di Donnarumma, ma nato tre mesi dopo) può cambiare ancora posizione e migliorarsi ancora di più.
Altri nomi interessanti dell’undici di Bosz sono il portiere camerunense André Onana (classe 1996), i difensori Davinson Sánchez (1996), Matthijs de Ligt (diciotto anni il prossimo 12 agosto e con già una caps in Nazionale maggiore), Joël Veltman (1992 e altro prodotto aiacide fin dalla tenera età) e Nick Viergever (1989), i centrocampisti Daley Sinkgraven (1995), ma ora out per infortunio al ginocchio) e Hakim Ziyech (1993), gli attaccanti Amin Younes (tedesco del 1993) e Bertrand Traoré (di due anni più giovane, ma nativo del Burkina Faso), in prestito dal Chelsea e autore finora di tredici reti complessive. Da tenere sotto osservazione anche gli altri 1997 del club: Frenkie de Jong, Donny van de Beek e Abdelhak Nouri. I più vecchi sono Lasse Schöne, Heiko Westermann, Nick Viergever e Diederik Boer. Su una rosa di 27 giocatori, ventitre sono nati negli anni Novanta di cui diciotto dal 1995 in poi.
Chi è il mister di questo Ajax dei giovani? Uno che mai ha transitato dalle parti di Amsterdam neanche per sbaglio, ma che ha giocato molte stagioni dalle parti di Rotterdam. Peter Bosz ha ereditato un Ajax tritatutto in Patria con Frank de Boer (in sei anni, quattro titoli consecutivi, due secondi posti e una Supercoppa olandese), ha continuato su quella strada e per gli aiacidi è arrivato il terzo secondo posto consecutivo in campionato, ad un punto dal Feyenoord campione d’Olanda dopo diciotto anni di attesa.
La road to Solna dei lancieri è iniziata nella fase a gironi dopo aver perso amaramente la finale play off di Champions contro il Rostov. Inserito nel girone G (con il Vigo, l’altra semifinalista), l’Ajax ha vinto lo stesso con cinque punti sui galiziani. Nella fase ad eliminazione, i ragazzi di Bosz hanno eliminato Legia Varsavia, Copenhagen, Shalke 04 e Olympique Lyonnaise su di lui si sono già interessate molte squadre.
E l’espressione “su di lui si sono già interessate molte squadre” è stato il problema dell’Ajax dai tempi magici di Louis Van Gaal: il settore giovanile aiacide è stato letteralmente prosciugato dalla “legge Bosman”, la legge che tutti gli amanti del calcio-spettacolo conoscono a mena dito ma che anche gli addetti ai lavori dell’Ajax conoscono altrettanto e per questo motivo la detestano. Il vivaio ha pagato a caro prezzo il concetto di “valore del giocatore” e negli ultimi venti anni dalle parti dell’Amsterdam Arena sono passati fior fior di giocatori (Cristian Chivu, Rafael van der Vaart, Thomas Vermaelen, Klaas-Jan Huntelaar, Jan Vertonghen, Gregory van der Wiel, Toby Alderweireld, Christian Eriksen, Jasper Cillessen, Arkadiusz Milik) fino ai top 4: Zlatan Ibrahimovic, Luis Suarez, Wesley Sneijder e Daley Blind. Tutti questi giocatori sono stati ceduti a cifre molto importanti, ma hanno via via indebolito la squadra.
I biancorossi olandesi hanno patito più di tutti le conseguenze della “Bosman”, ancora di più la massima serie nazionale, la Eredivisie, che si è abbassata di livello stagione dopo stagione. E non è un caso se dalla vittoria ajacide di Vienna, il Feyenoord è l’unica squadra olandese non solo ad aver vinto una coppa europea (Coppa Uefa 2002), ma anche ad arrivare in finale.
Eppure quando si parla di Ajax subito si pensa al suo vivaio e ai grandi talenti usciti dai suoi campi di allenamento. E la Masia, la sede della cantera del Barcellona, oggi considerata il miglior settore giovanile d’Europa, è diventata tale grazie ad un giocatore olandese cresciuto nella squadra amsterdamiana e che ha scritto una grande pagina di storia sia con la maglia dell’Ajax come con quella blaugrana, Johan Crujiff. La Masia si è sviluppata in questi ultimi dieci anni nonostante sia nata nel 1979, mentre il settore giovanile biancorosso sforna campioni dagli anni Cinquanta. Tanto per capirci: contro il Milan a Vienna su sedici giocatori tra campo e panchina, la metà proveniva dal settore giovanile.
Dopo alcuni seri problemi a livello di gestione del vivaio e di guida tecnica (tra l’addio di van Gaal nel 1997 e l’arrivo di Bosz, in casa Ajax sono passati tredici allenatori diversi), questi ultimi anni hanno visto l’Ajax tornare in carreggiata. E la prima finale europea dopo ventuno anni è già un grande risultato. L’ideale ora sarebbe far tornare un giocatore sul podio del Pallone d’oro, visto che l’ultimo fu Dennis Bergkamp nel 1993 (che fece la seconda parte di stagione all’Inter), mentre l’ultimo a vincerlo fu van Basten, addirittura un quarto di secolo fa con la maglia del Milan, ma con il cuore biancorosso. La squadra “Primavera” aicide, l’Ajax Jong, ha chiuso il campionato al secondo posto, ma non può accedere alla Eredivisie.
Anche la selezione oranje, dopo gli ottimi risultati in Sudafrica e Brasile (secondo e terzo posto), sta affrontando un periodo di magra. Questo fa parte della storia del calcio olandese, che è sempre andato di pari passo con le vicende dell’Ajax: dall’epoca del Calcio-totale alla vittoria dell’Europeo 1988 (cinque giocatori aiacidi convocati su venti con altri quattro che vi giocarono precedentemente), dai successi della metà degli anni Novanta fino a questo periodo che sembra far tornare il sereno dalle parti dell’Amsterdam Arena, che ha recentemente cambiato nome in Cruijff Arena. Johan Cruijff, un nome che ancora oggi (in particolare dopo la sua morte) è ancora più (positivamente) ingombrante. E proprio lui è stato, a partire dal 2010, a volere la rinascita del settore giovanile dell’Ajax facendolo tornare un brand di carattere internazionale con la cosiddetta “rivoluzione di velluto”.
Domani i lancieri avranno la possibilità di riscrivere la storia, cercando quel trofeo europeo che permetterebbe di riaprire la bacheca chiusa della generazione d’oro di van Gaal. L’avversario è tosto, ma il giovane Ajax di Bosz non dovrà partire con le stimmate dell’agnello sacrificale e dovrà dare il meglio di sé per tornare a contare a livello mondiale.
Del resto, nel 1969, il Milan vinse la sua seconda Coppa dei Campioni contro una squadra di giovani che poi due anni dopo cambiò il mondo del calcio, l’Ajax di Rinus Michels, Johan Cruijff, Wim Suurbier e Piet Keizer.
Il paragone tra quell’Ajax e questo è sacrilego, ma l’importante nel calcio non è far stropicciare gli