Petrachi: “Alla Roma provai a portare Conte nel 2019. Vi racconto cosa non funzionò con Pallotta…”

L'ex dirigente giallorosso racconta la sua vecchia avventura nella Capitale

Petrachi

L’ex ds della Roma, Gianluca Petrachi, ha rilasciato un’intervista a Numero Diez per parlare della sua avventura giallorossa e dei problemi che ha vissuto all’interno del club capitolino.

Petrachi sulla Roma

Dopo dieci anni al Toro vai alla Roma, in cui rimani una sola stagione (2019-2020). Quell’estate ci fu una vera e propria rivoluzione tra entrate e uscite. A mio avviso, quella sessione di calciomercato è stata capita nel tempo, perché inizialmente non fu una compresa. Sei d’accordo con me?

“Io ho speso complessivamente, per 10/11 giocatori, circa 70-80 milioni di euro. Io avevo tantissime zavorre che mi portavo dietro da quel tipo di mercato che era figlio del mio lavoro. Quei soldi che ho utilizzato per comprare i giocatori li ho presi dalle cessioni di tantissimi giocatori. Si fece un mercato straordinario e si lavorò tantissimo. La Roma che vince la Conference League, presenta 7/11 che c’erano nella mia gestione. La difesa, ad esempio: Mancini, Ibanez, Smalling, Spinazzola. E poi c’era anche Veretout”.

Per quanto riguarda Veretout, pensavo che facesse una carriera diversa. Fece subito 10 gol alla Roma, quindi pensavo che dopo quell’annata prendesse il volo.

“A volte credo che il carattere di un giocatore faccia la differenza. Veretout ha tutto del calciatore moderno, è bravo nell’inserimento e buon piede. Forse gli è mancata quell’ambizione di sentirsi veramente uno dei centrocampisti più forti. Tornando al discorso di prima, secondo me si fece benissimo, riuscimmo anche a trattenere Dzeko, che era già praticamente fatta con l’Inter. Penso che mi sono anche inventato tante cose in quella Roma, sono state fatte delle ottime operazioni. C’è qualcuno che dice di aver pagato troppo il portiere Pau Lopez: l’ho pagato 18 milioni, non 30 come si diceva. Però, alla fine della fiera, l’hanno rivenduto per 14 milioni. Petrachi non ha lasciato dei buffi o fatto disastri. Anzi, l’unico giocatore che la Roma ha venduto, l’ha preso Petrachi a 8 milioni e l’hanno venduto 30: Ibanez”.

Il colpo principale che hai fatto, che poi si è rivelato un grande colpo, è Mkhitaryan. Adesso è un punto fermo dell’Inter e Inzaghi non lo toglie mai, perché è un grande giocatore. Si pensava che arrivasse a Roma solo per svernare. In realtà poi il calciatore l’ha visto nel suo complesso.

“Lì è stato previsto da Mino Raiola. Gli potevamo offrire al massimo 3 milioni di ingaggio. Lui guadagnava 5/6. Io quindi feci le due operazioni, sia Smalling che Mkhitaryan, con questo tipo di situazioni. E si rivelano evidentemente due giocatori straordinari. Perché poi, alla fine, credo che il cambiamento abbia portato Mkhitaryan via dalla Roma. Con un altro indirizzo tecnico, secondo me, Mkhitaryan non avrebbe mai lasciato la Roma. Anche lui è un ragazzo straordinario, a cui sono molto legato e molto affezionato”.

Quell’anno si parlò tantissimo di venire alla Roma. Effettivamente, c’è mai stata questa possibilità concreta?

“Conte, da un certo punto di vista, ha la fiducia di Gianluca Petrachi perché diventi allenatore. Perché chi l’ha mandato all’Arezzo, dal compianto Ermano Pieroni, fu Gianluca. Parlai con Pieroni e gli dissi che secondo me Conte sarebbe stato l’allenatore del futuro. Secondo me ha delle capacità fuori dalla norma. Con Antonio c’è stata sempre una visione calcistica molto similare, vediamo le cose allo stesso modo. Ci conosciamo dal settembre dell’81, una vita fa. Però, tatticamente e calcisticamente, abbiamo avuto la stessa visione. Quindi ci siamo confrontati e lo continuiamo a fare anche oggi. È naturale che, andando alla Roma, la cosa più bella sarebbe stata quella di portarsi una persona con cui condividi calcio. Io, per esempio, condividevo calcio con Ventura. Quindi questa sinergia diventa ancora più potente, ancora più forte. Però poi alla fine si devono incastrare tante cose. E in quel caso non si sono incastrate”.

Tra te e la Roma, cosa non ha funzionato?

“Io credo che, innanzitutto, non abbia funzionato la distanza tra me e il presidente Pallotta. Tra Pallotta e Petrachi c’era l’amministratore delegato Fienga, con cui ho avuto un ottimo rapporto, ma che non è stato un rapporto totalmente veritiero. Siccome sopravvivo con l’inglese, non sono bravissimo a parlarlo, col presidente non ci si trovava mai a parlare di calcio, a spiegare determinate scelte… Sono tutte dinamiche che venivano rimbalzate di sponda al presidente. Fino ad un certo punto mi sentivo forte, perché sentivo accanto Fienga e dietro sentivo Pallotta, che comunque era felice del percorso che stavamo facendo. A me erano stati chiesti determinati obiettivi: abbassare i costi, rendere la squadra più giovane e renderla allo stesso tempo competitiva. Io credo che si stesse andando d’amore e d’accordo. Però a dicembre vinciamo una partita a Firenze per 4-1 ed eravamo in piena lotta per Champions League, terzi in classifica. Mando un messaggio al presidente Pallotta di auguri di Natale. Dopo la vittoria la Firenze, uno si aspetta, almeno gli auguri di Natale, che però non sono mai arrivato. A un certo punto ho detto: ‘Qua c’è qualche problema, c’è qualche problema che mi sta sfuggendo e che forse parte un pochino più da lontano, qualcosa che non mi stanno raccontando. Evidentemente forse avrò sbagliato qualcosa, c’è qualcosa che non va’. Successivamente a quello rientriamo dalle vacanze, io comunque faccio delle operazioni con Fienga e spiego che ci ero rimasto anche male che il presidente non mi avesse risposto a questo messaggio di augurio di Natale. Riprendi il campionato e perdiamo due partite, con Bologna e Torino. Avevo il sentore che fossimo tornati male da quella pausa invernale, perché già si parlava dei Friedkin. Tranquillizzai il gruppo: non ci sarebbe stata una rivoluzione. Dissi, però, che alla ripresa non li stavo vedendo bene. Chiesi a Fienga di farmi delle modifiche all’interno della struttura medica: io ritenevo che ci fossero alcune persone non professionalmente preparate, volevo fare una piccola rivoluzione, perché gli infortuni nella Roma erano tantissimi. E questa cosa non mi fu fatta. Io ho capito che in quel momento stavo perdendo forza, non avevo più l’autonomia che avevo prima. Dopo il Covid facciamo delle partite e ci rimettiamo in una posizione classifica molto apprezzabile. Il Presidente Pallotta fa una dichiarazione pubblica in cui ringrazia tutti: massaggiatori, magazzinieri, anche quelli che portavano l’ambulanza. Si dimenticò di Gianluca Petrachi. E lì, purtroppo, la mia istintività ha fatto sì che scrivessi un messaggio al Presidente non proprio bello. Un messaggio di aiuto, un grido d’allarme: ‘Mi stai abbandonando, però se c’è qualcosa parliamo da uomini!’ E da lì poi si è innescato un meccanismo al contrario. Non c’è stato mai nulla di così grave, di così offensivo. Il mio era un richiamo al fatto che mi dovesse dare forza, perché stavo perdendo di mano quella che era la situazione. Lì ero solo, non ho viaggiato sempre con collaboratori. Venivo dal Torino, avevo sicuramente un’ottima credibilità, ma Roma è un mistero, Roma è Roma. Non è difficile come piazza per la tifoseria, è esattamente il contrario: la piazza di Roma come tifoseria per me è una delle migliori che abbiamo in Italia, è proprio il contesto dove si fa fatica. Non rinnego nulla di ciò che è accaduto, certamente ripensando a quello che è stato. Se prendo la posizione, chiamo direttamente Pallotta e cerco di capire. Forse l’unica cosa che mi rimproverò è quella di non essere stato io a prendere l’iniziativa a chiamare il Presidente e dire ‘Cosa sta succedendo’?”.

Ora, ad esempio, i Friedkin sono molto sempre presenti alle partite e agli allenamenti… a Roma hanno avvertito questo. Quello che dicevi ha dei riscontri nei fatti.

“Da questo punto di vista, ho anche creato un percorso diverso. Sono stati fatti tanti cambiamenti nella mia gestione. Qualche giocatore lo sento ancora: ‘Avevi preparato il terreno, ne ha beneficiato sicuramente Mourinho, tante cose sono cambiate a Trigoria, tante situazioni…’ Quindi, vuol dire, poi, ci rimani male. Ciò che mi dispiace di tutta questa situazione è che io sono uscito fuori con una figura che non è la mia: quella che Petrachi fa causa alla Roma. Petrachi è stato licenziato per una finta giusta causa, quindi si è difeso da un licenziamento. Oggi Petrachi passa per quello che denuncia le società. Io mi sono semplicemente difeso”.

Quali sono le tre operazioni che hai fatto di cui vorresti parlare e perché? Sánchez Miño, ad esempio.

“Sánchez Miño era il primo giocatore per cui spendemmo un po’ di soldi: 3 milioni e mezzo di euro, nel 2013. All’inizio, finché non è diventato comunitario, dovevamo scegliere tra lui e Bruno Perez. Li tenevamo tutti e due lì, però erano tutti e due extra. Sánchez Miño l’abbiamo dovuto un mese e mezzo di ritiro e il passaporto non vedeva. Ventura bestemmiava dalla mattina alla sera. Il problema è che Sánchez Miño parte con i buoni presupposti e il problema è che lo lascia a morire. Uscì fuori una personalità che non conoscevo naturalmente. Si vedeva che, uno che giocava alla Bombonera a 18 anni, giocava con una personalità da vendere.  Penso anche a Spinazzola, che avevo preso in scambio con Pellegrini. All’Europeo Spinazzola saltava sistematicamente l’uomo. Abbiamo vinto gli europei per Spinazzola a Chiesa, i giocatori che ci hanno fatto fare la differenza. Il problema oggi è trovare i giocatori che le saltano l’uomo. Noi in quell’Europeo avevamo questi due giocatori che erano semplicemente devastanti. E poi alla fine il differenziale fu di 7 milioni di euro”.

Mancini, a mio avviso, è un difensore di qualità. A volte, però, ho la sensazione che si guardi troppo allo specchio. È una cosa che si vede solo da fuori?

“Gianluca è un ragazzo dedito al suo lavoro, è un professionista, è uno che non sa perdere, è un ‘rosicone’. È  anche questa la sua forza: quella di non saper perdere, di non darsi mai per perso. Però, secondo me, a volte eccede e diventa troppo presuntuoso. Secondo me l’istante deve decelerare, è troppo accelerato. Già tre anni fa, quando l’ho portato, voleva fare l’allenatore. Mentalmente è già avanti. Questo può essere un pregio, ma può diventare un difetto se non lo utilizzi bene. Secondo me lui non ha fatto questo step e mi auguro che lui lo faccia, perché a volte è troppo. Dovrebbe lavorare più in umiltà, essere un po’ più tranquillo, più slowly, e secondo me può fare ancora qualcosa”.