Se n’è andato anche Pablito, o Paolorossi se preferite, scritto così, come tutti noi lo abbiamo sempre chiamato…
Ricordo da bambino quando la Lazio acquistò Rossi, attaccante, dal Como; il suo arrivo, come sempre quando “compravamo” qualcuno, generò speranze ed illusioni, ma capimmo presto, molto presto, di aver preso il Rossi sbagliato, e non me ne voglia il buon Renzo, calciatore volenteroso e capace, ma, lo ammetterà anche lui, lontano anni luce dall’allora compagno di squadra Paolo, il “signor Rossi” che da li a pochi anni sarebbe esploso a livello nazionale ed internazionale, infiammando prima la tifoseria vicentina, in quel “Real Vicenza” che sognò addirittura lo scudetto, e poi, soprattutto, l’Italia intera ai Mondiali d’Argentina, dove nacque il soprannome che lo ha reso celebre ovunque, e poi ancora, quattro lunghissimi e tormentatissimi anni dopo, al Mundial spagnolo, quando, brutto, bruttissimo anatroccolo nel girone di qualificazione, dispiegò nuovamente le sue ali da magnifico cigno annientando prima il Brasile di Zico, Socrates e Falcao, poi la Polonia di Boniek, suo compagno di squadra nella Juventus ed in fine, anzi in finale, la Germania (Ovest) di Rumenigge e Breitner; anche se, dovessimo davvero accostarlo ad un animale, sarebbe più opportuno paragonarlo ad un rapace, ad un avvoltoio, oppure ad una volpe; habitat naturale, manco a dirlo, l’area di rigore, persino quella piccola, normalmente riservata al portiere.
Non aveva la classe di Giordano o le doti acrobatiche di Pruzzo e Bettega; fisico asciutto, al limite della magrezza, nessuna percezione apparente di muscoli, viso scavato da ciclista di fatica, di quelli che s’incurvano sulla bici e scalano montagne tirando fuori la forza chissà da dove. E lui era così; spuntava senza avviso, chissà da dove…
A volte ti rendevi conto che stesse giocando soltanto quando, dopo un gol, quasi sempre in mischia, di rimpallo, di “rapina”, si componeva il suo nome sul tabellone luminoso dello stadio, od il radiocronista di turno ne annunciava l’ennesimo raid, l’ennesima incursione vincente, pronunciandone il nome, fino a quel momento quasi del tutto ignorato: “ha segnato Paolorossi”…
Carattere mite, sempre sorridente come spesso succede ai timidi, una vocina leggera che sembrava quasi chiedere scusa ogni qualvolta qualcuno gli domandava un parere, un giudizio; in campo nessun vezzo particolare se non quella maglietta costantemente fuori dai pantaloncini che ne sfinava ancor di più l’esiguità; ginocchia fragili e carriera per questo troppo breve, interrotta in gioventù da continui infortuni e poi, nell’80, dal primo calcioscommesse, nel quale fu coinvolto per ingenuità e leggerezza, non certo per volontà di pilotare chissà cosa, perché lui i risultati li cambiava sul campo, all’improvviso, spuntando chissà da dove…
Oggi con lui viene a mancare un pezzo della nostra Storia e lo scrivo con la esse maiuscola perché per quell’Italia, martoriata dagli scandali, uccisa dalle stragi, segnata da rapimenti e squassata dal terremoto, la rinascita di Paolorossi segnò (è proprio il caso di dirlo) una piccola rivincita, significò rialzare un po’ la testa e ritrovare credibilità e dignità nei confronti del Mondo intero; il segnale che anche senza doti fisiche straordinarie, un uomo qualsiasi, purché intelligente, scaltro e rapido di pensiero, con tanta voglia di fare, tanta abnegazione e determinazione, poteva arrivare ad arrampicarsi fino in vetta, più in alto di tutti.
“…Era l’anno dei Mondiali, quelli dell’86, Paolo Rossi era un ragazzo come noi…”