Home Editoriale Nel calcio conta ‘solo’ il risultato? Storia di vincenti…

Nel calcio conta ‘solo’ il risultato? Storia di vincenti…

Mancini
Roberto Mancini - ph: Leonard Berisha/KeyPress

Mancini

La concretezza o l’estetica? Il gioco bello e arioso a discapito anche del risultato o la vittoria come unica via assoluta? Una diatriba che va avanti da sempre, nel mondo del calcio, e probabilmente non troverà mai un vero vincitore o un punto d’incontro.

Un vecchio detto, nel football americano, afferma che l’attacco fa vendere i biglietti ma la difesa fa vincere le partite. Probabilmente Roberto Mancini, ma prima di lui i vari Lippi, Capello, lo stesso Mourinho, ne ha fatto un dogma visto che l’Inter di quest’anno, partita con la Fiorentina a parte, praticamente non incassa gol. Fortuna? Imprecisione degli avversari? Forse. Ma ridurre l’annata che Icardi e compagni stanno disputando solo a questi dati sarebbe riduttivo. Il Mancio, dopo i primi sei mesi per riprendere contatto con l’ambiente interista, ha imposto i suoi dettami, partendo proprio dalla retroguardia: per chi era abituato ai vari Maicon, Samuel, Lucio (o Materazzi) e Chivu c’era bisogno di un revisione totale. Così la coppia formata da Miranda e Murillo sono diventati il bunker dietro ai quali si erge la diga Handanovic: loro tre, insieme ad una cerniera mediana formata, via via, dai vari Medel, Felipe Melo, Brozovic, Kondogbia, sono il segreto di una formazione prima in classifica e che, per la solidità sinora mostrata, non sembra aver punti deboli.

La compattezza dell’Inter però è stata messa in difficoltà solamente una volta: dalla spumeggiante Fiorentina di Paulo Sousa. I viola sono gli unici che sono riusciti a passare in vantaggio contro i nerazzurri per poi dilagare nel corso del match. Ed ecco che allora torniamo alla domanda iniziale: spettacolo o concretezza? Kalinic e compagni stanno impressionando in Italia, sebbene abbiano avuto delle battute a vuoto non ultima la prima frazione di ieri contro l’Empoli, ma non altrettanto in Europa dove serve un approccio diverso. Il Napoli si basa quasi esclusivamente sul suo tridente delle meraviglie, Insigne-Higuain-Callejon, e su un Reina strepitoso. La Roma, decisamente fragile nel reparto arretrato, ha però il miglior attacco della serie A con la capacità di mandare in gol chiunque.

Zeman o Capello? Wenger o Mourinho? Il dibattito resta aperto e il punto di incontro probabilmente non si troverà mai. O forse sì: ma i Sacchi e i Guardiola non nascono certo tutti i giorni…

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