L’Inter lavora sodo ad Appiano Gentile, in arrivo il match contro la Lazio del nuovo tecnico Edy Reja. Una sfida difficile quella dell’Olimpico, i nerazzurri di Mazzarri vogliono farsi trovare pronti ed iniziare il 2014 con il piede giusto. Qualche problemino per Taider, un affaticamento muscolare per il centrocampista ex Bologna. Mazzarri attende gli argentini, la sfida contro la Lazio è di quelle toste, da non sottovalutare, per questo l’allenatore toscano vuole avere il gruppo al completo per preparare al meglio la sfida.
Sul fronte mercato prosegue la trattativa che dovrebbe portare Guarin al Chelsea alla corte di Mourinho. La decisione sembra esser stata presa, il colombiano sarà ceduto per far cassa, soldi freschi da poter reinvestire per rinforzare la rosa a disposizione di Mazzarri.
Nel frattempo torna a parlare AngeloMario Moratti, queste le parole del dirigente interista rilasciate alla Gazzetta dello Sport: “Cosa ricordo del giorno che papà mi disse vendo l’Inter? Non c’è stato un momento specifico, come non ci fu, nel 1995, quando la ricomprò. Per farle capire: sa quando per la prima volta mio padre mi disse “Se capiamo che vendere è la soluzione migliore, dobbiamo pensarci”? Credo fosse il 1996, appena un anno dopo essere tornati proprietari. La sua filosofia non è mai cambiata: una porta sempre aperta, mai un senso di proprietà totale dell’Inter. Non possesso, semmai responsabilità. Inter modello unico? Modello unico nella misura in cui credo sia unico il legame che c’è sempre stato e c’è fra noi e la squadra: non ci si può aspettare, e anzi sarebbe ingiusto nei confronti dei nuovi soci, che possa essere ricalcato. Troppa responsabilità? Sicuramente la stessa che ha portato mio padre a ritenere che il suo mecenatismo senza alcun ritorno, sia a livello di investimenti che di immagine, fosse una formula ormai inattuale. Di più: in prospettiva, addirittura pericolosa per la società stessa. La prima a rischiare di rimetterci, quando la famiglia per qualunque ragione avesse deciso di smettere di investire. Cosa dissi a mio padre quel giorno? Ero stato troppo coinvolto in quella scelta per poter sentire un colpo al cuore: al di là dei dispiaceri personali, davanti a tutto c’è sempre stato il meglio per l’Inter. Scegliere un modello radicalmente diverso poteva essere un cambiamento realizzabile anche al nostro interno, ma si sarebbe dovuta cambiare la natura della nostra natura: il fatto di essere così interisti, tifosi in maniera così viscerale, di fatto non avrebbe invece permesso i cambiamenti necessari. Per questo trovo che mio padre abbia dato prova di grande intelligenza, oltre che di amore per l’Inter. Il mio blitz da Thohir il 25 luglio salvò la trattativa? Non fu un incontro riparatorio, ma chiarificatore: importante, non così decisivo. I momenti chiave della trattativa sono stati altri: il primo faccia a faccia con tutti i soci; l’incontro di Parigi, quando abbiamo capito davvero di aver scelto la strada giusta e le persone giuste; e poi, personalmente, un viaggio in macchina io e Thohir da soli, da Milano a Imbersago, a parlare delle nostre “vision” sull’Inter del futuro, scoprendoci più vicini di quanto forse immaginassimo. Cosa mi dicono i tifosi? I tifosi tendono sempre a dire cose che fanno piacere a chi se le sente dire, dunque: “L’Inter sarà sempre dei Moratti”. Ma è importante che non sia così, che l’Inter sia indipendente da un investitore unico, che sia solida di suo. Questo senza perdere la sua natura, ma facendo sì che non sia più legata esclusivamente all’amore di una famiglia. Preoccupati per le idee di Thohir basate solo sul business? Quella del calcio italiano non è una semplice decadenza, è una crisi profonda: il tonfo c’è già stato ed è molto difficile per chiunque aver voglia di scommettere su un mondo che non ha saputo dare garanzie. Aggrapparsi ai modelli passati sarebbe irresponsabile: vale per dirigenti, media, tifosi; viceversa, creare un diverso modello di efficienza è l’unica strada. Che comporta rischi e sacrifici: ad esempio dover fare i conti con tempi diversi rispetto a quelli a cui si era abituati fino a qualche anno fa. E’ più facile che fra due anni i Moratti escano dall’Inter o che, come da clausola contrattuale, possano riprendersi tutta l’Inter? Mi pare più facile, ma soprattutto più importante, immaginare che si possa lavorare con grande unione di intenti e che il progetto che abbiamo concordato inizi a realizzarsi. Non sarebbe inconcepibile pensare di uscire dall’Inter, ma Thohir e i suoi soci ci chiedono esattamente il contrario e quello che sentiamo al momento, al di là di quote, clausole o possibilità di veto esistenti, è una grande sintonia, oltre che un grande senso di responsabilità. E difficilmente potrebbe essere il contrario: ovunque si entri, all’Inter si respira ancora la presenza della mia famiglia. Un Moratti presidente? E’ stato chiesto ad entrambi, ma la risposta è sempre stata no, da subito. Era anche una questione di chiarezza verso l’esterno che uno di loro ricoprisse quella carica: per avere, anzi vivere, ancora di più la responsabilità di investire nell’Inter. Cosa farò come vice? ho il dovere di vivere da dentro questa partnership; una continuità della memoria storica della famiglia; soprattutto la condivisione della stessa idea di futuro, dunque la necessità di lavorare insieme: per come è impostata adesso l’Inter, saremmo in difficoltà gli uni senza gli altri”.