Ospite di Fedez al Podcast Muschio Selvaggio, Paolo Maldini ha parlato della sua carriera da calciatore e di quella da dirigente.
Milan, Maldini: “La testa è importante, ma deve essere abbinata al talento“
Maldini ha ripercorso ai microfoni di Muschio Selvaggio alcuni degli episodi più importanti della sua carriera. Ecco alcune domande alle quali l’ex calciatore ha risposto durante la lunga chiacchierata con Fedez.
La tua storia parte da piccolo…
“È partita con mio papà, che è stato un grande calciatore e rende la mia storia ancora più particolare. Mio papà è stato il primo calciatore del Milan a vincere la Champions nel ’63 con una squadra italiana. Sono molto legato al Milan e Milano e all’ambiente rossonero“.
Quanto ha pesato l’aspettativa?
“Tanto, i miei genitori mi hanno dato tutto quello che ho bagaglio mio, educazione in primis. Mio papà mi ha instradato verso un’idea di professionismo anni ’60, io sono nato nel ’68 e sono di un’altra epoca. Ho dovuto cercare la sua idea ai tempi moderni. Io ho iniziato a 16 anni da professionista ma volevo vivere la mia vita. Credo sia stato un passo importante di emancipazione staccandomi da questa idee, poi l’ho fatto abituare ad una nuova idea di professionismo. Mio papà giocava la domenica alle tre, lunedì libero e poi ritiro fino alla partita dopo, ed era troppo“.
Le voci sulla raccomandazione, poi scendevi in campo…
“Mi è pesato, e purtroppo anche sui miei figli. Loro hanno avuto dopa pressione, ma a me è pesato. Mi è pesato quando avevo 11, 12, 13 e 14 anni. Avevo un obiettivo e una passione, ma a quell’età pensi a divertirti. Avere tutte quelle aspettativa mi ha tolto la parte un po’ più divertente. Ci sono due modi per affrontare ciò: prendere troppo peso e avere aspettative che non riesci a mantenere, oppure lottare e far vedere quanto vali. E’ presto a quell’età lì perché c’è sempre divertimento nel calcio. L’idea del papà che ha un bambino che gioca a calcio e dice “mio figlio è un campione” mette tanta aspettativa e a volte sono anche false. Di quelli che iniziano nelle giovanili del Milan, solo l’1% riesce ad arrivare in alto“.
A 17 anni il primo gol in Serie A. Che emozione è stata?
“Mio primo gol in Serie A l’ho fatto a 17 anni, a Como. Mi ricordo tantissimi episodi di più della metà partite in cui ho giocato. Non sapevo cosa fare, era il primo gol. Ero un po’ stordito per il primo minuto e mezzo. Poi abbiamo anche vinto quella partita, quindi tanta carica e speri di arrivare al risultato finale. Mi ricordo anche che Berlusconi mi regalò un orologio con la dedica. La dedica era molto semplice ma bella”.
La testa è tutto?
“Importante se abbinata al talento, alla gioia del gioco e alla disciplina. Prima di Sacchi non eravamo così precisi, contava la disciplina in area, la volontà. Salvi o fai un gol per un decimo di secondo, quella cosa che è costante e la fai tua ti aiuta. Tra un grandissimo calciatore e uno buono, non c’è un 10% di differenze, che la fanno i particolari”:
Quali sono le differenze tra Sacchi, Ancelotti e Capello?
“Nel carattere: Sacchi non ha giocato a calcio. Non dico avesse timore, ma magari aveva una maniera d’approccio diversa rispetto a quella di un grande ex calciatore. E’ stato molto difficile anche perché è cambiato il metodo di lavoro: con Sacchi ci ha ammazzato. C’erano meno conoscenze rispetto ad oggi perché poi sono arrivati i preparatori ateltici. Io credo di essere andato in overtraining per metà della mia carriera. L’importante è non mescolare troppi lavori. Io andavo a casa ed ero fidanzata con Adriana, ma non ce la facevo a mangiare fuori (ride, ndr). Ancelotti l’ho avuta nella parte migliore della mia vita, quando hai 30 anni gestisci le emozioni in maniera diversa e godi dei momenti di tensione. La cosa che più mi manca è quel misto di eccitazione e paura che c’e quando si arriva allo stadio nelle grandi partite. Prima dici “Cazzo…”, poi speri di riprovarla. Dopo i 30 anni vivi le cose in maniera più logica e tranquilla. Capello mi ha preso e mi ha detto: “Sai di essere il migliore al mondo?” e da lì ho preso la responsabilità del migliore del mondo e mi ha fatto crescere molto”.
Che ricordi hai di Maradona?
“Lui e Ronaldo il brasiliano sono i più forti. Io non ho giocato contro Messi, grazie a Dio. Cr7 è un grande bomber, ma ha meno magia degli altri due. Io ero veloce e forte fisicamente, ma loro erano ancora più veloci. Diego poi era simpaticissimo: quando l’hanno nominato nella Home of fame, mi sono vergognato per avergli dato tante di quelle botte e gli chiesi scusa”.
Non ci sono più le bandiere…
“Adesso è molto più difficile, gli italiani non andavano quasi mai all’estero ed era più facile rimanere all’interno del proprio paese. La cosa importante è essere ambizioso: se sei ambizioso e trovi tutto quello che hai bisogno per arrivare al tuo traguardo nella squadra in cui nato è facile. Ma se fossi nato in un altro club che non aveva le mie stesse ambizioni…”.
Come mai ci sono sempre meno bandiere?
“A me non è mai mancato niente. L’importanza di giocare in uno sport di squadra insegna che conta quello che hai e non da dove vieni. Fin di piccolo degli orari, degli obiettivi, è un insegnamento continuo. Io non giudico chi sceglie una squadra solo per una questione economico. Ci sono anche ragazzi di 16-17 che grazie al calcio devono aiutare la famiglia, è una cosa pesante e non semplice”.
Ti ricordi l’episodio con Chiellini in un Milan-Juventus della stagione 2008-2009 quando gli hai messo le mani al collo?
“In occasione di un corner mi aveva dato una gomitata, io mi ero già rotto il naso più volte e quindi volevo evitare di romperlo di nuovo e quindi mi sono arrabbiato parecchio. Poi è arrivato Buffon e mi ha detto di calmarmi. Sono cose che capitano, però dovete sapere che in allenamento è anche peggio, capita di perdere anche la pazienza. Mi ricordo poi un altro episodio, in un trofeo Berlusconi in cui ho tirato una testata a Casiraghi, mio compagno di squadra in nazionale. Che vergogna quella volta. In quella partita avevo anche segnato e alla fine ero stato eletto miglior giocatore della partita nonostante l’espulsione. Io lo rifiuto perchè mi vergognavo. Casiraghi tra l’altro il giorno dopo si doveva sposare e lo ha fatto con l’occhio nero”.
È più importante il talento o l’ossessione nello sport?
“Il talento aiuta. Tutti sono preparati fisicamente e tatticamente, ma l’ossessione e la disciplina fanno la differenza. Ci sono giocatori che hanno abbassato la loro forza fisica e la mentalità a causa di un infortunio magari e non essere più quelli di prima”.
Finale di Istanbul. Cos’è successo all’intervallo?
“Ho fatto gol io in finale dopo 40 secondi e lì avevo capito che c’era qualcosa di strano (ride, ndr). E’ una partita che abbiamo dominato per 110 minuti, loro hanno giocato bene 10 minuti e siamo riusciti a perdere. Ci sono state tante speculazioni su quello che è successo all’intervallo, siamo entrati nello spogliatoio urlando tutti perchè eravamo nervosissimi, è intervenuto Ancelotti urlando per farci stare zitti. Hanno detto che avevamo festeggiato, io da capitano non lo avrei mai permesso e anche i miei compagni non lo averebbero mai fatto. Sono cose lontane dalla realtà, è quasi stupido commentarle. Il calcio è bello anche per questo. Il Liverpool aveva fatto un cambio difensivo per non prendere altri gol e invece ne fanno tre in sei minuti. Il bello del calcio è anche che due anni dopo abbiamo avuto la possibilità ad Atene di affrontare nuovamente il Liverpool e di vincere”.
Qual è il futuro economico del calcio?
“In questo momento il gap è enorme e non è facile da colmare. Il Milan è stato un grande club fino al 2007, poi ha fatto fatica a stare dietro a livello di ricavi a certi club come PSG, Real e United. Noi oggi, a livello di mercato, battagliamo, perdendo dal punto di vista economico, con squadre che arrivano 18esime nella Premier League inglese. Il potere economico di queste squadre è superiore al nostro, però noi abbiamo tradizione e idee”.
Che rapporto hai con Berlusconi?
“All’inizio non era un politico. Quando è arrivato al Milan ci ha raccontato il suo progetto e ci hanno fatto sognare a tutti. Berlusconi non era conosciuto come oggi, quindi qualche dubbio lo abbiamo avuto quando ci ha detto che voleva portare il Milan in vetta al mondo. Lui è arrivato e ha riorganizzato tutto il club come un’azienda che doveva funzionare. Lui era metodico, controllava tutto. Si preparava in tutto, prima di parlare con qualcuno voleva sapere tutto di lui. Prima di diventare primo ministro nel 1994, ad inizio stagione, ci disse che avevamo tre obiettivi: vincere il campionato, vincere la Champions e lui doveva diventare presidente del consiglio. Ci disse che se avessimo vinto la Champions League lui avrebbe avuto più chance di diventare primo ministro. E come è andata? Abbiamo vinto il campionato, la Champions e lui è diventato primo ministro. Io conoscevo suo figlio Pier Silvio, mi capitava di andare ad Arcore con lui. Se abbiamo parlato di politica? No, magari è successo sul calcio. Sulla vita in generale lui è sempre stato molto attento. Lui è sempre stato molto attento a tutti noi. Un anno fa sono stato ad Arcore con lui e Galliani, e ha chiesto cose sulla mia famiglia e cose così. Sono cose fanno piacere, vuol dire che ci tiene”.
Leao può diventare un top player e un top rapper?
“Ha già fatto un disco. Una volta mi ha chiesto se poteva farlo uscire il venerdì e il sabato poi giocavamo. Io gli faccio: ‘Cosa?!’. Lui poi mi ha spiegato che nel mondo della musica i dischi escono il venerdì. E gli ho detto: ‘Allora domani devi fare due gol’. Leao è un talento pazzesco. Io sono un esteta grazie a mio papà e Leao è bello da vedere, è qualcosa di unico. Ha le carte in regola per diventare un top. Lui era in panchina al Lille e quando è arrivato gli ho detto che lui giocava per il suo Instagram perchè metteva video bellissimi con dei dribbling e giocate, ma poi finiva la stagione con due gol segnati. Lo abbiamo aiutato a cambiare questa mentalità. Uno così talentuoso deve lavorare anche più degli altri per sfruttare il suo talento”.
Hai chiarito con Spalletti?
“Non c’è bisogno di chiarirsi. La cosa bella della maturità è anche questa. E’ venuto fuori una frase che non ho detto (“Hai già vinto lo scudetto, non rompere i c…”, ndr). Io non volevo fare casino ed essere rumoroso, in quel momento i protagonisti erano altri e non noi”.
Ristrutturare San Siro o costruire un nuovo stadio?
“Se vogliamo vivere di ricordi restiamo a San Siro. La storia la fanno i giocatori. E’ uno stadio che è cambiato tanto, non è più quello che è stato costruito 80 anni fa. Ma possiamo andare avanti a vivere di ricordi? Oppure costruiamo un nuovo stadio moderno che ci permetta di aumentare i ricavi? La cosa che più mi dà fastidio è che la città di Milano ha capito questa cosa, non è possibile non cogliere un’occasione del genere”.
Che rapporto hai con l’Inter?
“C’è massimo rispetto, ma non è una cosa solo mia. Quando è arrivato Nesta dalla Lazio mi chiese quali erano i ristoranti in cui poteva andare e quali no, perchè a Roma è così. Gli dissi che poteva andare dove voleva. C’è un antagonismo sano tra le due squadre”.