Didier Drogba al passo d’addio
L’essere “svincolato”, per un calciatore professionista, non è una cosa positiva: significa non avere un contratto, doversi allenare da solo sperando che qualcuno si possa accorgere dandogli un’ulteriore chance. Ma significa anche che per alcuni è arrivata (forse) l’ora di appendere gli scarpini al chiodo e a pensare ad altro. Farà sorridere, ma anche Didier Drogba è un giocatore svincolato. Recentemente ha festeggiato 39 anni e non ha squadra. “Come non ha squadra uno dei più forti giocatori africani della storia del calcio?”, dirà il tifoso accesso. Eppure è così: Drogba, dopo la parentesi con i Montreal Impact, non ha una squadra dove poter far (ri)vedere la sua forza, la sua tecnica e le sue giocate che gli hanno permesso di diventare un giocatore di fama planetaria. Per la prima volta, lo spazio “Football Legend” è dedicato ad un giocatore ancora in attività, anche se ormai prossimo (forse) al ritiro.
Drogba è un giocatore ivoriano, il più forte della storia del suo Paese (con buona pace di Yaya Touré…), uno dei calciatori che ha contribuito a far far il salto di qualità al calcio nella sua terra e nel suo Continente. Tecnicamente, Drogba è (stato) una prima punta fisicata e con il gol nel sangue. Reti anche acrobatiche di destro, sinistro e di testa per uno dei migliori giocatori giunti in Europa dall’Africa, un Continente che da anni si sta scrollando di dosso il fatto di essere (calcisticamente) arretrato ma che anche grazie a calciatori come lui è riuscito a sfornare giocatori di talento.
Nativo di Abidjan, ex capitale della Costa d’Avorio, Didier Drogba sin da piccolo si appassionò al calcio e verso la fine degli anni Ottanta partì dal povero Paese affacciato sul golfo di Guinea alla volta della Francia per seguire uno zio calciatore professionista. Ma l’impatto con l’Europa fu traumatico per il giovane Didier, tanto da pensare, dopo i primi tempi in Francia, di lasciar perdere: fortuna (per gli amanti del calcio) che ha cambiato idea!
L’attaccante ivoriano ha all’attivo 365 reti segnate in carriera, di cui sessantacinque con la Nazionale degli Elefanti con cui ha partecipato a tre Mondiali e cinque Coppe d’Africa. Se nella kermesse iridata, la Nazionale ivoriana ha avuto poca fortuna (tre eliminazioni consecutive al primo turno), nella coppa continentale Drogba l’ha trascinata a due secondi posti e ad un quarto posto. Ca va sans dire che lui è il top scorer degli Elefanti.
Ma parlare del Didier Drogba attaccante della Nazionale ivoriana è riduttivo, molto riduttivo. Perché l’attaccante di Aadijan non è stato solo il numero 11 di una selezione nazionale arrivata tardi ad un appuntamento mondiale (prima qualificazione solo nel 2006), ma Drogba è stato altro. Didier Drogba è stato il Chelsea: non si può parlare dell’uno senza parlare dell’altro. E se i blues sono diventati competitivi in patria ed in Europa, tra il 2004 ed il 2012, lo devono anche al loro bomber con le treccine.
Prima di approdare in Premier League, Drogba ha dovuto fare la gavetta e come la maggior parte di tanti i calciatori africani (forse aiutati dal comune idioma) la sua carriera è iniziata in Francia. Drogba approdò nell’Esagono vestendo i colori di molte squadre giovanili tra il 1988 ed il 1997 (Dunkerque, Abbeville, Tourcoing, Vannes, Levallois).
Il primo contratto “pro” lo siglò con il Le Mans, club allora militante in Division 2 (stagione 1998/1999). Con i rossi della Loira giocò tre anni e mezzo con risultati che non fecero pensare che un giorno sarebbe diventato un top player planetario: 72 presenze con quindici reti, di cui due stagioni senza segnare reti.
Eppure nel gennaio 2002, il giovane Didier passò ad un club nell’allora Division 1, il Guingamp Con la squadra bretone restò una stagione e mezzo. Nei primi sei mesi i gol furono pochi, ma la stagione successiva Drogba andò in doppia cifra. Con il Guingamp siglò 17 reti ed il suo stile di gioco cambiò. A fine stagione cambiò ancora squadra, passando in una delle grandi del calcio transalpino, l’Olympique Marsiglia. E in riva al Mediterraneo, a 25 anni, Drogba si dimostrò un grande calciatore: 55 presenze, trentadue reti, di cui quattordici tra Champions League e Coppa Uefa. I marsigliesi si classificarono al settimo posto in campionato ma arrivarono in finale di Coppa Uefa, venendo sconfitti dal Valencia: come cinque anni prima, i bianco-celesti furono sconfitti all’ultimo atto (allora vinse il Parma).
Se nel 2004 Drogba divenne un giocatore completo cui molte squadre europee iniziarono a segnarsi il nome, nello stesso anno a Londra, uno sconosciuto, ma munifico, imprenditore russo, Roman Abramovich era dalla stagione precedente a capo di una squadra dal passato nobile ma da anni in difficoltà, il Chelsea.
Il magnate di Saratov era (ed è ancora oggi) uno cui piace il calcio e il suo sogno era quello di far grande il Chelsea. E fece subito la cose in grande, ingaggiando prima un giovane tecnico portoghese che aveva da poco vinto la Champions League con il Porto, José Mourinho e poi giocatori del calibro di Paulo Ferreira, Petr Čech, Arjen Robben, Mateja Kežman, Tiago Mendes, Ricardo Carvalho. Ma il fiore all’occhiello della campagna estiva di rafforzamento del Chelsea è stato Didier Drogba che approdò in Premier League per una cifra pari a 24 milioni di sterline, diventando (allora) il più costoso acquisto della storia del club. Da quel momento, il Chelsea divenne grande grazie a Drogba e Drogba divenne grande grazie al Chelsea.
Il primo anno vide l’ivoniano (allora con il numero 15 sulle spalle) segnare sedici reti ed il club vincere subito il campionato e la Football League Cup: se la coppa mancava da sette stagioni nella bacheca blues, il titolo di campione d’Inghilterra manca nel quartiere chich di Londra da cinquant’anni esatti. E Drogba fu uno dei cardini di quella stagione che vide i blues spingersi fino alla semifinale di Champions League, sconfitti dal Liverpool.
Nelle sue nove stagioni a Stamford Brigde, il Chelsea vincerà tre Premier League, quattro Coppe d’Inghilterra, due Coppe di Lega, due Community Shield e una Champions League. Il miracolo era avvenuto: grazie ad Abramovich, il Chelsea era uscito dall’anonimato ed era diventato un top team. A distanza del mitico Chelsea di Vialli, Zola e di Matteo, i londinesi tornarono a vincere in Europa.
Didier Drogba è stato il leader di quella squadra che iniziò la stagione prima con Villas-Boas, arrivato a Stamford Bridge con le stimmate del “Mourinho 2”, ma che la terminò Roberto di Matteo, già giocatore del Chelsea.
Non è sbagliato sostenere che quella Champions l’abbia vinta da solo Drogba: sei gol, di cui tre nella fase a gironi e gol decisivi negli ottavi contro il Napoli ed in semifinale contro il Barcellona, oltre al fatto che nella finale dell’Allianz Arena di Monaco di Baviera, il talento di Abidjan segnò il gol del pareggio al minuto 88 siglò il rigore decisivo nella lotteria. A 34 anni, Didier Drogba aveva raggiunto il top della carriera e la vittoria della Champions lo liberò del fatto di essere un incompiuto a livello internazionale, in particolare dopo la sconfitta nella finale di Coppa Uefa e l’aggressione all’arbitro Ovredo durante la semifinale di Champions contro il Barcellona del 2009 che estromise lui, e la squadra, dalla finale di Roma.
Il 20 giugno 2012 fece armi e bagagli, salutò l’Europa e si accasò allo Shangai Shensua, dove trovò l’ex compagno di reparto Nicholas Anelka. Il suo ingaggio fu monstre: un milione al mese per due anni e mezzo in un campionato modesto agli albori degli ingaggi multimiliardari di oggi. Si interruppe un matrimonio bellissimo con il Chelsea: 381 presenze e centosessantaquattro reti, di cui trentacinque realizzate in Europa che lo rendono ancora oggi primatista in casa Chelsea. E con la squadra londinese vinse due volte la classifica marcatori (2006/2007 con 20 reti, 2009/2010 con ventinove). Le sue due reti più importanti furono quella di Monaco di Baviera e quella datata 11 marzo 2012 allo Stoke City, rete dal grande valore simbolico: la “centesima” di un giocatore africano nel massimo campionato inglese.
Ma gli mancava troppo il calcio che contava, il calcio bello, quello europeo e tornò in Europa partendo da un torneo di terza fascia, quello turco. La massima serie turca è nota per essere un campionato nel complesso discreto con gli spalti carichi di tifosi festanti ed urlanti, ma è anche noto per essere un cimitero degli elefanti, dove tanti calciatori over riescono a strappare l’ultimo contratto miliardario. E Drogba il 28 gennaio 2013, leader degli Elefanti ivoriani, non poteva che finire nel club più forte del Paese, il Galatasaray di Istanbul.
Con il club turco giocò cinquantatre partite con venti reti segnate, vincendo un titolo nazionale, una Coppa turca e una Supercoppa nazionale, diventando l’idolo della Türk Telekom Arena. Il “Gala”, allenato prima da Fatih Terim e poi da Roberto Mancini, poteva contare tra le sue fila giocatori di caratura come Burak Yılmaz e gli ex “italiani” Wesley Sneijder, Felipe Melo, Fernando Muslera e Tomáš Ujfaluši.
Il momento più esaltante in Turchia per Drogba si divise in duedate, 26 febbraio e 18 marzo 2014: ottavi di finale di Champions League. Drogba affrontò per la prima volta da avversario il Chelsea e tornò a Stamford Brigde da avversario. Il “Gala” fu eliminato dalla competizione, ma Drogba venne applaudito dal primo all’ultimo minuto dai suoi ex tifosi.
Ma all’attaccante ivoriano mancava troppo il calcio che contava, quello bello, quello con gli stadi pieni e dove si praticava il miglior calcio d’Europa e del Mondo. E nell’estate 2014 Drogba partì alla volta della Premier League, dove rimase però una stagione. E in quale squadra approdò? Nel Chelsea, of course. A due anni dal clamoroso divorzio, la coppia Drogba-blues “tornò insieme” anche se per solo una stagione. Drogba aveva il compito di riportare in alto il Chelsea, visto che i blues erano reduci in campionato da un amaro terzo posto, in Champions League la corsa si era fermata in semifinale per mano di un incredibile Atletico Madrid e ad inizio stagione il Bayern Monaco campione d’Europa aveva battuto ai rigori i Blues nella Supercoppa europea.
In 28 partite di campionato, Drogba timbrò solo quattro volte, chiuso da giocatori più giovani e molto più incisivi di lui. Ma tant’è: ai tifosi era bastato rivedere il loro campione dalla pelle color ebano, e con il fisico di un corazziere, con indosso la maglia della loro squadra del cuore. E fine stagione i blues vinsero il titolo e la League One, mentre in Champions uscirono agli ottavi per mano del PSG.
Finiva nell’estate 2015, e questa volte in via definitiva, il matrimonio Drogba-Chelsea. Un amore nato a suon di miliardi ma ripagata dal primo gol (il 24 agosto 2004 al Crystal Palace) all’ultimo (29 aprile 2015, gol al Leicester City). Nella classifica all time dei marcatori del Chelsea, l’asso di Abidjan si colloca al quarto posto dietro a Dixon, Tambling e Lampard, con la chicca di essere ancora oggi il top scorer blues in Europa con 35 reti.
Ma il 37enne Drogba non ne aveva voglia di smettere con il “lavoro” che lo ha reso tra i più grandi del suo Continente ed ecco che il 27 luglio 2015 decise di accasarsi nella remunerativa Major League Soccer, firmando con i Montrel Impact: un anno e mezzo di contratto a 3 milioni di dollari a stagione.
Con la franchigia canadese, Drogba era la punta di diamante di una squadra nel complesso non proprio competitiva (a parte la presenza in rosa del nazionale belga Laurent Ciman) e nei due campionati giocò 41 partite, segnando ventitre reti. La squadra allenata dal canadese Mauro Biello si piazzò settima ed undicesima, arrivando la prima stagione in finale di Champions League nordamericana dove venne sconfitto dai messicani dell’América. Ma con la fine del torneo Drogba disse basta, svincolandosi. Da quel momento non è calato il sipario sulla sua strepitosa carriera ma in pratica è come se lo fosse. E lo scorso 11 marzo, giorno del suo 39° compleanno, i social network si sono scatenati nel ricordare il giorno più importante dell’anno di uno dei giocatori più decisivi di questo inizio di XXI secolo, nonché un giocatore che ha fatto la storia calcistica del Chelsea e del suo Paese.
Didier Drogba fa parte di quella nidiata di calciatori che hanno reso affascinante, e non più una cosa esotica, il calcio africano e reso mediatica la Coppa d’Africa.
E in Coppa d’Africa, Drogba trascinò gli Elefanti due volte in finale e a vincere la medaglia d’argento: nel 2006 contro l’Egitto e nel 2012 contro il sorprendente Zambia. Con la maglia arancione, Drogba disputò 105 partite, segnando sessantacinque reti. Fu il trascinatore della sua Nazionale nei tre Mondiali cui finora ha preso parte: Germania 2006, SudAfrica 2010 e Brasile 2014. In tutte e tre le occasioni la squadra uscì al primo turno e Drogba mise a segno solo due reti in totale. In Coppa d’Africa ne siglò dieci in cinque edizioni. La sua ultima partita in Nazionale fu contro la Grecia, nella terza partita del girone di Brasile 2014.
La bacheca personale di Drogba vede anche due Palloni d’oro africani conquistati nel 2006 (primo ivoriano a riuscirci) e nel 2009, con quattro secondi posti (2003, 2004, 2005 dietro ad Eto’o; 2012 dietro a Yaya Touré) e due terzi posti (2010 e 2013).
Drogba è la quintessenza del campione: giocatore completo, amato dai tifosi di ogni squadra in cui ha giocato e stimato (se non altrettanto amato) da quelli avversari.
Drogba ora è, come si dice in gergo, “a spasso”: si è vociferato di un suo ritorno al Marsiglia o di un’esperienza in Brasile con il Corinthias, ma ciò è parsa più una boutade che una cosa fondata.
E’ un peccato che un giocatore come lui non sia transitato in Italia se non da avversario in quattro occasioni. E i tifosi italiani un po’ rosicano per aver visto giocare dalle nostri parti il divino Didier.