Maradona è morto, 60 anni di genio e sregolatezza
Sarebbe falso dire che non ce l’aspettassimo; per certi versi, forse, erano anni che temevamo l’arrivo di una notizia del genere, viste le tante peripezie di ogni tipo attraversate durante tutta la sua vita, ma poi, quando il display del telefonino si è illuminato accompagnato dal solito “beep” ed abbiamo girato lo sguardo distogliendoci per un attimo dai nostri impegni quotidiani, sono certo che nessuno di noi, nessun amante del calcio, nessun tifoso, nessun ammiratore del bello, sia rimasto indifferente; sono certo che ognuno, in un attimo, un lampo accecante anche di un solo istante, abbia “rivisto” una sua immagine, rivissuto una sua impresa, riprovato “quelle” sensazioni, quelle emozioni che soltanto pochi sanno trasmettere, tracciando indelebili linee di contatto, invisibili legami affettivi apparentemente ingiustificati per una persona che non si conosce realmente, con la quale non si sia mai scambiata nemmeno una parola…
Ma in fondo noi tutti, lo conoscevamo bene, faceva parte delle nostre vite, sin dai suoi primi vagiti calcistici nelle “cebollitas” argentine, in mezzo a campetti fangosi o estremamente aridi a seconda della stagione, fino a quell’ultima immagine, triste e sbiadita di qualche settimana fa, in occasione del compimento del suo sessantesimo compleanno.
Fra questi due momenti, così lontani, tanti e tanti gesti tecnici irripetibili, tante magie in mezzo al campo, compresa qualche “marachella”, e tante, troppe esagerazioni lontano dal rettangolo verde. Un rapporto, il suo, difficile, complicato, quasi impossibile con la vita di tutti i giorni; fuori dal gioco sembrava non avere alcuna capacità di gestirsi, di dominare il suo ego, di combattere i vizi e le manie che lo perseguitavano ed ai quali si abbandonava, quasi dovesse inconsciamente “scontare” la sua grandezza sportiva, il suo essere immensamente irraggiungibile con il pallone tra i piedi…
Se sia stato davvero IL PIU’ GRANDE, come in molti hanno da sempre sostenuto, contrapponendolo a Pelè, non lo sapremo mai; difficile confrontare Campioni di generazioni diverse, ma certo resterà in assoluto il migliore che io, e con me tutti quelli della mia generazione, ho visto “dal vero”, senza dover ricorrere a vecchie immagini o foto; resterà per sempre quello della “mano di Dio” sventolata in faccia agli inglesi, quello dei palleggi impossibili durante il riscaldamento prima di una partita, quello che si fermava per ore a firmare autografi, che parlava con tutti perché in mezzo alla gente non si sentiva un divo, perché in mezzo alla gente si sentiva più vivo, salvo essere spesso usato e tradito.
Certo non era un santo e non vogliamo farlo passare come tale; in tante vicende, a volte poco chiare, altre lampanti, non ha mostrato il meglio di sé, ma oggi, 25 novembre di un terrificante 2020, non ci vogliamo pensare; oggi in quel lampo accecante, breve ed intensissimo, lo rivediamo un po’ paffutello, con la riccioluta e folta chioma al vento, mentre fa impazzire un nugolo di avversari che gli arrancano dietro, incapaci di agguantarlo e soffocarne la fantasia… si la fantasia, quella di tutti i bambini e poi ragazzi e poi uomini, cresciuti anche sognando, un giorno, di diventare MARADONA.
Addio “Pibe de Oro”