Maradona e la capacità di essere eterno: buon compleanno, Diego

La parola di un campione partito dalla strada e giunto sul tetto del mondo.

Maradona

“Ma passala quella palla, mica sei Maradona!”. Quante volte abbiamo detto o ascoltato questa frase su un campetto, in mezzo alla strada, in una palestra, in qualsiasi luogo dove qualcuno stia prendendo a calci una palla. Un pallone, il più pesante, calciato in Argentina, a Lanús, a Sud di Buenos Aires, che percorre tutto il globo e finisce nella porta dello stadio Azteca in un caldo pomeriggio di giugno, tra tifosi urlanti, telecronisti impazziti, con le lacrime di Victor Hugo Morales, e lo sbalordimento collettivo di un mondo incredulo. A Diego Armando Maradona, nato il 30 ottobre 1960, l’eccesso è sempre piaciuto, con la palla sul rettangolo verde, dalla grazia e la maestria con il quale l’addomesticava, come un pianista suona Bach, nella dote innata, affidata da qualche Dio, e anche fuori dal campo, con le notti brave di Barcellona, quelle di Napoli e le tante dopo il ritiro, sino alla chiusura del sipario nel novembre 2020.

Maradona, il culto e il mito

Diego Armando Maradona è entrato nelle ossa e nei vicoli di ogni città su cui ha messo piede, ponendo un calco indelebile su ogni campo o piazza toccata. Simbolo di un riscatto, di un partire dal basso per arrivare a far cantare, ad esultare, un’intera nazione, un’intera città, entrare e incarnarsi nelle vene più ruvide di un popolo, quello argentino, quello napoletano, parlare alle loro sofferenze, sino a diventarne un simbolo, simbolo di sofferenza, la stessa toccata con mano nella sua infanzia e nella sua età adulta. C’è chi lo paragona ad un Dio, per qualcuno un Dio lo è diventato, nella grottesca costituzione di una chiesa in suo nome, nell’eccesso, l’eccesso persino nel culto.

Maradona, il re a nudo

Un portatore di speranze, sin dai primi palloni toccati a Villa Fiorito. Affacciarsi in un quartiere di Napoli e vedersi riflesso a Buenos Aires, come se la tarantella e il tango fossero figli di un’unica madre, quel 10 maggio 1987, con il riscatto di un popolo intero, specchiato il 26 giugno 1986 a Città del Messico, con la gioia di una nazione, dove ognuno, per un giorno almeno, ha gettato via i problemi per prendere la bandiera, e solo grazie a lui, Maradona. E mentre Maradona diventava grande, Diego cercava di porre le sue fragilità in altre vie, quelle sporche, scomode, più vicine alla morte che alla vita. Le difficoltà, la ricerca di qualcosa di grande, nella consapevolezza dell’errore, e mentre Maradona diventava un capopopolo, Diego giocava a pallone con la propria esistenza, lasciandosi sopraffare da una difesa troppo arcigna per essere sovrastata, senza via d’uscita. Anche i Re possono cadere, come nel pomeriggio di USA 1994 in cui le fragilità di Diego sconfissero Maradona.

«Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires».

Il Sud che batte il Nord – “Gliene facemmo 6! Sai cosa vuol dire per una squadra del Sud farne 6 a Torino all’Avvocato Agnelli?” – il Sud America che sconfigge sul campo la potenza europea, mentre alle Isole Falkland proseguivano gli spari, con le stesse maglie addosso. Maradona simbolo, Maradona eroe, Maradona eretico, bruciato in piazza per i suoi errori, Maradona Re, sempre Maradona.

Questo, in una breve sintesi, è ciò che è stato “Essere Maradona” per la gente, all’estremità del mondo, della vita, del culto, della sua stessa immagine. Diego ha superato gli sterili paragoni generazionali, conditi di dualismi, invidie, guerre, per camminare da Re, su ogni “campo di pallone”, in eterno.