“Mamma, voglio fare il calciatore”, di solito è questa la frase che riecheggia all’interno delle famiglie quando si hanno bambini che cominciano ad affacciarsi al mondo dello sport e del calcio in particolare. Affascinati dai campioni in tv, emulando le gesta dei big più affermati, i nostri ragazzi sognano di calcare il campo verde da gioco, diventando campioni, belli e….ricchi. Sì, perché la professione del calciatore, nel mondo dei professionisti, seppur frutto di un grande amore per il gioco del calcio, è anche sinonimo di guadagnano, forte e consistente. Il calcio di oggi, ma forse di sempre, è un business incredibile, muove migliaia di persone, sponsor, attività varie, e l’aspetto economico arriva di conseguenza. Diciamolo pure, il mondo del calcio, o meglio dei calciatori, è un mondo di privilegi. Contratti faraonici, sponsor che litigano per questo o quel giocatore a suon di milioni di euro, premi a vincere: se sei un fuoriclasse, di conseguenza sei anche un’industria.
Attenzione però, non bisogna pensare solo al gota del calcio. Anche un calciatore non dal piede raffinato, un cosiddetto ‘portatore d’acqua’, così come un tesserato di SerieB o Lega Pro, comunque professionista, strappa contratti importanti, non lontanamente paragonabili ai contratti di “lavori normali”. È giusto? È sbagliato? Da sempre queste domande si susseguono nella nostra società, aumentando di volume soprattutto in questo momento di forte crisi che investe tutti i settori tranne, sembrerebbe, proprio quello del pallone. Sembra non fare più effetto parlare di cartellini al prezzo di 10, 20 o 30 mln di €, o anche di più. Il calcio è questo, prezzi che i ‘comuni mortali’ non riescono a mettere insieme nemmeno dopo tre o quattro vite: e cosi, sembra davvero il minimo far guadagnare ad un calciatore “soltanto” centomila o duecento mila euro a stagione.
E ancora, che valore hanno i contratti? I giornali sono pieni di notizie di adeguamenti e ritocchi, magari dopo solo una stagione positiva o una competizione vinta. I procuratori sono sempre in agguato, pronti a trovare il miglior offerente per il loro assistito, per carità è il loro mestiere, ma spesso ad essere messe spalle al muro sono proprio le società. Anzi, a rimetterci in assoluto è il tifoso, al quale ormai è vietato affezionarsi a questo o quel campione: il tifoso che rappresenta l’unica vera componente di fede e di amore, di attaccamento e di passione in un mondo, quello del pallone, sempre più caratterizzato dall’aspetto economico.