Simone Inzaghi al primo trionfo; per l’Inter arriva la seconda stella.
Al terzo tentativo arriva finalmente per l’Inter di Simone Inzaghi il ventesimo scudetto e la tanto agognata seconda stella da appuntare sul petto prima dei cugini rossoneri. Per chi vi scrive la compagine nerazzurra era la più forte e completa anche nelle due passate stagioni, quando però, gli “infortuni” di Bologna e le imponderabilità del campionato più anomalo della storia (l’unico disputato con un Mondiale nel mezzo…), avevano condotto alle vittorie, peraltro più che meritate, del Milan di Pioli e del Napoli “spaziale” di Spalletti.
Il successo della formazione meneghina stavolta non è mai stato messo in discussione perché nessuna delle presunte e pronosticate rivali è mai riuscita a tenerne il passo, a tratti travolgente e sempre costante, senza veri momenti di crisi, senza appannamenti di rendimento o di risultati.
Nella prima parte del campionato ci ha provato la Juventus di Allegri che ferita dalla penalizzazione dello scorso anno ha cercato di sfruttarne la conseguente esclusione dalle coppe europee; ma quando i “corti musi” non sono più bastati per reggere il passo, la realtà di una rosa troppo corta e sempre più mutilata da fattori esterni (Pogba e Fagioli) è venuta inesorabilmente a galla, lasciando campo libero a chi aveva continuato a marciare senza sosta.
Milan: la storia si ripete | Sei i derby persi
Del Milan si erano perse le tracce già alla quarta giornata con quel 5-1 impietoso che rimarcava le distanze stagionali tra le due compagini milanesi: da una parte una formazione “volatile”, attaccata alle paturnie di un presunto fuoriclasse ancora inconsapevole della sua reale potenzialità, dall’altra una squadra scolpita nella roccia, granitica nelle sue convinzioni e capace sempre di orientare le gare dalla propria parte, anche quando la giornata pareva storta, anche quando tutto sembrava volgere verso il peggio, trovando pure quel pizzico di fortuna che da sempre aiuta i più forti, persino più degli audaci. E nella fortuna comprendiamo anche quelle decisioni arbitrali un po’ al limite che spesso accompagnano i primi della classe sotto lo striscione del traguardo.
Il Napoli e le romane si erano dissolte nel frattempo; gli azzurri bloccati dietro le manie di protagonismo di un presidente “stordito” dal dolce calice dello scudetto ed incapace di rinnovare in maniera adeguata la sua compagine tecnica e dirigenziale, le formazioni capitoline incastrate nel mito di due alchimisti ormai privi delle loro pozioni.
Tornando all’Inter vanno equamente suddivisi i meriti del successo tra i protagonisti in campo e fuori. Primo tra i primi il direttore Marotta, capace ancora una volta di ricostruire e forse migliorare la rosa senza poter spendere un euro, arrampicandosi tra parametri zero, prestiti onerosi, diritti di riscatto e occasioni a basso prezzo ma ad alto rendimento. Anche nell’ultima estate infatti, complice una società fisicamente assente ma ben presente quanto a fardelli finanziari (dei quali rimandiamo l’analisi ad altri capitoli), l’ex plenipotenziario juventino ha dovuto procedere ad un ampio rinnovamento, spesso andando contro corrente, rischiando la faccia in prima persona. Ecco allora gli arrivi di Sommer per Onana e di Thuram per Lukaku; i due esempi più lampanti di lungimiranza e acume tecnico; un mix vincente o se preferite la maniera più saggia per “fare le nozze coi fichi secchi”. Per non parlare poi dell’operazione Frattesi, strappato ad una folta ed agguerritissima concorrenza, e dell’arrivo di calciatori come Carlos Augusto, Pavard e Arnautovic, elementi poco reclamizzati ma funzionali per le rotazioni di Inzaghi. Un po’ fuori contesto Cuadrado ed il ritorno di Sanchez, ma anche le migliori pasticcerie a volte sfornano qualche ciambella priva del canonico buco…
La bravura di Inzaghi, comunque mai rimasto a bocca asciutta anche nelle due precedenti campagne nerazzurre, è stata quella di saper amalgamare velocemente i nuovi con l’organico preesistente, consegnando le chiavi del centrocampo a Calhanoglu, ormai un ex trequartista divenuto lucido e preciso regista oltre che infallibile dal dischetto, affidandosi in difesa a “vecchi califfi” come Acerbi (scalfito solo da polemiche extra campo) ed il duttile Darmian, utilizzato all’occorrenza in ogni dove senza mai perdere colpi; Bastoni, Mkhitaryan, e lo stesso Sommer hanno saputo blindare letteralmente la squadra, consentendo a Barella, Dimarco, Frattesi, Dumfries e soprattutto a Thuram e allo scatenato nonché capitano Lautaro Martinez di imperversare in campo avverso, collezionando un successo dopo l’altro anche con l’ausilio di un gioco piacevole e a tratti armonioso oltre che implacabilmente efficace. Pochi fronzoli, poche chiacchiere, nessun proclama, ma tanta continuità, pressione, supremazia territoriale e una volontà di ferro: tutte qualità che hanno avvicinato questa Inter più a quella “dei record” di trapattoniana memoria che non a quella della tripletta mouriniana. Un’Inter anche bella ma soprattutto forte, inaccessibile e indomita.
Ad Inzaghi, già avviato sulla buona strada negli anni laziali, mancavano due affermazioni per potersi iscrivere nell’albo dei grandi allenatori: lo scudetto ed un successo a livello europeo; il primo tassello è stato felicemente e meritatamente inserito, per quanto concerne il secondo gli interisti e tutti coloro che oltre i colori del tifo hanno a cuore il calcio italiano sperano possa giungere nel minor tempo possibile…