Quanto conta Dani Alves nell’economia della Juventus?
A oggi la Juventus è a 2/3 dell’opera: dopo la vittoria di mercoledì in Coppa Italia e del titolo dei record (il sesto consecutivo) conquistato ieri allo “Stadium” dopo la vittoria contro il Crotone, ai ragazzi di Allegri manca solo la vittoria in Champions League. Nel caso in cui sabato 3 giugno Gianluigi Buffon dovesse alzare al cielo di Cardiff la coppa più importante di tutte, si parlerebbe per la prima volta in casa Juventus di triplete. Una parola che nessuno a Vinovo vuole assolutamente dire o sentire, ma che i tifosi bianconeri non vedono l’ora di centrare vincendo la terza “coppa dalle grandi orecchie” della storia del club torinese.
Allegri ha una rosa molto forte, la più forte degli ultimi sei anni: vuoi per la presenza di Gonzalo Higuain, vuoi per le geometrie di Miralem Pjanić, vuoi per il sacrificio di Mario Mandžukić (che da quando gioca esterno largo sembra un altro giocatore), vuoi per la “BBC”, vuoi per Paulo Dybala che sta diventando sempre più joya, la Juventus è una squadra stellare pronta a far tornare la coppa più importante d’Europa nel Belpaese dal 22 maggio 2010, quando l’Inter l’alzò per l’ultima volta. E in quel caso fu triplete per i nerazzurri.
Tornando alla Juventus, sicuramente il giocatore più positivo della stagione è senza dubbio Dani Alves. Il terzino brasiliano, arrivato in estate dal Barcellona a parametro zero, dopo un avvio molto difficoltoso, è entrato nel cuore dei tifosi juventini non solo perché è un social addicted ma perché, nonostante le 34 “primavere”, sta diventando il giocatore più determinante di tutti.
I mesi di aprile e maggio sono stati importanti per il difensore brasiliano e grazie al suo apporto la Juventus prima è riuscita a guadagnarsi la finale dopo due partite sontuose contro il Monaco (vedere i due assist per Higuain al Montecarlo nel match di andata e il gol del 2-0 nella partita di ritorno) e poi aver indirizzato il match di Coppa Italia con un altro grande gol. Per non parlare di quello che ha fatto in campionato: per chi lo ha preso al fantacalcio in estate, una vera manna dal cielo.
E pensare che fu accolto a Torino tra lo scetticismo di tutti: l’età avanzata (è un ’83), la mancanza (forse) di stimoli, la condizione fisica forse precaria. L’avvio fu stentato, ma via via il giocatore di Juazeiro ha fatto vedere che la carta d’identità è solo un documento con una foto e che l’età riportata non ha importanza per chi gioca a calcio se sta bene di testa, di fisico e…di piede destro.
I tifosi juventini conoscevano bene Dani Alves, visto che con i catalani era stato uno dei migliori giocatori della macchina perfetta di Guardiola prima e di Luis Enrique dopo e il suo palmares parla da solo: può bastare dire che ha all’attivo ben due triplete per far impazzire i tifosi bianconeri nella speranza che con la maglia della loro squadra del cuore possa centrarne un terzo. E se si parla di finali, Dani Alves può tenere lectio magistralis ovunque avendo vinto 27 finali sulle trentaquattro disputate (comprese quelle con la Seleçao) in carriera.
Oggi Dani Alves è la freccia in più all’arco di mister Allegri: dato per finito, partita dopo partita è arrivato addirittura a togliere il posto sulla fascia ad un mostro sacro come Stephan Lichtsteiner, anche se tecnicamente lo svizzero è qualche spanna sotto il numero 23 brasiliano.
E proprio quando la Juve ha faticato di più tra campionato e coppe (sconfitte contro Milan e Genoa, pareggio beffa contro il Lione, gioco che latitava, l’infortunio di Dybala), Dani Alves si era infortunato e i tifosi bianconeri si erano rassegnati all’idea che in corso Galileo avessero tesserato un “bollito”. Ma non appena il “bollito” era tornato a giocare come sapeva, gli era tornata quella tecnica che sembrava scomparsa, ha fatto solo gol pesanti e prestazioni maiuscole in quel 4-2-3-1 che sembra cucito apposta per lui e per i suoi compagni. E qui va il merito ad Allegri di aver tirato fuori il miglior Dani Alves (e la miglior Juventus) possibile.
Poi ovviamente è il calciatore che è sceso in campo: gol della sicurezza a Oporto, gol contro l’Atalanta (vanificato dal pareggio di Freuler all’89’), partita da 8 in pagella contro gli ex compagni del Barcellona nei quarti, due assist ed un gol nella semifinale contro il Monaco, gol in finale di Coppa Italia.
L’importanza di avere Dani Alves in squadra consiste nel giocare con uno che sa il fatto suo, con dei piedi (ed un intelligenza calcistica) che solo i brasiliani possono avere. Per non parlare del fatto che “spacca” le partite e che non si tira mai indietro nei contrasti.
L’importanza di essere Dani Alves consiste nel giocare con testa, personalità, grinta, visione di gioco superiore agli avversari, fare dribbling e tunnel all’avversario di turno per poi entrare in area e mettere la palla dove vuole, anche alle spalle del portiere. Insomma, come disse di lui Luis Enrique in tempi non sospetti: “Dani Alves non è al top per tutte le partite. Lo è soltanto in quelle decisive”.
Del resto, se Dani Alves è uno dei giocatori più vincenti degli anni Duemila (diciotto titoli nazionali e dodici internazionali in dodici anni), ci sarà un motivo. E non perché ha giocato in grandi squadre, ma perché è un grande giocatore. Che è una cosa diversa.