La leggenda, il Clasico

UN CLASICO DA LEGGENDA

AL “CAMP NOU”, SABATO 3 DICEMBRE, IL MONDO DEL CALCIO CELEBRA IL SUO MOMENTO PIU’ ALTO. IN QUELLA CHE, A LIVELLO MONDIALE, E’ “EL PARTIDO”, OVVERO LA MASSIMA ESPRESSIONE DI QUESTO GIOCO.

Dicembre è un mese di verdetti, tutti dobbiamo misurarci con noi stessi, per tracciare un bilancio di fine anno possibilmente senza barare. Il calcio in questo non fa eccezione; e se in Italia, le ultime settimane pallonare che ci traghetteranno verso le festività natalizie sono caratterizzate da una pletora di scontri diretti, in Spagna, ma anche in tutto il mondo, gli occhi e i cuori sono già proiettati a Barcellona.

Mai partita ha saputo mischiare significati che, pretenziosamente, hanno contagiato anche il calcio. Proprio il calcio ha da sempre scritto alcune delle pagine più suggestive, che hanno alimentato l’oleografia di questa rivalità, questo dualismo inscindibile. Anche nel calcio, Madrid e Barcellona, parlano da sempre linguaggi differenti, volutamente in contraddizione, entrambi comunque vincenti.

Da una parte il Real Madrid, il club più prestigioso del mondo, campione d’Europa in carica e pronto a diventarlo anche a livello mondiale; dall’altra il Barça, con il trio di attaccanti più forte degli ultimi 50 anni, forse di sempre, re di quella Spagna che mai lo accetterà fra i suoi figli prediletti.

Due modi diversi, dicevamo, di interpretare questo sport, ma anche di vivere nel loro Paese, che negli ultimi anni vittoriosi ha spesso fatto leva su questa “mescla cultural”; senza però esagerare con gli addensanti, perchè elementi per natura congruenti, “merengues” e “culè” non lo saranno mai.

Il Real Madrid da sempre ha incarnato la forza e l’arroganza del potere centrale; una sorta di emanazione di quel franchismo che ha ghettizzato tutto ciò che era disfunzionale, come la Catalogna e i Paesi Baschi, da sempre refrattari all’ordine costituito (da altri…).
Una lingua, il castigliano, con cui la real Spagna ha colonizzato ed evangelizzato mezzo mondo, contro un idioma, il catalano, da sempre ristretto nei confini della regione che più di tutte arricchisce chi li osteggia.

Un modo di intendere il futbol dove, nella capitale, si vive di manifesta opulenza, con investimenti multimilionari, frutto di quel modo arrogante che da sempre hanno avuto per vincere. E il loro calcio non ha mai potuto esimersi dal dimostrare, senza sconti, la loro superiorità. E l’hanno esportata fuori dai confini patrii, dando subito lustro alla neonata Coppa dei Campioni con le storiche 5 affermazioni consecutive di una squadra ricca di stelle d’oltreconfine, come Puskas, Santamaria, Di Stefano e Kopa. Madrid come il centro del mondo agli albori della grande Europa del calcio.

In Catalogna, grazie alla Masia, si succhia la linfa delle proprie radici, con l’orgoglio di un popolo da sempre generoso nel partorire talenti da urlo. Che siano gallegos (come Suarez) o manchegos (come Iniesta), spesso la Spagna delle periferie ha trovato sbocco lontano dalla matrigna di Castiglia. Per non parlare della catalanità separatista del Pep Guardiola, l’ultimo visionario del calcio. O di chi catalano lo è diventato perchè, se si nasce ribelli, non puoi che giocare lontano dai tiranni, per poterli poi umiliare, come Cruyff nel ’74, in sprezzo a ogni forma di dittatura.

E poi, l’elegia dei campioni, che anche in questo prossimo appuntamento, avranno modo di giocare una partita nella partita, per conquistare uno scettro di Re d’Europa che è stato esclusiva della calda terra di Spagna nelle ultime 7 edizioni. Leo Messi, più tinto nelle vene di “blaugrana” che di “blanquiceleste” punta alla sesta corona, contro le tre di Cristiano Ronaldo. Ma ci sono altri, grandi protagonisti a nobilitare questa partita dalle mille storie in 90 minuti; da Bale, finalmente continuo nel suo essere fuoriclasse, a Neymar, che ha aggiunto fisicità e pragmatismo al suo talento da predestinato, fino a quel Suarez che, come il suo omonimo di 50 anni fa, nobilita i colori del Barça come pochi nella storia di questo club.

E poi, infine, i due maestri di cerimonia. Zinedine Zidane, che sta dimostrando di essere allenatore vero, con quella praticità che in Italia ha imparato nei cinque anni vissuti con la Juve, senza però snaturare la grande potenza di fuoco di una squadra vogliosa di dominare; Luis Enrique, che sta attraversando il suo momento meno brillante, ma le doti di questo asturiano ripudiato dalla casa blanca, per consacrarsi in Catalogna, sono conosciute a tutti. Inutile dire che le sorti della Liga passeranno dalla notte del Camp Nou.