IL NEO PRESIDENTE DELLA FIFA, IN COLOMBIA, ILLUSTRA NUOVI SCENARI NEL CALCIO DEL TERZO MILLENNIO
La storia quasi centenaria della Coppa del Mondo prese origine nel 1930, quando alcune imbarcazioni, fra cui il Conte Verde, che salpò da Genova con a bordo Jules Rimet e la “Vittoria alata” che avrebbe premiato il vincitore, partirono alla volta di Montevideo per la prima edizione dei Mondiali.
Furono tredici le squadre partecipanti, a causa delle parecchie defezioni (fra cui l’Italia) per svariati motivi, perlopiù logistici ed economici.
A distanza di quasi un secolo il numero di partecipanti potrebbe addirittura quasi quadriuplicarsi, grazie alla lungimiranza di Gianni Infantino, presidente neo eletto della FIFA, e additato da molti come l’uomo che dovrebbe traghettare il football verso nuovi orizzonti.
Di certo, l’avvocato svizzero di origini italiane ha dimostrato fin dall’inizio della sua “mission”, di avere delle idee, alcune delle quali già proposte da Michel Platini. Proprio “le roi”, al netto degli scandali che lo hanno coivolto, durante la sua reggenza a capo dell’Uefa dimostrò che il calcio poteva uscire dal ginepraio in cui si era cacciato. Maggiori controlli per arginare speculazioni da parte dei nuovi padroni del calcio, grazie al Fair Play finanziario, la lotta contro i fondi di investimento che stanno drogando il mercato, il suo essere contro ogni introduzione della tecnologia al fine di disumanizzare il ruolo dell’arbitro (su questo abbiamo delle riserve…). Ma soprattutto stiamo assistendo ad una profonda innovazione in materia di competizioni, dal punto di vista strettamente organizzativo.
Logico che, come finalità tutt’altro che secondaria, vi era il consenso da ottenere da più federazioni possibili (leggasi voti), ma se vogliamo guardare la faccenda da una prospettiva più romantica, alcune modifiche apportate si sono rivelate un vero successo. Gli ultimi Europei di calcio, che hanno proposto realtà nuove e competitive, sono il suo lascito, in un calcio dove i ricchi vogliono rimanere sulla torre d’avorio per guardare sprezzanti i peones dall’ alto.
Infantino, dal canto suo, nell’ultima conferenza stampa tenutasi in Colombia qualche giorno fa, ha illustrato il progetto di un Mondiale addirittura a 48 squadre, dopo avere accennato in precedenza ad un allargamento a 40.
Le grandi federazioni, che rappresentano istituzionalmente le grandi nazionali, nicchiano. Le piccole invece scalpitano, nella speranza di immedesimarsi in una nuova Islanda ammazza-grandi.
Prendiamo proprio la patria dei geyser come esempio. Fino a un decennio fa, sullo scacchiere del calcio europeo e mondiale godeva di una considerazione quasi nulla, per non dire folkloristica. Certo, qua e là ogni tanto usciva qualche mosca bianca, come Sigurvinsson o Gudjonsen, ma le loro ottime prestazioni in Bundesliga e Premier League non hanno dato, se non relativamente, grande impulso al movimento. Icone da esibire e poco più.
L’allargamento a 24 squadre negli ultimi Campionati Europei in Francia, ha funto da propellente per stimolare un programma di formazione che sviluppasse un numero sempre più ingente di calciatori. Soprattutto a livello strutturale sono stati fatti passi da gigante, con la costruzione di campi da calcio regolamentari al coperto, inesistenti fino a pochi anni fa. Questo permette all’intero movimento di non arenarsi durante il lunghissimo inverno, ma di continuare a pulsare. Lo stesso campionato, sempre (per ora…) di stampo puramente amatoriale nel lungo periodo ne trarrà giovamento, svezzando sul campo i propri migliori talenti prima di rivenderli ai più importanti club europei.
Quello dell’Islanda è solo la punta dell’iceberg, ma vi sono altre realtà che trarrebbero benefici da un allargamento a 48 squadre della Coppa del Mondo. Ma soprattutto ne beneficierebbe la competizione stessa, con nuovi criteri di selettività.
Senza contare che l’intero sistema calcio, con la nascita di nuove realtà già pulsanti energia vitale come la Cina, l’India e l’Australia, vedrebbe allargati nuovi orizzonti di mercato. E il calcio mondiale, quantomeno a livello di nazionali, vedrebbe più ampliato e accresciuto il suo livello di competitività.
Ora a Infantino resta da trovare la pietra filosofale per traslare questa nuova concezione del football anche a livello di club. Tra fair play finanziario, salary cap e altre amenità, il discorso sarà decisamnete più complesso. Il calcio dei club è di fatto uno sport differente da quello delle nazionali. Si regge su altri parametri, soprattutto è un calcio che crea economia e lavoro. Occorre andarci cauti, ma bisogna intervenire in modo che anche altre realtà facciano parte del gran ballo.
Perchè, oggettivamente, vedere Dinamo Zagabria e Legia Varsavia farsi umiliare così in mondovisione è stato uno strazio.