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La Coppa Italia torna ad essere ambita?

Lazio Lotito

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Diciamolo pure: era tanto che gli ottavi di finale di Coppa Italia non erano accattivanti come quest’anno. Merito delle tante sorprese, dei miracoli delle outsider e dei rumorosi crolli delle big, ma la formula complessiva della competizione resta da cestinare o, se vogliamo usare un eufemismo, da rivedere per larga parte.

Ogni volta che si parla dei problemi della nostra coppetta nazionale, il paragone più spontaneo è con la FA Cup. In realtà, per un fatto di cultura, storia e tradizione, la Coppa Italia non può essere considerata un’omologa della FA Cup, ma piuttosto dell’altra coppa inglese: la bistrattata Coppa di Lega, o Capital One Cup per ragioni di sponsor, ex Carling Cup, ex Worthington Cup, ex Coca Cola Cup, ex di tanti altri sponsor che si sono avvicendati nel nome della competizione dal 1982 in poi, nonostante la coppa esista dal 1961 con la formula dell’andata e ritorno (anche in finale) fino al ’67. Una competizione marginale che ha gli stessi benefit della coppa principale (qualificazione in Europa per la vincitrice) ma che interessa poco o niente, tanto che a gennaio si giocano le semifinali e a febbraio, massimo inizio marzo, si chiude baracca e burattini per non intralciare lo svolgimento della FA Cup, la vera coppa parallela al campionato.

Ecco, nella sua infinita saggezza la Lega di Serie A è andata in Inghilterra per copiare ed esportare la formula della coppa inglese meno considerata, quella che, per capirsi, viene considerata come una delle cause principali dei flop internazionali da chi ne caldeggia la soppressione. Format furbetto con le big che entrano in campo dagli ottavi (e qui siamo riusciti a peggiorare l’originale, dato che in Capital One entrano dai sedicesimi, un turno prima), giocano sempre in casa propria per ridurre al minimo i casi di giantkilling , tranne la semifinale andata e ritorno. Il risultato è l’unico che ci si può aspettare da un’organizzazione tanto fallace che strizza l’occhio ai soliti potenti: stadi vuoti, briciole di diritti tv, desolanti partite di mercoledì pomeriggio alle 14.30 con quattro gatti sugli spalti curiosi di vedere il debutto del ragazzino della primavera di turno. Roba da piangere se paragonata allo spettacolo della FA Cup, il vero modello da seguire nel calcio britannico ed europeo, appunto.

Un’istituzione del calcio dal 1872, la coppa d’Inghilterra deve il suo successo, oltre alla grande tradizione di più antica manifestazione tuttora disputata, al format: non esiste numero fisso di partecipanti, si iscrivono tutti i club, professionistici e non, che sono in grado di ospitare una partita ufficiale (quest’anno 736 club, in Coppa Italia 78!) e soprattutto non ci sono teste di serie, gli Arsenal e i Manchester entrano dai sessantaquattresimi di finale e possono incontrare la squadra di sesta serie così come il Chelsea, finire nell’abituale cornice degli stadi di Premier oppure nel fango di uno sgangherato stadio gremito in ogni ordine di posto. Una vera manifestazione nazionale, insomma, che avvicina i tifosi alla squadra locale, lima le differenze di rango: insomma una coppa incredibilmente romantica che infatti, oltre a regalare storie bellissime, porta sponsor, denaro, prestigio e una novantina di migliaia di tifosi alla finale ogni anno (60.000 all’Olimpico la scorsa stagione) e riempie gli stadi in quasi ogni turno (merito anche dei turni giocati il sabato, anziché in orari inaccessibili).

Se ne parla spesso e il sogno è quello di avere una coppa nazionale un po’ più simile alla coppa più bella d’Europa, piuttosto che alla caricatura della sua brutta copia, ma l’attuale struttura è confermata fino al 2018, quindi per ora non se ne parla. E dal 2018 potremmo sperare se non fosse per la dura e incomprensibile realtà: in ogni altro paese la coppa nazionale è organizzata dalla federazione, come logica vorrebbe, ma in Italia è organizzata dalla Lega di Serie A, un controsenso naturale. Questo paradosso porta con sé l’ineffabile certezza che non ci sarà mai l’intenzione di migliorare la formula di una coppa che in tal caso andrebbe a danneggiare gli interessi dell’aristocrazia pallonara: la Coppa continuerà a giocare alle 14 di mercoledì in stadi in cui risuonerà la eco delle urla del mister che ordina di scaldarsi al ragazzino del vivaio. E gli Alessandria e gli Spezia saranno solo storie da raccontare sempre più sporadicamente. Così è, in Italia, se vi pare.

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