Juventus, Calvo: “Mondiale per club una grandissima opportunità. Serie A in terza fila rispetto a Liga e Premier”

Il dirigente della Juventus elogia quanto fatto fino ad ora

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I TIFOSI DELLA JUVENTUS ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Intervistato da “Calcio e Finanza”, Francesco Calvo, ex dirigente della Roma, e ora alla Juventus ha parlato di tanti temi dal brand al Mondiale per Club.

Calvo: “Il nome Juventus per noi è solo un vantaggio”

Queste le parole riportate da Tuttojuve.com:

Il mondiale per club?“Per noi è una grandissima opportunità, era estremamente importante qualificarci per il futuro della Juventus non solo per quanto riguarda il tema della sostenibilità economica ma anche per la forza commerciale e l’appeal che il nostro club potrà avere a livello internazionale. Questo detto, c’è un elemento di curiosità per capire come sarà questo Mondiale nella sua prima edizione, con 32 club per un mese negli USA. Infatti non sappiamo bene ancora quale sarà l’impatto del torneo, visto che sarà in un momento della stagione particolare considerando che si giocherà tra metà giugno a metà luglio, sarà molto interessante”.

Se è un vantaggio giocare negli USA? “Il fatto di essere negli USA è notevolmente interessante, quello nordamericano è un mercato che sta crescendo, anche se non al livello degli altri sport americani tradizionali, visto che comunque il calcio negli USA resta marginale rispetto agli altri sport.  Però prima ci sarà il Mondiale per Club nel 2025 e poi la Coppa del Mondo nel 2026, quindi speriamo che anche lì con la crescita della MLS negli ultimi anni e l’arrivo di Messi, il calcio riesca veramente a sfondare”.

L’espansione ad Hong Kong? “È un tema sicuramente importante, il calcio è uno sport globale e dobbiamo riuscire a conquistare una audience planetaria. Noi abbiamo un ufficio a Hong Kong con sette persone che però, ahimé è nato nel momento sbagliato ovverosia nel settembre 2019, data a cui sono seguite a stretto giro le proteste per strada a Hong Kong, poi è arrivato il Covid e infine le problematiche legate alla Juventus negli ultimi due anni. Però commercialmente è una spinta importante sui ricavi visto che garantisce circa 7 milioni con una spesa di un milione. Soprattutto in un mondo che difficilmente riusciremmo a raggiungere da Torino”.

Se incide non avere base a Milano? A livello prettamente commerciale Milano offre opportunità superiori rispetto a Torino. Il nostro team commerciale è stabilmente nel capoluogo lombardo, che alla fine è il centro economico italiano. Parlavo con dei colleghi di Ferrari: Maranello è un paesino nel modenese, visitarlo è un’esperienza incredibile, però anche loro hanno aperto un ufficio a Milano che commercialmente conviene anche solo per comodità. Noi per quanto siamo vicini, scontiamo questo problema. Ogni tanto sogno di essere a Milano come società, ma ci sono già due squadre e non ci sarebbe spazio. Detto questo, siamo orgogliosi di poter rappresentare Torino nel mondo, una città a cui siamo storicamente molto legati e che anche i nostri tifosi, italiani e internazionali, considerano casa, una città alla quale Juventus apporta valore in termini di notorietà ed in termini economici, visto l’impatto che ogni partita della Juventus ha sul territorio”.

La quotazione in borsa? “Nell’attività commerciale è assolutamente indifferente, le criticità che vedo sono che tutti lavoriamo di più per quelli che sono gli obblighi di Borsa e parlo in generale dell’azienda, questo è un aspetto negativo. Inoltre essere sui listini ci dà degli obblighi di trasparenza nei confronti del mercato per cui io magari faccio fatica a raccogliere informazioni e dati legati ad accordi di altri aziende mentre noi dobbiamo dare visibilità pubblica per qualsiasi accordo di una certa dimensione. Questo non è mai piacevole. Dà l’impressione di essere il Manchester United italiano, inteso come azienda? Magari sono loro che possono essere ritenuti la Juventus inglese, mi piace di più (ride, ndr)”.

L’odio per la Juve un problema per attrarre sponsor? “Per quanto il calcio possa essere divisivo, il nome Juventus rappresenta molto più un vantaggio che uno svantaggio. Non vediamo grandi problemi o aziende che hanno paura di legarsi alla Juventus pensando alle conseguenze legate agli altri tifosi. Anzi pensano molto più al nostro enorme numero di tifosi. All’estero non c’è nemmeno l’ipotetico aspetto negativo legato alla rivalità italiana, perché la Juventus ha una storia e anche un presente molto importanti che all’estero ci mette alla pari dei grandi club europei.

Tik Tok? Sicuramente è un ambito in cui sono opportunità di crescita, nelle piattaforme legate ai giovani siamo il quarto/quinto club di calcio al mondo e siamo il primo brand italiano sul digital in generale e su TikTok, dove siamo tra i primi dieci per quanto riguarda i club di calcio.

Serie A meno redditizia rispetto ai competitor? “Quello che ci penalizza rispetto ai nostri competitor europei è la struttura che abbiamo alla base, perché la Serie A oggi non è un sistema sviluppato quanto la Premier League inglese e la Liga spagnola. Non ha la stessa diffusione televisiva in tutto il mondo. In particolare oggi si sente molto la differenza tra la Serie A e la Premier League, non con la Liga. Anche perché la Serie A ha un vantaggio di storia e di valore del brand Italia nonché delle squadre di calcio”. 

Se questo dislivello si riflette anche sul calciomercato? “Corretto. Basti pensare che nel 2013 la Juventus vendette Ogbonna al West Ham e molti di noi erano stupiti che il West Ham si potesse permettere di prendere un giocatore che era nazionale italiano ed era alla Juventus. Allora era un segnale di allarme e oggi è la norma. Oggi i nostri giocatori possono andare o alle grandi europee o alle medio-basse inglesi che hanno più risorse di noi. Fa spavento pensare che l’ultima squadra inglese incassi più della prima italiana. Si parla sempre delle prime cinque leghe d’Europa, ma in realtà ce n’è una che è l’Inghilterra, dietro c’è la Spagna e poi ce ne sono tre che sono Italia, Francia e Germania”.

Come risolvere il problema? “È un nodo che ha origine tanti anni fa. Intanto l’Italia il cui Pil non cresce ormai da 20 anni a differenza di altri Paesi europei, poi non abbiamo mai investito negli stadi tranne noi, l’Udinese e l’Atalanta. D’altronde abbiamo visto i problemi che ci sono in qualunque città italiana quando si parla di nuovi stadi. Detto questo, c’è poi un aspetto fondamentale: se il Paese non cresce, se la burocrazia ti ostacola e poi se hai una sistema Serie A che non è ancora al livello della miglior lega europea, diventa molto difficile crescere. È il vero limite che sentiamo oggi, anche se noi facciamo tutto perfetto, e dobbiamo fare tutto perfetto perché non siamo ancora in quella situazione, sappiamo che abbiamo un limite fisiologico di crescita”.

Nella Liga il presidente ha tutti i poteri. “È una situazione simile a quella che avevamo in Italia negli anni ‘90 e all’inizio duemila, quando la Serie A e la Serie B erano insieme in un’unica lega. In quel contesto il calcio funzionava forse meglio, era un business diverso, più piccolo però si decideva. Detto questo, la Serie A, nonostante a volte siamo molto bravi a mostrare all’esterno la faccia peggiore del calcio italiano, il movimento si sta sviluppando e sta investendo per crescere, però serve del tempo per vedere i risultati”.

Come punta a crescere la Serie A? “Negli ultimi 5 anni la Lega ha iniziato un processo di professionalizzazione, creato dipartimenti professionali (competizioni, editoriale, produzione, diritti tv, commerciale e marketing) ed i risultati si stanno iniziando a vedere: ad esempio, i ricavi commerciali sono raddoppiati rispetto al ciclo pre-covid e questa è la testimonianza di un calcio italiano che cresce e di una lega che lavora bene. E anche sportivamente, come vediamo costantemente nelle competizioni europee il cui ranking è il risultato, il calcio italiano funziona bene”.