Italia-Germania, la partita del secolo
1970: si sciolgono i Beatles, inizia la Ostpolitik di Willy Brandt in Germania occidentale, si firma lo Statuto del Lavoratori, si tiene lo storico concerto rock sull’Isola di Wight, entra in vigore la legge sul divorzio ed il Cagliari vince il suo primo storico scudetto.
Quello fu un anno mondiale, in quanto in Messico si disputò la IX edizione dei Campionati del Mondo di calcio. Per la prima volta, in base alla successione Europa-Sud America e visto che quattro anni prima l’organizzazione spettò all’Inghilterra, la kermesse non si disputò sotto lo stretto di Panama, ma in America centrale.
La Nazionale campione uscente era quella dell’Inghilterra ed il novero delle selezioni candidate alla vittoria finale erano diverse: dal Brasile di Pelé alla Germania ovest di Gerd Muller, dalla stessa Nazionale dei Tre leoni alla Celeste uruguaiana campione del Sudamerica ai campioni d’Europa in carica dell’Italia fino al sorprendente Perù di Cubillas.
Per la prima volta nella sua storia, la manifestazione veniva disputata in altura, visto che gli stadi che ospitarono la Coppa Rimet andavano dai 1.536 metri del “Jalisco” di Guadalajara ai 2.176 metri del “Cuauhtémoc” di Puebla, dai 2.200 metri dell’”Azteca” di Città del Messico ai 2.666 metri del “Nemesio Díez” di Toluca. Inoltre, quello fu il primo Mondiale con la finale trasmessa in televisione a colori, il primo Mondiale con due sostituzioni possibili per ogni squadra ed il primo con l’introduzione dei cartellini disciplinari da parte dell’arbitro.
Vi parteciparono sedici squadre, tra cui tre debuttanti (El Salvador, Marocco e Israele).
Ma di quel Mondiale interessa focalizzarsi sulle due semifinali: tre delle quattro squadre impegnate avevano vinto già due volte la Coppa Rimet e se una di queste avesse vinto il trofeo, il 21 giugno 1970 all’”Azteca”, avrebbe conservato per sempre la coppa intitolata all’allora Presidente della FIFA ed ideatore del Campionato del Mondo per Selezioni nazionali, Jules Rimet.
Le due semifinali erano Brasile-Uruguay e Italia-Germania ovest: teatri dei due match, il “Jalisco” e l’”Azteca”.
L’attenzione va rivolta alla nostra partita contro i tedeschi occidentali la cui data è diventata epica: 17 giugno 1970. Quel giorno di cinquant’anni fa, Italia e Germania ovest scrissero una favola, una pagina indelebile della storia del calcio giocando quella è stata ribattezzata come “la partita del secolo”. Il motivo? 4-3 finale per gli azzurri e match concluso ai supplementari con i giocatori esausti per aver giocato 120 minuti tiratissimi ed emozionanti.
Sono passati 50 anni esatti da quella partita e nel frattempo si sono giocate altre partite tirate e decise ai supplementari se non ai rigori ai Mondiali. Eppure nell’immaginario collettivo quella era, è e sempre sarà la “partita del secolo”.
Ma facciamo un passo indietro all’inizio del Mondiale: l’Italia si presentò in Messico da campione d’Europa in carica, ma la paura per la squadra allora allenata da Ferruccio Valcareggi era quella di incappare in un’altra figuraccia come aveva fatto quattro anni prima a Middlesbrough contro la Corea del Nord; la Germania si presentava al Mondiale da vice-campione uscente.
L’Italia fu inserita nel girone B con Uruguay, Svezia ed il debuttante Israele, mentre i tedeschi dell’Ovest furono inseriti nel “D” con Perù, Bulgaria e i debuttanti del Marocco. Le squadre di Ferruccio Valcareggi ed Helmut Schön passarono il turno come prime classificate (l’Italia con una vittoria e due pareggi, la Germania facendo l’en plein) e nei quarti affrontarono rispettivamente Messico ed Inghilterra. Se Facchetti e compagni ebbero vita agevole (4-1), più impegnativa fu la sfida per la Mannschaft, che vinse ai supplementari come rivincita della finale di quattro anni prima: 3-2 e “maestri” eliminati.
Il 17 giugno, come detto, si giocarono le due semifinali. Il Brasile vinse 3-1 contro l’Uruguay e per la quarta volta in nove edizioni si era qualificato per la finale.
L’altra partita fu, come detto, Italia-Germania ovest.
L’Italia che affrontò quel Mondiale era nel complesso forte: in porta una sicurezza come Albertosi (ed in panchina Zoff), in difesa la coppia Burgnich-Facchetti era collaudata, ben assortita ed invalicabile, a centrocampo giostravano tre buoni elementi come de Sisti, Cera e Domenghini e davanti il tridente era costituito da Mazzola, Riva e Boninsegna. Senza contare a disposizione i vari Bertini, Rosato ed in supporto Iuliano, Gori, Prati e Rivera.
Uno dei giovani d’oggi avrà sentito parlare senz’altro dell’attaccante del Milan e sicuramente si chiederà perché l’ex Golden boy del calcio italiano ed europeo, campione d’Europa e del Mondo con il Milan di Rocco e Pallone d’oro l’anno prima, quel giorno fosse in panchina. La risposta è semplice: il Mondiale messicano è passato alla storia per la staffetta Mazzola-Rivera, con i due giocatori che si alternavano in campo. Valcareggi vedeva meglio l’interista, mentre l’Italia dei tifosi vedeva invece meglio il numero 10 rossonero. E proprio quella celebre “staffetta” rese affascinante il torneo messicano.
Proprio il duello tra Mazzola e Rivera subissò di critiche l’allora Commissario tecnico azzurro, conscio del fatto di tenere in panchina il forte numero 10 alessandrino, dando comunque spazio ad un altro giocatore molto forte quale era l’attaccante dell’Inter. La stampa era divisa sulla scelta di Valcareggi, gli italiani anche, con i tifosi non solo milanisti che volevano Rivera sempre in campo dal primo minuto.
I nostri avversari avevano Meier in porta, la difesa era curata da Franz Beckenbauer, dal milanista Schnellinger e da Vogts, a centrocampo agiva Overath, mentre il peso dell’attacco era in mano al piccolo, ma fortissimo, Muller e al bomber dell’Amburgo Seeler. I presupposti per un grande match c’erano.
Valcareggi schierò Albertosi; Burgnich, Facchetti, Bertini e Rosato in difesa; Mazzola, de Sisti, Cera e Domenghini a centrocampo; davanti Riva e Boninsegna; Schon si affidò a Meier; Vogts, Patzke, Beckenbauer e Schnellinger; Schultz, Grabowski e Overath; Müller, Seeler e Löhr.
Arbitro dell’incontro fu designato il fischietto locale Arturo Yamasaki. Assistettero alla partita 102mila spettatori, un record. Calcio d’inizio alle ore 16 messicane, le ore 23 italiane.
Pronti, via e bastarono appena 8 minuti a Boninsegna per siglare il gol dell’1-0, con l’attaccante dell’Inter che superò Meier con un sinistro da fuori area. Lo Stivale esplose di gioia per la rete di “Boninba”, ma da lì in poi gli azzurri faticarono a farsi vedere ancora in avanti, con i tedeschi a fare la partita: non a caso Albertosi fu artefice di alcune parate decisive. Il modulo “all’italiana” sembrò funzionare. Sembrò, perché al 92′ successe la cosa che nessuno più si aspettava: il gol di Schnellinger, al suo primo ed unico gol in Nazionale.
Il roccioso difensore tedesco fu servito con un cross da sinistra di Grabowski e di destro (marcato da nessuno) e trafisse Albertosi.
Schnellinger divenne una sorte di “core ‘n grato” ante litteram visto che allora il gigante tedesco militava nel Milan e da sette stagioni giocava in Italia. E la cosa strana allora non era tanto il gol di un centrale di difesa, ma il fatto che l’arbitro non avesse fischiato al 90’. Le partite finivano sempre al minuto 90 e non venivano mai concessi minuti di recupero come adesso.
1-1, palla al centro e supplementari da giocare. Per i tedeschi quella era la seconda partita consecutiva che si sarebbe decisa oltre i tempi regolamentari, mentre per l’Italia la prima. Per la seconda volta nella storia, la finalista sarebbe uscita dai supplementari: la prima long semifinal fu, infatti, Ungheria-Uruguay del Mondiale 1954.
Con il fischio dell’inizio dei tempi supplementari venne scritta una grande pagina di calcio mondiale.
Al 94′ i tedeschi dell’Ovest fecero già l’1-2: ci pensò Müller a far venire i brividi agli italiani con il gol del momentaneo vantaggio, sfruttando un goffo errore della difesa azzurra tra Albertosi e Rosato. Se quella partita si fosse disputata tra il 1993 ed il 2004 sarebbe terminata con la vittoria tedesca grazie al golden gol dell’attaccante di Nördlingen, ma invece la partita (per la fortuna degli italiani) continuò.
E al minuto 98 arrivò la seconda sorpresa: 2-2 di Burgnich in area di sinistro e partita che iniziò a salire come spettacolo ed intensità. Se Schnellinger aveva segnato il suo primo (ed unico) gol in Nazionale in quella partita, Burgnich segnò la sua seconda rete in azzurro. A servire l’assist per il centrale friulano fu Rivera su punizione: l’attaccante rossonero era subentrato a Mazzola subito all’inizio del secondo tempo regolamentare. 2-2 e partita riaperta, un’altra volta.
Al minuto 104, l’Italia mise la freccia: grande azione di Riva imbeccato da Domenghini sulla sinistra con l’attaccante del Cagliari che superò Meier di sinistro con un rasoterra in area che non gli lasciò scampo.
Cosa avrebbe dovuto fare l’Italia nell’ultimo quarto d’ora di gioco? Come minimo badare a curare il risultato, chiudendosi a chioccia.
Poco dopo l’inizio del secondo extra time, la partita da spettacolare (come punteggio, non come gioco) divenne eroica: Franz Beckenbauer continuò a giocare nonostante giocasse da diversi minuti con il braccio destro fasciato lungo il corpo perché si lussò la spalla. Il futuro “kaiser” non voleva lasciare i compagni in inferiorità numerica e giocò fino alla fine stringendo i denti.
E al 110′ arrivò la doccia fredda tedesca: Müller di testa superò Albertosi sfruttando una spizzata di Seelew in area. Rivera, accanto ad Albertosi sulla linea della porta, rimase fermo a guardare l’avversario colpire, non coprendo al meglio la porta azzurra. Il decimo gol segnato in quel Mondiale dall’allora attaccante del Bayern Monaco fece cadere nella disperazione l’Italia in campo e l’Italia incollata davanti ai televisori in quella pazza notte estiva.
Albertosi se la prese con il compagno, reo di non aver impedito all’avversario di segnare. Rivera già si immaginava i titoli dei giornali contro di lui il giorno dopo se la Germania ovest avesse vinto la partita. Ma l’attaccante di Alessandria non immaginò che il suo nome sarebbe entrato, un minuto dopo nell’almanacco dei gol più importanti della storia del calcio.
Eh sì, perché l’”abatino” di Brera mise a segno il dodicesimo colpo consecutivo degli azzurri dalla ripresa del gioco: l’azione del piatto di destro di Rivera e tutti i compagni che gli saltano addosso ha fatto storia e ancora oggi fa venire i brividi (di gioia). 4-3 e palla per la settima volta a centrocampo.
Al 120° minuto l’arbitro Yamasaki mandò tutti negli spogliatoi: Italia in finale a distanza di trentadue anni da Francia ’38 e Germania a giocarsi il terzo posto contro l’Uruguay.
In Italia la gente uscì per strada a festeggiare ed a sventolare quel tricolore che due anni prima si era issato sul tetto d’Europa e che ora si sperava potesse essere issato sul tetto del Mondo.
Un’Italia stanca e (forse) appagata quattro giorni dopo capitolò per quattro volte sotto i colpi del Brasile di Pelé (autore del vantaggio con un gol ai limiti della fisica per come superò Burgnich) e si aggiudicò definitivamente la Coppa Rimet.
Al terzo posto si classificarono Muller e soci: 1-0 all’Uruguay e Germania Ovest per la quarta volta sul podio mondiale in sette edizioni disputate (e quattro anni dopo vincerà il Mondiale casalingo).
Qualche tempo dopo, i messicani decisero che quell’Italia-Germania doveva essere ricordata in qualche modo. E quale cosa migliore se non affiggere una targa ricordo?
Davanti all’ingresso dell’”Azteca”, ancora oggi, è affissa una targa con queste parole:
“El Estadio Azteca rinde homenaje a las selecciones de: Italia (4) y Alemania (3) protagonistas, en el Mundial de 1970, del “PARTIDO DEL SIGLO”. 17 de junio de 1970”*
Dopo la “partita del secolo”, Italia e Germania si sono affrontate altre 21 volte (quattordici volte in match amichevoli) con sei vittorie italiane (tra cui la finale del Mundial 1982, le semifinali di Germania 2006 e dell’Europeo 2012); otto pareggi e sette vittorie tedesche (una sola in match ufficiali nei quarti di finale di Francia 2016 con vittoria ai rigori).
Lo stadio “Azteca” salì ancora alla ribalta sedici anni dopo nel secondo Mondiale ospitato dal Paese centro-americano: il 22 giugno 1986, a distanza di tre minuti l’uno dall’altro, Diego Armando Maradona compì i suoi due gesti più celebri contro l’Inghilterra, “la mano de dios” e il “gol del secolo”. Due gesti atletici che, come la semifinale del Mondiale 1970, sono entrati nell’immaginario collettivo come senza tempo.
Italia Germania 4-3 è stata anche oggetto di un film nel 1990 con Massimo Ghini e Nancy Brilli dove dei maturandi del 1970 si incontrarono venti anni dopo per raccontare la loro vita guardando proprio la replica della partita che spesso viene riproposta in televisione sui canali tematici a mo’ di amarcord con la telecronaca di Nando Martellini.
Sono passati cinquant’anni esatti da quella partita e di acqua (calcistica) sotto i ponti ne è passata tanta: da allora, ad esempio, altre due semifinali mondiali sono state decise ai supplementari, altre 5 ai rigori e poi tre finali sono state decise nei 120′ e due ai rigori (in entrambi i casi con protagonista l’Italia).
Italia Germania 4-3 (che poi fu 3-4 perché quel giorno la Germania Ovest giocava “in casa”) è stata la vittoria di Valcareggi (anche se contro il Brasile fece giocare Rivera solo sei minuti tra lo stupore di tutti, anche di Pelé). E’ stata la vittoria di Rivera. E’ stata la vittoria di riva e del “blocco Cagliari”. E’ stata la vittoria di tutti.
E’ stata la vittoria di un’intera Nazione che grazie al calcio si scrollò di dosso, anche se per soli 22 giorni, un anno molto intenso e che aprì un decennio terribile per il nostro Paese.
*“Lo stadio Atzeca rende omaggio alle Nazionali di Italia (4) e Germania (3) protagoniste, nel Mondiale del 1970, della “PARTITA DEL SECOLO”. 17 giugno 1970 ”