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Il Mondo ai piedi di Ibrahimovic

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La settimana che ha visto Cristiano Ronaldo, contro il Malmo, realizzare la sua 501a rete in carriera, raggiungendo nella top scorer del Real Madrid un certo Raul, ha visto un altro calciatore superare il record di marcature in un’altra big europea: la doppietta (su rigore) contro il Marsiglia, ha permesso a Zlatan Ibrahimovic di diventare giocatore più prolifico della storia del Paris Saint Germain. Il giocatore svedese ha battuto  il record che il portoghese Pauleta deteneva da sette stagioni: 109 reti in cinque stagioni per l’attaccante di Ponta Delgada, una in più finora quelle realizzate dall’attuale numero 10 che, essendo all’inizio della stagione, e conoscendo il suo potenziale, alzerà ancora di più l’asticella del record da qui a fine stagione.

Centodieci reti, di cui dieci di testa, settantasei di destro, ventidue di sinistro, due con altre parti del corpo, con annessi 39 assist in appena 147 partite, coppe comprese: non si sono più parole per descrivere cos’è diventato il ragazzo difficile nato nel quartiere difficile di Rosergard. E fresco dell’aver spento 34 candeline, Ibra sembra non voler smetter di fare gol e di continuare ad essere sempre un uomo chiacchierato.

Fisicamente stratosfetico (195cmx95kg, 47 di piede), è uomo squadra, è uno che riempie gli stadi per cui vale il prezzo del biglietto, è un accentratore, una primadonna, uno spaccone, uno scontroso, un personaggio magico (all’Inter era “Ibracadabra”) che si esprime in terza persona parlando di se stesso ma è uno che spacca: o piace o non piace. E la sua storia calcistica ne è l’esempio: sedici anni da “pro”, sette maglie cambiate, contratti milionari firmati con facilità disarmante. Con due soli crucci: zeru Palloni d’oro, zeru Champions League.

E sono proprio questi due trofei, la quintessenza per un calciatore, la maledizione del giocatore classe ’81. Vista l’età anagrafica, lo svedese ha ancora pochissime stagioni per vincerli. Anche se, dal punto di vista tecnico, il trofeo Fifa avrebbe dovuto vincerlo almeno una volta, peccato che abbia trovato sul suo percorso gente come Lionel Messi e Cristiano Ronaldo.

E se all’alba della decima giornata, la Ligue 1 francese sembra già archiviata ed indirizzata verso la formazione parigina, la squadra di Laurent Blanc tenterà per l’ennesima volta di vincere la Champions League. E Ibra, al quarto anno in Francia, dopo alcuni “mal di pancia” estivi (destinazione Milan o MLS), sembra carico per tentare davvero questo assalto.

Quando si parla di Zlatan Ibrahimovic si parla di una vera macchina da gol, avendone segnati in carriera 401 in settecentoquaranta partite disputate, ad una media di una rete ogni 1,85 partite. Se il suo palmares è ricco di titoli nazionali (nove titoli in tre campionati diversi con quattro squadre diverse) e di titoli di miglior giocatore svedese (ben nove finora ma si pensa che possano aumentare nel tempo), poco conta se è l’unico ad aver segnato almeno una rete con sei squadre diverse e di essere uno degli dieci “pokeristi” della manifestazione, quella coppa non è ancora riuscito a vincerla. Neanche nel Barcellona dei campionissimi, per intenderci.

Ibrahimovic, quindi, come Dado Prso, Simone Inzaghi, Ruud Van Nisterlooy, Andrij Shevchenko, il nemico Lionel Messi, Bafetimbi Gomis, Mario Gomez, Robert Lewandowski ma, soprattutto, come il calciatore che ha rappresentato la spada di Damocle sulla testa dello svedese, Marco Van Basten.

Il paragone con il “cigno di Utrecht” per Ibrahimovic ha rappresentato nello stesso tempo la carota e il bastone: “carota” perché come movenze, forza e classe ricorda il milanista; “bastone” perché. al contrario di Van Basten, non è mai stato decisivo nelle partite che contano. Eppure, sono oltre dieci anni che tutti dicono che Ibrahimovic sia meglio di Van Basten, ma sono oltre dieci anni che, con poca grazia, possiamo dire che sia vero il contrario.

Eppure ne ha fatta di strada il ragazzo di Rosergard, figlio di immigrati jugoslavi (padre bosniaco, madre croata) dove parolacce e liti avevano il sopravvento su baci e carezze e che lui scendeva in strada a giocare con un pallone per annegare i dispiaceri di una vita grigia. Con il Balkan fece capire a tutti chi fosse: più giovane di due anni di compagni ed avversari, da solo in un tempo segnò ben 8 reti, raddrizzando una partita che con lui in “panca” vide i compagni sotto di quattro.

Andò al Malmo, club di un certo blasone in Patria, ma il ragazzo non è ben visto viste le sue origini famigliari e la sua inclinazione a creare casini con i compagni. Con la maglia del club svedese il suo nome entrò nei taccuini dei più importanti club europei e, al termine della terza stagione con il club biancoblù, l’Ajax se lo accaparrò Con la maglia aiacida in tre stagioni, vinse due campionati, una Coppa ed una Supercoppa d’Olanda. Venne convocato per Portogallo04 ed i tifosi italiani ebbero  l’occasione di assaggiare le sue qualità: il gol di tacco del definitivo 1 a 1 contro l’Italia è un gesto istintivo di rara bellezza.

Però nello spogliatoio dell’Ajax molti compagni lo isolano e a fine stagione vorrebbe cambiare are. Prima di lasciare Amsterdam,  ricompensò i compagni con un gol da cineteca (30 metri palla al piede, scartando cinque avversari). E lui la settimana dopo passò alla Juventus.

Con la casacca bianconera Ibrahimovic vinse altri due scudetti sul campo, poi tolti al club per la vicenda “calciopoli”: Ibra è stato decisivo nel primo, meno nel secondo. La squadra retrocesse in serie B ma non ci volle andare ed approdò alla nemica Inter. Lesa maestà? No, il solito cambio di maglia.

I tifosi interisti andarono in visibilio e con lui in campo vinsero tre scudetti consecutivi. Il ragazzo maturò nella mente, nello spirito ed i gol aumentarono, diventando sempre più decisivo e indispensabile per i suoi compagni. In particolare, lo scudetto 2007/2008 è tutto di Ibrahimovic, visto quel famoso 18 maggio se la Beneamata ha battuto al “Tardini” il Parma e vinse lo scudetto, lo deve, proprio all’ultima giornata, al suo numero 8 che, da subentrato, segnò le due reti più importanti della stagione.

Nonostante la stagione successiva arrivò Josè Mourinho, e lui vinca anche la classifica marcatori, Ibrahimovic non è contento e vuole cambiare aria: vuole il Barcellona di Messi. I tifosi interisti passarono dall’avere un “Ibra idolo” ad un “Ibra traditore”. Sugli spalti i supporter iniziarono a rumoreggiare, ad insultarlo e lui dopo aver segnato alla Lazio, proprio sotto la Nord, avvicinò l’indice sinistro alla bocca in segno di mutismo e con la stessa mano mimò un gesto non proprio cavalleresco. Era rottura totale e ad agosto il giocatore planò in Catalogna per 70 milioni.

Con il Barça, Ibrahimovic sapeva che avrebbe potuto vincere finalmente la Champions League, ma invece neanche in camiseta blaugrana Ibra riuscì ad alzare la coppa più prestigiosa ed il motivo fu semplice: la tanta odiata ed amata Inter mato’ il Barcellona in semifinale proprio grazie a coloro che sostituirono lo svedese in squadra, Diego Milito e Samuel Eto’o.

A Barcellona, autore nel complesso di una stagione soddisfacente con tanto di gol decisivo nel Clasico e il Mondiale per club, lo svedese si mise contro lo spogliatoio, guidato dalla triade Messi-Xavi-Iniesta, ed il tecnico Pep Guardiola. Questi quattro elementi al Nou Camp sono degli eletti e scontrarsi con loro significava mettersi in  a grossi “guai” e da buon “traditore”, Ibrahimovic lasciò Barcellona per tornare a Milano, sponda rossonera dove giocò due stagioni. E, come da tradizione, altro scudetto al primo colpo. Ibra ha 30 anni ed è nel pieno della forma, ancora più forte di prima, tanto da segnare in campionato, nella seconda stagione, 28 reti.

E anche lì è l’Idolo, tutti giocano per lui e lui non tradì le aspettative. Ma anche con il Diavolo non sembra essere tutto perfetto e, complice anche il litigio violento in allenamento con Oguchi Onyewu (dove l’intera squadra cercò di dividerli), nell’estate 2012 salutò e, con il compagno Thiago Silva, salpò in riva alla Senna dove accettò il contratto faraonico propostogli dall’emiro Nasser Al-Khelaïfi, pronto ad allestire una squadra super competitiva con giocatori sensazionali.

La Ligue 1 è un campionato poco spettacolare e tecnico, dove le difese e le marcature non sono come in serie A e lui in questi quattro anni ha segnato a ripetizione, in una formazione che lo vede leader incontrastato in un contesto di campioni. Zlatan fa segnare, è uomo squadra e fa gol pazzeschi: vedere PSG-Bastia di due stagioni fa per capire cosa significhi segnare con il “tocco dello scorpione”.

Ma anche in Francia, nonostante a volte qualcosa non va per il verso giusto, come quando lo scorso 14 marzo si arrabbiò con l’arbitro dopo il match perso contro il Bordeax, sbraitando dicendo che in carriera non aveva mai visto un arbitraggio simile in un “Paese di…” come la Francia. Ed i transalpini, nazionalisti ed amanti della propria Nazione più della mamma, non accolsero con favore le parole del giocatore, sperando che a fine stagione possa andare via dal Paese. Ed invece lui è rimasto sotto la Tour Eiffel superando Pauleta e cercando di vincere quella maledetta coppa dalle grandi orecchie.

Il resto è storia attuale, anzi Storia con la S maiuscola perché stiamo parlando di Zlatan Ibrahimovic, uno che da alla palla del “tu” ma che tutti devono dargli del “voi”. Come un re. Il re del gol.

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