Nostalgia forma mentis
Cos’è la nostalgia? Il sito treccani.it riporta “Desiderio acuto di tornare a vivere in un luogo che è stato di soggiorno abituale”. La nostalgia è la volontà di volere un ritorno al passato, uno stato mentale. E tutto può essere nostalgico: le vacanze estive, i tempi delle scuole, il famoso “stare meglio quando si stava peggio”, il primo bacio, la prima uscita con quella/o che poi diventerà moglie/marito. Ovviamente l’aggettivo di nostalgia, nostalgico, può essere traslato al calcio. Italiano ed estero.
In questi ultimi anni molti rimpiangono il calcio di una volta, il calcio degli anni Ottanta e Novanta, ricordando che non ha nulla a cui spartire con quello dei nostri tempi. Erano gli anni in cui non vi erano le pay tv, gli streaming, gli smartphone e si giocava due giorni la settimana, la domenica pomeriggio ed il famoso “mercoledì di coppa”. Erano gli anni in cui in Italia venivano a giocare calciatori immensi. Erano gli anni in cui gli stadi erano pieni di tifo sincero e limpido, le famiglie passavano una domenica pomeriggio e la sera, davanti a “Novantesimo minuto” o “La domenica sportiva” si commentavano i fatti delle partite. Erano gli anni in cui le squadre italiane erano le mattatrici del calcio europeo: basti pensare all’anno solare 1990, con le nostre squadre capaci di vincere tutte e cinque le manifestazioni calcistiche internazionali di allora (il Milan la Coppa dei Campioni, la Supercoppa europea e la Coppa Intercontinentale; la Juventus la Coppa Uefa; la Sampdoria la Coppa delle Coppe). Mai nessun’altra Nazione europea ha superato il nostro record. Record tremendamente nostalgico ed irripetibile.
Per non parlare dei derby europei di coppa: dai due primi due derby italiani in finale di Coppa Uefa (Juventus vs Fiorentina, Inter vs Roma) ai quattro in nove stagioni consecutive nello stesso trofeo, fino al match tra Milan e Juventus a Manchester il 28 maggio 2003, dove per la prima volte due squadre italiane disputarono la finale di Champions League. Da quando il trofeo non si chiama più Coppa dei Campioni, finali di questo tipo sono capitate già sei volte, mentre tra il 1956 ed il 1992 erano mpossibili perché a giocarsi l’Europa che contava andava solo la squadra nazionale, salvo se questa coincideva con quella europea la stagione consecutiva e allora ne potevano esserci due.
Non vedremo più un’Atalanta in Serie B o un Vicenza arrivare fino alle semifinali di Coppa delle Coppe, un Genoa espugnare Anfield ed arrivare in semifinale di Coppa Uefa come Cagliari e Bologna o ripetere le gesta del Torino in finale di Coppa Uefa. Per il bene che vogliamo alle nostre squadre di club, auguriamo loro il meglio ma difficilmente ciò accadrà. I motivo è semplice: le provinciali hanno “vita” breve oggi in Europa, sopraffatte da un livello tecnico-tattico nettamente superiore. E del resto dal 1999 le nostre squadre non vincono più Coppa Uefa/Europa League dal 1999 e da allora nessun’altra squadra è più arrivata in finale e in sole sei edizioni almeno una squadra è arrivata in semifinale.
Oggi è tutto diverso: alcune volte si gioca da lunedì sera alla domenica sera, gli stadi non sono più pieni come una volta, le pay tv hanno “rubato” tifo attivo e gli smartphone, con le app calcistiche, hanno avvicinato di più i tifosi alle squadre ma li hanno allontanati rispetto ai loro coetanei degli anni d’oro del calcio.
Giustamente i tempi cambiano, ma chi ama visceralmente il calcio ed è nato tra gli anni Sessanta e la prima metà degli Ottanta (quando è venuta al Mondo la maggior parte dei cosiddetti millennials) non può ritrovarsi con questo calcio, mentre non appena può si ricorda dei tempi che furono quando si parlava di calcio se non al bar, in ufficio o a scuola. Ora di calcio parla (anzi, si scrive) sui social network, con litigi e discussioni continue. Per non parlare del fatto che anche le stesse squadre sono cambiate: nel 1999 fece scalpore il passaggio di Chistian Vieri dalla Lazio all’Inter per 90 miliardi. Oggi, la lira non c’è più e se volessimo fare un cambio becero lira-euro 1 a 2, con 45 milioni di euro si prende anche un Joao Mario qualsiasi. Chi ama il calcio di una volta, quello dove Maradona costò 13 miliardi e Platini 250 milioni, non può che rabbrividire nel vedere il passaggio, per 702 milioni di euro complessivi (1,350 miliardi di lire), di Neymar e Mbappé al Paris Saint Germain.
Nel calcio di un tempo i Presidenti delle squadre di calcio erano veri capitani di industria che decidevano di investire parte dei loro soldi nel calcio, mentre ora queste (italiane e non) sono in mano a sceicchi (che spendono PIL di alcuni Stati nel calcio), fondi sovrani, cinesi ed investitori da tutto il globo. Sicuramente girano più soldi oggi di allora, lo spettacolo è senza dubbio migliorato, ma la passione, quella vera, è sfiorita rispetto al passato.
Erano diversi anche i calciatori: oggi uno con il fisico come quello di Maradona (fisico, non piedi) non farebbe strada; non esistono più i calciatori con i baffi ma quelli impomatati e pieni di tatuaggi; vi erano gli scarpini neri con al massimo qualche inserto bianco mentre oggi tutti hanno scarpe fluo. Anche gli incidenti di gioco erano meno pesanti di oggi: spesso sentiamo di crociati e legamenti che si rompono con più frequenza di un tempo, mentre negli anni della “nostalgia” gli infortuni erano gravi ma meno frequenti. Del resto, oggi si gioca molto di più di allora.
Erano gli anni in cui nella nostra Serie A si giocava il calcio più bello del Mondo, mentre oggi a fatica siamo arrivati al terzo posto nel ranking Uefa dopo tanti anni, ma vediamo con il binocolo la Premier e la Liga troppo avanti sideralmente rispetto a noi. Ad essere sinceri in Spagna ci sono solo due squadre che sono considerate le “galline dalle uova d’oro” (Real Madrid e Barcellona), una terza incomoda che crea subbuglio alle due “galline” (Atletico Madrid) e ogni stagione una squadra diversa che lotta per il quarto posto Champions (Villarreal, Valencia, Siviglia, Atletico Madrid per citarne qualcuna), mentre in Inghilterra la Nazionale non riesca ad imporsi nel calcio continentale ed intercontinentale: la Nazionale dei Tre leoni tra il 1966 e oggi ha vinto un Mondiale e conquistato un quarto posto, mentre gli Azzurri, nello stesso lasso di tempo, hanno vinto due Mondiali ed Europeo e hanno raggiunto due volte la finale mondiale e altrettante quella europe. Ci si accontenta di poco da noi, ma godiamo.
Com’era bello negli anni della golden age del calcio nostrano accendere la radio e sentire le voci (tra le tante) di Ameri, Ciotti e Forma oppure vedere in televisione i volti di Brera, Valenti e Tosatti.
Erano gli anni del calcio tutto d’un fiato: calcio d’inizio la domenica alle 14:30 e il mercoledì di coppa tra le 20:15 e le 20:30. Si andava allo stadio con la radiolina attaccata all’orecchio per sentire cosa facevano le avversarie sugli altri campi, si andava con la “banana”, si beveva il “Caffé Borghetti” nel cilindro, tutti avevano il cuscino per sedersi con il simbolo e i colori della squadra del proprio cuore. Insomma, un’era fa nonostante siano passati neanche trent’anni. E quante cose sono cambiate: da un solo straniero in campo all’avere oggi anche undici stranieri in campo, grazie alla “legge Bosman” che ha portato lo spettacolo negli stadi europei ma ha snaturato, alla fine, il “giocattolino” che piaceva alle famiglie. Ogni domenica papà-mamma-figli sciarpetta al collo e “tifo indiavolato” si vedevano dal vivo gli eroi della propria squadra e non dovevano sottostare allo “spezzatino”. E chi non poteva andare allo stadio accendeva la tv e si godeva lo spettacolo domenicale di “Quelli che il calcio…”, il contenitore calcistico ideato Marino Bartoletti, con Paolo Beldì in regia, condotto da Fabio Fazio e con un studio un parterre di gente che solo pensare a loro ora viene il magone nostalgico: da Idris a suor Paola, da MassimoalfredogiuseppemariaBuscemi a Carlo Sassi, da Peter Van Wood ed il suo sgangherato “Atletico” a Takeide Sano, oltre allo staff di “Tutto il calcio minuto per minuto”. Risate ed intrattenimento, con i risultati raccontati in diretta dagli stadi. E sicuramente anche quelli che non seguivano o non amavano il calcio, un occhio ce lo hanno dato di sicuro a quel programma che è arrivato alla venticinquesima edizione consecutiva.
Siamo un popolo calcisticamente nostalgico e ne siamo orgogliosi. Cari ragazzi nati negli anni Duemila, cosa vi siete persi. Fatevelo raccontare dai vostri genitori e dai vostri nonni, ne vale sempre la pena, perché ricordarsi di qualcosa, l'”avere nostalgia”, è sempre una cosa bella.