Sono dieci. Le vittorie consecutive della Lazio di Simone Inzaghi dico. Un record che a Roma, sponda laziale ovviamente, non si vedeva dal lontano 1999, più precisamente dalla stagione 1998-1999, quella che con il senno di poi, fece da apripista allo scudetto arrivato “un campionato dopo”. Un record appunto, che va ad aggiungersi, pesante come un macigno, alla lista di motivi per cui questa Lazio è da ritenersi una seria candidata allo scudetto; perchè ora i fantasmi del passato non fanno più paura.
José María Callejón
Il fantasma più spaventoso di tutti, quello che ogni tifoso laziale ha iniziato a temere fin dal fischio finale della partita con il Brescia, era quello di Callejón. Già, perchè da tre anni a questa parte, in ogni Lazio-Napoli (o Napoli-Lazio, non fa differenza) che si rispetti, c’è sempre stato un esterno destro con il numero 7 sulle spalle pronto a tagliare alle spalle di Radu. La Lazio, che sulla panchina ci fosse Pioli, Inzaghi o chicchessia, contro i partenopei è sempre stata punita in questo modo. è per questo che tutti – o perlomeno la maggior parte – erano convinti che il sogno sarebbe finito ieri sera, proprio con un goal di Josè María Callejón, che si sarebbe finito di parlare della Lazio come rivale per lo scudetto. E invece no, perchè quest’anno, Inzaghi e i suoi, stanno stigmatizzando tutti i fantasmi del passato: prima è toccato al Milan e allo stadio San Siro, dove i biancocelesti non vincevano contro i rossoneri dal lontano settembre 1989; un record (negativo) infranto dal goal di Correa a sette minuti dalla fine. E via, un fantasma in meno. Poi è venuto il turno della Juventus, battuta per ben due volte nel giro di quindici giorni: in campionato, e nella finale di Supercoppa Italiana. E via, un altro fanstama che non fa più paura. Poi, ultimo ma non per importanza, è arrivato quello del Napoli: come già detto, la paura ieri sera era davvero tanta. La Lazio da perdere aveva praticamente tutto, il Napoli nulla. La squadra di Inzaghi, se solo fosse arrivata una sconfitta (cosa che sarebbe potuta accadere se Zielinski non avesse trovato il palo) ne sarebbe uscita con le ossa a pezzi: record di Sven-Göran Eriksson che sarebbe rimasto solamente uguagliato, filotto di successi interrotto e brusca, anzi terribile frenata della macchina che stava viaggiando a tutta velocità verso la vetta della classifica. E invece quella macchina ora continuerà a viaggiare, incurante del fatto che le due rivali, godono di motori più potenti, di “pezzi di ricambio” decisamente migliori, ma questo, partita dopo partita, sta diventando un dettaglio sempre più insignificante.
Fortuna? No, grazie
Qualcuno potrebbe anche obiettare sostenendo che quella dei biancocelesti non sia altro che fortuna. Un po’ infinita, visti gli ormai diciotto punti accumulati negli ultimi dieci minuti di gioco, ma pur sempre fortuna, un qualcosa che prima o poi è destinato, per forza di cose, a finire. Beh, non c’è nulla di più sbagliato, o perlomeno non si tratta solamente di fortuna. Prendiamo ad esempio in analisi il goal di Immobile che ieri sera ha regalato a Inzaghi la possibilità di entrare nella storia: è vero, Ospina compie un vero suicidio, ma quello che in molti non vedono – o fanno finta di non vedere – è il lavoro dell’attaccante biancoceleste. Nel goal infatti, c’è anche un attaccante che all’82° minuto di un match fermo sullo zero a zero – che tutto sommato non sarebbe stato un risultato da buttare – dopo una partita passata a correre da una parte all’altra del reparto offensivo, allo scopo di non lasciare punti di riferimento e di svolgere il solito lavoro spalle alla porta, trova le forze per andare in pressing su di un pallone che nel 99% dei casi rimane sempre agli avversari. Ma non questa volta. Questa volta ha avuto ragione lui. Un altro fantasma di meno, ora avanti il prossimo, grazie.