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Football Legend Zico

L’estate 1980 per il calcio italiano fu il momento della svolta: dopo quattordici anni si decise di riaprire le porte ai giocatori stranieri. Il motivo della chiusura di queste era stato dovuto alla fallimentare spedizione della nostra Nazionale al Mondiale inglese del 1966, chiusosi con la figuraccia mondiale della sconfitta contro la Corea del Nord. Dopo di allora, si decise di non far più venire giocatori stranieri nella nostra Serie A per fare largo ai giovani giocatori nostrani in maniera tale da farli maturare dando loro più spazio nelle prime squadre. Allora non c’era la “legge Bosman” ed erano altri tempi.

IL “GALLETTO” ALLA CONQUISTA DEL MONDO

Fatto sta che da allora, fino all’estate 1984, il nostro campionato vide approdare campioni di fama indiscussa (da Michel Platini a Karl-Heinz Rummenigge; da Falcao a Herbert Prohaska; da Walter Schachner a Dirceu), ma anche giocatori che si rivelarono degli errori madornali (uno su tutti, Luis Danuello alla Pistoiese, l’emblema del “brocco”). In quel periodo molte squadre, anche di livello medio, potevano permettersi giocatori di caratura internazionale. Una di queste è stata l’Udinese, squadra dai colori bianconeri che nell’estate 1983 fece un colpo di mercato clamoroso, portando in Italia quello che allora era considerato il giocatore più forte del Mondo, il brasiliano Arthur Antunes Coimbra, noto con il nomignolo di Zico.

La fama di Zico aveva toccato l’apice durante il Mondiale spagnolo del 1982 quando, con la sua maglia numero 10, era a capo di una Seleção da urlo di cui era la punta di diamante. Si pensava che la Nazionale verde-oro potesse vincere a mani basse la manifestazione mondiale, con in campo dei veri top players. Quel Brasile incontrò però sulla sua strada, nella seconda fase eliminatoria, l’Italia di Bearzot e di “Pablito” Rossi che, con una tripletta clamorosa, fece tornare a casa la squadra di Telê Santana. Nonostante l’uscita anticipata, Zico (allora in forza al Flamengo) fece vedere numeri di grande classe, segnò quattro reti e tutti hanno ancora nella mente la lotta in campo con Claudio Gentile e la maglia numero 10 verde-oro strappata dal difensore della Juventus.

L’attaccante in patria era considerato l’erede designato di Pelé tanto che fu definito, visti i tratti somatici, “Pelé bianco”.

Zico, classe 1953, debuttò con la maglia del Flamengo a venti anni indossando il numero per eccellenza dei fantasista, il 10. Da allora e per tutta la carriera ebbe solo quel numero, il numero dei più grandi. E a venti anni fece vedere che aveva il passo per diventare un grande del calcio, non solo brasiliano.

Rimase in maglia rubro-negro fino al 1983, segnando 346 reti e vincendo molto: sette campionati carioca, quattro campionati brasiliani e, nel 1981, il double Copa Libertadores – Coppa Intercontinentale, sconfiggendo prima i cileni del Cobreloa nella tripla finale (con quattro sue reti) e a Tokyo il Liverpool. Contro i Reds non segnò, ma venne eletto miglior giocare della partita.

Gli anni Settanta – primi Ottanta per il Galinho (il galletto, il suo soprannome) furono ricchi di successi, anche in Nazionale: a parte il bronzo nella Copa America 1979, il Brasile grazie a Zico, il 12 maggio 1981, sconfisse l’Inghilterra a Wembley dopo un’attesa lunga 60 anni. Se Johan Cruijff era il numero 1 in Europa, Zico lo era in Sudamerica.

MIRACOLO A UDINE

Zico nell’estate 1983 fu coinvolto nel trasferimento del secolo: l’asso di Quintino aveva trent’anni, la sua carriera era al top e decise di lasciare per la prima volta il Brasile per provare l’ebbrezza del calcio europeo. Sulle sue tracce si mossero tutti i top team continentali, ma declinò tutte le offerte accasandosi nella tranquilla provincia italiana, a Udine.

Il passaggio di Zico alla compagine allora presieduta da Lamberto Mazza fu molto sofferto e rischiò di naufragare. Partiamo dal principio: l’Udinese tracciò un solco nel 1978 diventando la prima squadra a far apparire uno sponsor sull’abbigliamento tecnico. Una squadra precorritrice, insomma.

Chi contribuì a portare il Galinho alle nostre latitudini? Innanzitutto lo stesso calciatore, pronto a cambiare squadra per cercare nuovi stimoli e pronto a misurarsi in Italia. Le tre persone che si esposero in questa grande operazione di mercato furono Lamberto Mazza (presidente del club e titolare della Zanussi), Franco dal Cin (Dg dell’Udinese) e Lamberto Giuliodori, già intermediario nell’operazione che portò in Friuli Edinho. La parte di Zico fu curata da Juan Figer Svirski, suo agente.

Zico passò al club friulano per 6 miliardi di lire, una cifra alta ma non altissima (Maradona passò al Napoli l’anno dopo per 13 miliardi, ad esempio), ma non si pensò che una provinciale potesse avere tutto quel denaro. Al Flamengo l’Udinese pagò solo il 60% dell’ammontare, mentre la parte restante fu pareggiata tramite una società creata ad hoc, la Grouping Limited, che avrebbe unito tutte le quote derivanti dagli sponsor per tutelare i diritti d’immagine dell’atleta. Apriti cielo per due motivi: la Zanussi era in crisi e aveva tanti dipendenti in cassa integrazione; con uno stratagemma vennero aggirate le norme federali per tesserare i giocatori.

Il 15 giugno si passò alle firme sul contratto dell’operazione di mercato più clamorosa, e spregiudicata, del mondo pallonaro italiano, ma anche la FIGC bloccò tutti i trasferimenti dall’estero compiuti dopo il 13 giugno, poiché la Federcalcio temeva che potesse essere del losco nell’operazione, come in tutte quelle che coinvolsero giocatori brasiliani. L’operazione Zico venne bloccata, come venne bloccato il passaggio di Cerezo alla Roma dall’Atlético Mineiro.

Alla fine, viste le proteste, la FIGC il 22 luglio, dopo vari tentennamenti, stop e riprese, acconsentì al passaggio di Zico e di Cerezo ad Udinese e Roma: altri due giocatori del mitico Brasile 1982 poterono così approdare in Italia. Ma se nel club giallorosso erano comunque presenti molti giocatori di spessore (uno su tutti, Paulo Roberto Falcão) ed era nella élite del nostro calcio, la piazza friulana, fino a cinque stagioni prima in Serie B, andò in visibilio per il suo nuovo giocatore ed in poche settimane furono staccati oltre 26mila abbonamenti, un record per il club bianconero, mai più toccato negli anni a venire, neanche quando divenne un habitué delle coppe europee.

Contribuì ad accelerare la riuscita dell’operazione anche la manifestazione che fecero i tifosi bianconeri quando scesero in piazza affinché Zico potesse venire a giocare con la maglia bianconera. Questi minacciarono anche una scissione territoriale: è ancora oggi celebre la scritta sui muri e lo striscione “O Zico o Austria” in cui si palesava un passaggio del Friuli alla vicina Austria se il Galinho non fosse arrivato. Non era uno scherzo, ma una vera e propria minaccia.

L’Udinese che avrebbe affrontato il campionato 1983/1984 era una squadra dal discreto tasso tecnico avendo in rosa il compagno di Nazionale di Zico, Edinho, ed il campione del Mondo in carica Franco Causio, arrivato nel 1981 in Friuli dalla Juventus, oltre ai difensori Tesser e de Agostini, il centrocampista Gerolin e gli attaccanti Virdis e Pradella.

Il precampionato vide Zico grande protagonista con tanti gol belli e pesanti anche contro squadre blasonate. I tifosi friulani erano ebbri di gioia ed iniziarono a sognare in grande: la parola “scudetto” è stata pronunciata almeno una volta fra i tifosi quella pazza estate 1983.

Zico rimase all’Udinese due stagioni (1983/84; 1984/1985), giocando 49 partite (la Serie A allora era a sedici squadre), segnando complessivamente 27 reti (diciannove solo nel primo campionato): durante la prima stagione siglò 19 reti in campionato, ad una sola marcatura dal capocannoniere Michel Platini. Per la prima volta dai tempi di Giuseppe Secchi (campionato 1956/1957), un giocatore dell’Udinese saliva sul podio dei marcatori e la squadra si classificò al nono posto, retrocedendo però di tre posti rispetto al torneo precedente, quello che vide mancare la qualificazione UEFA per soli tre punti (e la vittoria valeva allora due punti).

Zico iniziò a far capire a tutta Italia chi fosse: prime otto partite, otto reti. Il suo marchio di fabbrica erano le punizioni, ma anche il dribbling e la corsa erano la sua forza. Tutto questo non bastò a far qualificare l’Udinese per la prima volta alle coppe europee, in quanto in primavera si invertì la marcia del girone di andata. E l’assenza in campo del giocatore (tra infortuni e squalifiche) pesò come un macigno sull’andamento del campionato e quando lui non giocava la squadra non vinceva e scendeva piano piano in classifica, per riprendersi solo con il suo ritorno. Udinese Zico-dipendente? Assolutamente si.

L’ADDIO AMARO MA DA ALLORA UN AMORE ETERNO

La stagione successiva vide l’Udinese con in attacco ancora Zico, ma le ambizioni della squadra erano ridimensionate a causa di molte cessioni (Virdis e Causio in primis), una campagna-acquisti non all’altezza e la rottura fra Mazza e Dal Cin, unito al cambio tecnico fra Enzo Ferrari e Luis Vinicio. Il fantasista di Rio era il leader incontrastato della squadra, ma dal gennaio 1985 qualcosa cambio in peggio: un brutto infortunio colpì il giocatore, la squadra andava male in campionato e il giocatore non concluse la stagione, tornandosene in Brasile a causa di alcuni problemi legati all’accusa rivoltagli di costituzione illecita di capitali che lo vide condannato a otto mesi di reclusione e al pagamento di una multa miliardaria. Al termine della stagione la squadra terminò il campionato al dodicesimo posto (ad ex equo con l’Avellino) a tre punti dalla retrocessione.

Eppure nonostante l’addio anticipato, ancora oggi a Udine la parola “Zico” significa dire un nome impegnativo cui necessita portare rispetto. Tutta la Regione, dopo il terremoto del 1976, aveva bisogno di un qualcosa che portasse serenità e felicità e l’arrivo di un top player come lui servì al territorio per riprendersi alla grande. Unito poi al fatto che il giocatore era una persona umile che metteva il lavoro davanti a ogni cosa. E lo stesso attaccante di Rio non ripudiò mai la sua scelta italiana, prendendola come una sfida: facile vincere in una grande squadra ed essere uno dei tanti, meglio cercare di vincere in una piccola squadra ed essere ricordati per aver cercato di farla diventare grande.

Zico però aveva 32 anni ma aveva ancora tanto da dare al calcio e in più c’erano da preparare i Mondiali messicani. Zico tornò nel “suo” Flamengo e nella sua seconda parentesi con la maglia rosso-nera giocò altre quattro stagione, segnando 24 reti, vincendo un campionato brasiliano nel 1987 ma subendo un grave infortunio.

Poi come tanti altri calciatori si trasferì in Giappone un po’ a svernare, un po’ a riempire gli stadi ed un po’ a fare ancora il fenomeno. Cosa che non dimenticò di fare, visto che con iSumitomo Metals e con i Kashima Antlers disputò due stagioni (non consecutive), segnando cinquanta reti. La squadra giapponese all’esterno del suo stadio ha eretto una statua con le sembianze di Zico (e la stessa cosa fece il Flamengo tre anni fa per i sessant’anni del giocatore), tanto per comprendere l’importanza e l’amore verso di lui.

Nel 1994 Zico decise di ritirarsi: a 41 anni era ora di pensare al futuro e decise di appendere le scarpette al chiodo, mentre nel 1989 diede addio alla maglia verde-oro e al calcio giocato. A due anni dal ritiro, fu convinto dalla proposta del club sponsorizzato Sumitomo di tornare a giocare.

Zico partecipò a tre Mondiali consecutivi (terzo posto in Argentina) e ad un Copa America, che vide il Brasile classificarsi al terzo posto. A oggi, Zico è il quarto marcatore della storia dellaSeleção con 53 reti. La sua ultima partita in Nazionale si tenne nel suo “Friuli” e fu Brasile-Resto del Mondo, giocata il 27 marzo 1989. La prima partita di Zico in Nazionale risale al 3 marzo 1975 contro l’Uruguay, debuttando con gol.

IN PANCHINA COME IN CAMPO, VITTORIE

Dopo l’addio al calcio giocato, Zico rimase nell’ambiente, facendo la cosa più semplice per chi ha giocato tanti anni: l’allenatore.

Nella primavera 1998 divenne il vice- di Zagallo prima ai Mondiali francesi, persi in finale in maniera netta contro la Francia. Al termine della kermesse venne esonerato come tutto lo staff tecnico ed intraprese la carriera di allenatore in Giappone, un altro Paese dove è stato sempre trattato con i guanti (a Udine i guanti li usava per giocare per ripararsi dal freddo, una novità per lui).

Tra il 1999 ed il 2006 Zico allenò prima i Kashima Atlers e poi la Nazionale giapponese. Con la Nazionale nipponica vinse la Coppa d’Asia (l’omologo del nostro Europeo) nel 2004,guidandola in due Confederations Cup consecutive (2003 e 2005) e qualificandola al Mondiale tedesco del 2006. Ma il cammino dei giapponesi terminò subito nella fase a gironi, inseriti con Brasile, Australia e Croazia: un punto in tre partite e tutti a casa.

Dal 2006 intraprese un vero e proprio giro del Mondo sulle panchine di squadre di alto livello e di medio livello: Fenerbahçe; Bunyodkor; CSKA Mosca; Olympiakos, Iraq; al-Gharafa eFootball Club Goa. Un vero tour tra Turchia, Uzbekistan, Russia, Grecia, Qatar e SuperLeague indiana, con la parentesi della Nazionale iraqena.

E se vinse tanto da calciatore, non poté non vincere anche da allenatore: due titoli nazionali (turco ed uzbeko), due Supercoppe nazionali (in Turchia e Russia) e due Coppe nazionali (Uzbekistan e Russia): non un palmares eccelso, ma ricco e vario.

Tornando allo Zico-calciatore, questo era un maestro delle punizioni: ha segnato da palla inattiva ad ogni latitudine, facendo anche applaudire gli avversari al momento del gol. Zico eroe universale del calcio, amato in ogni dove e portatore sano della fantasia prestata al calcio. Del resto, come tutti i numeri 10, l’ex Flamengo era un misto di fantasia, estro e magie assortite.

Zico era un leader, ma leader non si diventa, si nasce. E Arthur Antunes Coimbra nacque con le stimmate del predestinato, quelle dell’erede designato di Pelé. Mica una cosa da poco, visto che poi mantenne tutte le promesse.

Questo è stato il Galinho: da re di Rio a re di Udine a re del Giappone nonché eroe dei tre mondi (Sudamerica, Europa e Asia).

Obrigado, Zico.

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