Il ritorno del boemo, e quel Foggia di Zeman…
Il 1991 è stato un anno importante per il Mondo: dall’inizio della guerra nella ex Jugoslavia alla fine dell’apartheid in Sudafrica alla caduta dell’URSS, dall’Oscar alla carriera a Sophia Loren alla morte di Freddy Mercury. Nel nostro Paese al governo c’era il Pentapartito e a capo del governo c’era Giulio Andreotti. Calcisticamente, la Sampdoria aveva vinto il suo primo scudetto e l’Inter aveva vinto la prima delle sue tre Coppe Uefa nel derby contro la Roma.
IL FOGGIA DI ZEMAN
L’attenzione va riposta nel campionato di Serie B: dopo tredici anni, il Foggia di Zeman, vincendo il torneo con sei punti sul Verona secondo, tornava in massima serie dopo tredici anni.
Nato nel 1920, fino a quel momento il club pugliese, maglia rossonera stile Milan e due diavoli paralleli con due palloni come logo, aveva giocato in Serie A solo sette stagioni. Nella stagione 1964/1965 arrivò nono con alla guida il celebre Oronzo Pugliese che si fece notare per un clamoroso 3-2 contro l’Inter campione d’Europa e del Mondo in carica. Altro celebre allenatore del club fu Tommaso Maestrelli che, tra il 1968 ed il 1971, portò la squadra a giocare ancora due stagioni in massima serie e a giocare la fase finale di Coppa Italia.
Il Foggia 1990/1991 era una squadra forte nel suo complesso, con giocatori alle prime esperienze nel calcio che contava. A capo di quella squadra c’era un terzetto che ha fatto la storia del calcio italiano: Pasquale Casillo (presidente), Giuseppe Pavone (direttore sportivo) e Zdenek Zeman.
E proprio quest’ultimo con la sua migliore creatura, Zemanlandia, è il protagonista di oggi dello spazio “Football Legend”, in quanto dalle parti dello stadio Zaccheria fece vedere un calcio mai visto fino ad allora e che lo farà conoscere come un uomo di poche parole, tante sigarette fumate, metodi di allenamento ardui e uno schema di gioco, il 4-3-3, che portava spettacolo in tutti gli stadi. Ma non si parlerà di Zeman in quanto tale, ma della sua creatura, Zemanlandia.
(Ex) cecoslovacco di Praga, Zeman nel 1969 scappò dal suo Paese per approdare in Italia con la sorella a Palermo dove suo zio materno allenava la squadra rosanero, Čestmír Vycpálek. “Cesto” aveva inculcato nello spirito del nipote il gioco del calcio e con uno zio del genere, il giovane Zdenek non poteva che fare anche lui l’allenatore. Iniziò con alcune compagini dilettantistiche del circondario di Palermo e nel 1974 divenne il capo del settore giovanile rosanero. Nel 1979, a 32 anni, ottenne il patentino da allenatore. Zeman poteva allenare i professionisti.
Nel 1983 si mosse a Licata ad allenare la squadra allora militante in Serie C2. Rimase a guidare i gialloblu tre stagioni, portando la squadra per la prima volta nella sua storia nell’allora Serie C1. Le armi di Zeman furono i giovani del vivaio e il suo modulo offensivo.
Il risultato di Licata gli spalancò le porte del Foggia del presidente Casillo, voluto dall’allora ds Pavone che lo consigliò al vulcanico“re del grano”, dal 1986 a capo della dirigenza rossonera. Zeman nel suo primo anno al Foggia ricordò molto il primo Sacchi: come Berlusconi si innamorò di Sacchi dopo che i ducali eliminarono i rossoneri dalla Coppa Italia, Casillo fece lo stesso con Zeman dopo la vittoria contro i siciliani per 4-1, attratto da come giocavano gli avversari. Nonostante le buone intenzioni, Zeman fece male e fu esonerato dopo 27 giornate dopo una stagione molto tribolata, fin dall’inizio con un pesante -5 di penalità per un illecito sportivo (si era paventata la C2 per la squadra di Zeman, in ritiro all’inizio con soli sette giocatori). Non fu un addio, ma un arrivederci.
Zeman prese al Parma, ironia della sorte, il posto di Sacchi passato al Milan. L’allenatore boemo rimase solo sette partite e venne esonerato.
Nella stagione 1988/1989 Zeman tornò in Sicilia e divenne tecnico del Messina dove conquistò un ottavo posto e la squadra giallorossa vinse il “premio” di miglior attacco: 46 reti, di cui la metà esatta segnate da Salvatore Schillaci.
Il modulo zemaniano fu molto apprezzato dalla critica e nell’estate 1989 Casillo diede un’altra chance al tecnico (allora) cecoslovacco. E da lì nacque il mito di Zemanlandia, del Foggia, del tridente BaianoRambaudiSignori e di uno Zaccheria stracolmo di tifosi vocianti.
Il tecnico boemo la prima stagione portò la squadra, neopromossa dalla Serie C1, all’ottavo posto in Serie B, ma la stagione successiva arrivò la vittoria del campionato e un altro giocatore allenato da “Sdengo” (così lo chiamava Pavone) vinse la classifica marcatori, anche se in coabitazione: Francesco Baiano da Napoli, classe 1968, siglò ventidue reti. Altri due compagni di reparto andarono in doppia cifra: Roberto Rambaudi con quindici e Giuseppe Signori con undici. In tre segnarono quarantotto reti, il 70% della squadra. E Zeman, nipote d’arte, si fece notare per le poche (ma non banali) parole espresse nelle interviste e per i metodi di allenamenti che lo contraddistinsero come un novello marine: i celebri gradoni dello “Zaccheria” saltati uno ad uno con pesi sulle spalle e tanta corsa. E l’Italia si innamorò di quella squadra e di quel tecnico che fumava assiduamente a bordo campo.
Gli artefici della promozione furono il portiere Mancini, i difensori Padalino, List e Codispoti, i centrocampisti Barone (capitano), Porro e Manicone e davanti i tre “tenori”. Nessuno di loro aveva mai fatto la serie maggiore e Casillo dovette intervenire sul mercato: arrivarono nel Tavoliere tre stranieri di calibro (il rumeno Dan Petrescu e i russi Igor Shalimov e Igor Kolyvanov) ed un difensore di peso come Salvatore Matrecano. Per il resto, la stessa squadra che aveva vinto in B si preparava a giocare in A, preparandosi senza un centro sportivo o un campo proprio, tanto da preparare le partite nel limitrofo campo di san Ciro e in alcuni casi i giocatori si allenavano nell’antistadio dello Zaccheria.
Il primo torneo in massima serie fu fantastico: 35 punti (dodici vittorie, undici pareggi ed altrettante sconfitte) a soli cinque punti dalla Roma qualificata alla Coppa Uefa, con il pregio di essere stata la seconda squadra più prolifica del torneo dopo il Milan campione nazionale. Capocannoniere della squadra fu ancora Baiano, con sedici reti.
Il nome Foggia entrò di prepotenza nei quotidiani sportivi e non tutti furono sorpresi da quella squadra che giocava a testa alta e che si presentava negli stadi della Serie A con l’intento di fare risultato e non di uscire indenne. Il 4-3-3 fu caratterizzato dalla forte fase offensiva, il tocco di palla veloce e dal fatto che tutti si muovevano in campo, salvo i due centrali di difesa. E proprio il fatto di avere la difesa alta fu motivo di spregiudicatezza: se i gol segnati erano molti, altrettanti erano quelli incassati.
La seconda stagione iniziò con molte cessioni: le grandi squadre si fecero avanti per accaparrarsi i fenomeni di Zeman. Salutarono la Daunia Shalimov (Inter), Barone (Bari), Picasso (Reggiana), Matrecano (Parma) e Porro (Bologna), ma soprattutto si sfaldò il trio d’attacco: Baiano alla Fiorentina, Rambaudi all’Atalanta e Signori alla Lazio. Casillo incassò oltre 50 miliardi, ma la piazza mugugnò. Al posto degli idoli arrivarono altrettanti giocatori senza pedigree (Roy, di Biagio, Mandelli, Caini, Sciacca, Bresciani, Seno). Dopo un avvio insicuro, la svolta Zeman si ebbe il 13 dicembre 1992: 2-1 alla Juventus di Trapattoni e Baggio.
Il secondo torneo in massima serie vide il Foggia chiudere 12°, con tre posizioni in meno in classifica, altrettanti punti in meno e molte reti segnate in meno. Ma tant’è: era Serie A per un’altra stagione e la politica di austerity di Casillo aveva funzionato. E nel frattempo alcuni giocatori del Foggia venivano convocati in Nazionale maggiore.
La terza stagione in A non vide grossi scossoni in uscita, ma arrivarono due giovani di grande prospettiva: il difensore argentino José Chamot ed il MVP della finale della Coppa Intercontinentale 1991, Giovanni Stroppa. Il Foggia era una squadra temuta e rispettata ed a fine stagione arrivò ancora nona: se non avesse perso lo scontro diretto nell’ultima giornata contro il Napoli, Stroppa e soci la stagione successiva avrebbero giocato in Coppa Uefa proprio al posto dei partenopei.
Ma quella fu l’ultima stagione di Zeman in quanto poi in estate passò all’ambiziosa Lazio di Cragnotti, impressionato dal tecnico boemo e da ciò che fece con i Satanelli. La prima stagione di Zeman con i biancocelesti fu fantastica: secondo posto in classifica dietro al Milan, miglior risultato dei capitolini dai tempi dello scudetto del 1974.
Per una Lazio che fece benissimo, ecco un Foggia che retrocesse malamente in serie B: il nuovo mister, Enrico Catuzzi, nonostante i buoni propositi, non impedì la retrocessione e dovette anche incassare un pesante 7-1 in casa proprio della Lazio. Lazio che aveva assorbito fin da subito i dettami del pensiero di Zeman: difesa alta, terzini che spingono, attaccanti che segnano.
Il Foggia da allora non è più tornato in massima serie e questa stagione giocherà in serie cadetta dopo diciannove stagioni di assenza. Zemanlandia non esiste più da quelle parti, ma parlarne ancora in città è come parlare a Napoli delle gesta di Maradona: lacrime agli occhi. Un’esperienza irripetibile per una piazza che oggi, come ieri, ha fame di grande calcio.
Si è cercato di riportare Zemanlandia a Foggia nella stagione 2010/2011. Le minestre riscaldate, si sa, non sono buone, figurarsi al terzo tentativo: il Foggia, nonostante il ritorno del trio Casillo-Pavone-Zeman, arrivò solo sesto in Lega Pro, senza play off, ma molti giocatori pochi anni dopo giocarono in massima serie (Vasco Regini, Lorenzo Insigne, Simone Romagnoli, Karim Laribi, Diego Farias, Marco Sau, Bartosz Salamon). La stagione successiva Zeman partì alla volta di Pescara mentre il Foggia fallì, riuscendo a partire dalla Serie D.
Oggi Zeman allena il Pescara, in Lega B, dopo l’esonero di Oddo. La sua prima partita in biancoblu fu un netto 5-0 al Genoa. Sembrava tornata Zemanlandia, ma la squadra retrocesse in cadetteria molto prima che il campionato fosse finito.
Cosa rimane oggi di quella fantastica avventura che è stato il Foggia di Zeman, di quella Zemanlandia che ha fatto la storia del calcio italiano? Un calcio italiano che oggi manca come non mai e che ha fatto conoscere oltre confine la vicenda di quella squadra che ha scritto una bella pagina di calcio con un tecnico taciturno e schietto che ha fatto del 4-3-3 la sua ragion d’essere unita a faticosi allenamenti sui gradoni degli stadi.
Il 4-3-3 oggi fa rima con Pep Guardiola ed il suo tiki-taka. A differenza di Zeman, il “filosofo” di Santpedor ha vinto tanto e tantissimo e parlare di “guardiolismo” oggi è più cool di rispetto alla Zemanlandia della Daunia. Eppure un allievo di Zeman si sta imponendo come uno dei tecnici più interessanti del nostro calcio, Eusebio di Francesco, anche lui ex giocatore della Roma di Zeman.
Cosa è stata Zemanlandia? Un sogno, un grande sogno. Un qualcosa che rimarrà negli annali del nostro calcio grazie ad un tecnico taciturno, ma che quando parlava lanciava bordate clamorose e che ha fatto innamorare del suo “progetto” milioni di italiani. E se ogni tifoso (magari non juventino) vorrebbe Zeman come proprio tecnico un motivo ci sarà.
Il motivo? Semplice: le squadre di Zeman erano una goduria di spettacolo e gol. Peccato che le sue squadre non erano altrettanto forti nella fase difensiva, visto che incassavano molti gol. Zemanlandia era così: non conta il risultato, conta lo spettacolo.
Zdenek Zeman e Zemanlandia, una non esclude l’altra: sono due cose inscindibili, due modi di vivere e vedere il calcio. Peccato che il tecnico boemo si sia fossilizzato sul suo schema, sul suo personaggio. E infatti dopo la bellissima (seconda) parentesi foggiana non ha saputo ripetersi: nessun titolo, risultati mediocri, salvezze come fossero Champions, sedici panchine allenate in carriera con otto esoneri e due dimissioni. Molti allenatori in carriera hanno avuto un rullino di marcia simile a quello di Zeman, ma il boemo è sopra le parti, è un mondo a sé. Un unicum.
A Zemanlandia hanno dedicato un documentario, il termine è finito sulla Treccani, su Zeman sono stati scritti diversi libri e Venditti gli ha dedicato la canzone “La coscienza di Zeman”: “la folla sta impazzendo ormai/all’attacco vai/in difesa mai/non ti fermerai/perché non cambi mai?“.
Parole sante.