Football Legend Zdeněk Zeman
Il 12 maggio scorso è stata una data importante per il Foggia: il club pugliese rossonero ha compiuto 100 anni. Era il 12 maggio 1920 quando nacque il primo nucleo di questa squadra che oggi milita in Serie D con in carniere undici stagioni in Serie A, l’ultima delle quali disputata venticinque anni fa.
Foggia calcisticamente è nota per essere una piazza molto passionale e vicina alle sorti della squadra: una tifoseria che si muove in blocco per seguire i “satanelli” anche lontano dallo stadio “Zaccheria”, con il caldo o con il freddo.
Lo scorso 12 maggio ha compiuto gli anni anche un personaggio che ancora oggi a Foggia è venerato quasi come san Guglielmo e Pellegrino, i patroni della città: Zdeněk Zeman. Il tecnico boemo è infatti nato a Praga il 12 maggio 1947 e a lui è dedicato lo spazio “Football Legend” di oggi.
Zeman e Foggia, Foggia e Zeman: un connubio per una delle storie d’amore (calcistiche) degne da romanzo d’autore. Un allenatore che grazie al suo modo di giocare e lo spettacolo offerta ha reso Foggia un paese delle meraviglie (calcistiche): “Zemanlandia”.
Nipote d’arte (suo zio materno era Čestmír Vycpálek, ex giocatore di Juventus, Palermo e Parma tra la metà degli anni Quaranta e la fine dei Cinquanta e vincitore di due scudetti con la Juventus nel 1972 e nel 1973), la vita di Zeman cambiò radicalmente nell’estate 1968: lui e la sorella, come tutte le estati, andavano a trovare gli zii a Palermo per passare le vacanze e da allora lui non si mosse più dall’Italia. Non per amore ma per necessità: quell’estate scoppiò la “Primavera di Praga” con l’arrivo nella capitale allora della Cecoslovacchia dei carri armati sovietici per porre fine, come in Ungheria dodici anni prima, a quella rivoluzione.
Ed in Italia Zeman trovò amore, lavoro (fu docente di educazione fisica) e si dedicò alla sua passione principale, il calcio. Nonostante in Patria, in gioventù, avesse mostrato propensione per molti sport (dall’hockey su ghiaccio alla pallavolo all’atletica) la sua passione era il calcio, in particolare quello “danubiano” degli anni Venti e Trenta.
Iniziò ad allenare alcune squadre dilettantistiche dell’hinterland palermitano e tra il 1974 ed il 1983 allenò le giovanili nel Palermo, facendosi apprezzare per l’impegno profuso.
Nel 1983 si spostò a Licata: gli fu affidata la guida della prima squadra in Serie C2 dove vinse la stagione successiva il campionato disputando una stagione tranquilla in Serie C1.
Nell’estate 1986 ci fu il primo rapporto tra il tecnico ceco con il Foggia: portato nella città capitale del Tavoliere dal presidente Pasquale Casillo, il tecnico rimase in sella 27 giornate quando fu esonerato perché la società scoprì che si era accordato per la stagione successiva con il Parma, oltre che ad andare male in classifica.
Effettivamente Zeman andò al Parma dove prese il posto di Arrigo Sacchi, passato al Milan. L’esperienza fu breve: sette giornate, cinque punti conquistati, esonero. Eppure quella estate il Parma, allora militante in Serie B, era riuscito a sconfiggere, seppur in amichevole, il Real Madrid della “Quinta del Buitre”.
Nell’estate 1988 il ritorno in Sicilia. Destinazione: Messina, Serie B.
Rimase in giallorosso una sola stagione, ma si fece notare per il suo calcio offensivo e propositivo: ottavo posto in classifica con Salvatore Schillaci, sconosciuto attaccante palermitano di 25 anni, capace di vincere la classifica marcatori ed approdare, la stagione successiva, addirittura alla Juventus per 6 miliardi. Anche Zeman salutò quell’estate il “Celeste” e si diresse ancora una volta a Foggia, ancora una volta in Serie B.
Dopo un avvio disastroso, ecco nascere il mito di “Zemanlandia”: la squadra vinse la stagione successiva il campionato (stagione 1990/1991) e tornò in Serie A dopo tredici stagioni di assenza. A guidare i “satanelli” in massima serie tre attaccanti i cui nomi ancora oggi a Foggia sono considerati dei miti: Signori-Rambaudi-Baiano.
Zeman rimase a Foggia cinque stagioni, scrivendo una grande pagina di calcio di calcio di provincia con il suo modulo che dire offensivo è poco (4-3-3) ed una serie di calciatori che hanno reso in quegli anni il Foggia la bestia nera di tante squadre quotate.
In Italia la squadra di Zeman destava interesse: giocava un calcio puramente offensivo che la vedeva segnare tante reti ma che la vedeva incassarne altrettante. Prendere o lasciare, Zeman ed il suo Foggia erano cosi. E in Italia presero tutto il “pacchetto”.
Nelle tre stagioni in Serie A sotto la guida Zeman, il Foggia si piazzò nono, undicesimo e nono e l’ultima stagione la squadra arrivò ad un soffio ad una incredibile qualificazione UEFA.
Tutti parlavano di “Zemanlandia”, anche nel Nord Italia. Ed infatti qualche squadre del Nord chiese informazioni a Casillo e al ds Pavone suo loro tecnico, rifiutando sempre qualunque offerte.
Ma come tutte le belle favole, anche la “Zemanlandia” foggiana arrivò alla conclusione: il tecnico boemo lasciò la Puglia nell’estate 1994 per andare ad allenare la Lazio dove ritrovò gli allievi Signori, Rambaudi portandosi dietro anche il difensore argentino Chamot.
Ma si aprì un nuovo capitolo nella storia di Zeman: essere diventato allenatore di una grande del nostro calcio lo riempì d’orgoglio e lui si mise subito a stupire tifosi e stampa nazionale con i suoi metodi di allenamento duri, impegnativi e massacranti conditi con la consueta giostra dei gol.
La stagione 1994/1995 vide la Lazio piazzarsi addirittura al secondo posto in campionato (miglior posizione dai tempi dello scudetto di 19 anni prima) trascinata dai gol di Signori. I capitolini arrivarono anche in semifinale di Coppa Italia (ultima volta successa, 34 anni prima) e nei quarti di finale di Coppa UEFA (miglior risultato europeo di sempre fino a quel momento).
Se il Foggia era “Zemanlandia”, alla Lazio ci fu “Zemanlandia II”: 69 gol fatti con goleade come l’8-2 alla Fiorentina, 7-1 al Foggia, 3-1 all’Inter, il 4-0 al Milan ed il 3-0 alla Juventus. Di contraltare, 34 gol subiti.
La seconda stagione la Lazio si piazzò al terzo posto mentre nella coppa nazionale ed in Europa arrivò nei quarti e nei sedicesimi, arretrando rispetto alla stagione precedente. In compenso, Beppe Signori vinse la sua terza classifica marcatori in quattro stagioni.
Rimase con i capitolini biancocelesti fino al gennaio 1997, dopo di che fu esonerato perché la squadra ebbe un’involuzione di risultati e le strade del presidente Zoff e di Zeman si divisero.
Nella stagione 1997/1998, Zeman attraversò il Tevere e firmò con la Roma. I tifosi romanisti erano contenti di aver tesserato uno dei tecnici più quotati del momento.
Allenò la Lupa due stagioni, con la Roma che si classificò al quarto e al quinto posto, raggiungendo i quarti di Coppa UEFA.
L’estate 1998 per Zeman fu quella delle polemiche: ad agosto rilasciò un’intervista in cui disse che nel calcio c’era un problema di doping e di assunzione di farmaci che on andavano bene. Accusò il sistema calcio italiano, in particolare la Juventus asserendo che alcuni suoi giocatori lo avevano incuriosito perché in pochi anni avevano avuto un incremento repentino della loro muscolatura. Da quel momento, iniziò una “guerra” tra il tecnico boemo, il club juventino, i suoi dirigenti ed i suoi tifosi. Una “guerra” finita anche in tribunale. Zeman si mise contro parte del calcio italiano anche se le sue denunce sono state parallele alle perquisizioni effettuate allora nel ciclismo (dove in pochi anni fu scoperto una vera “macchina dopante”).
Da quel momento, Zeman entrò in una involuzione di risultati e prestazioni come allenatore, tanto che tra il 1998 ed il 2018 il tecnico boemo allenò dodici squadre diverse con esiti non tanto positivi: Fenerbahçe (1999/2000, esonero dopo tre mesi), Napoli (2000/2001, in Serie A, esonero dopo sei partite), Salernitana (2001/2002, sesto posto in Serie B), Avellino (2002/2003, retrocessione in C1), Lecce (2004/2005, undicesimo posto e salvezza in A con peggior attacco e secondo miglior attacco del campionato), Brescia (2005/2006, subentrato e decimo posto in Serie B), ancora Lecce (2006/2007, questa volta in Serie B, esonerato dopo 18 partite), Stella Rossa Belgrado (2008/2009, esonero dopo tre partite di campionato e precedente eliminazione nei play off di accesso alla Coppa Uefa), ancora Foggia (2010/2011, Lega Pro, sesto posto finale), Pescara (2011/2012, vittoria del campionato), Roma (2012/2013, esonero dopo ventitre giornate), Cagliari (2014/2015, esonero alla 16° giornata e poi richiamato tra la 27a e la 31a), Lugano (2015/2016, in Super Liga, nono posto), ancora Pescara (stagione 2016/2017 subentrato alla 25° giornata, in quella successiva esonero alla ventinovesima).
Le miglior stagioni di Zeman furono a Lecce e a Pescara, dove c’è da aprire un capitolo a parte pari alla prima “Zemanlandia”.
Zeman approdò nel club del “delfino” nella stagione 2011/2012 e condusse il club in Serie A dove mancava da diciannove stagioni. Fu un campionato incredibile: vittoria del campionato a pari punti con il Torino, gol segnati a valanga (90) e l’esplosione di tre giocatori: Marco Verratti, Ciro Immobile (capocannoniere del torneo) e Roberto Insigne. Si diceva che fosse tornata “Zemanlandia” con una squadra che giocava un calcio veloce, bello e spettacolare. L’Italia era tornata a parlare positivamente dell’allenatore di Praga che finalmente era riuscito ad ottenere un risultato importante dopo decenni.
Ma Zeman non allenò gli abruzzesi in Serie A come non rimasero in biancoblu i tre fenomeni precedenti: il tecnico firmò con la Roma, tornando a Trigoria dopo tredici anni.
Con la Roma non terminò la stagione, ma il giorno del suo ritorno all’”Adriatico” per Zeman furono solo applausi.
Negli anni Duemila, l’anno pescarese è stato il suo migliore anno.
Oggi Zeman non allena, è fermo dal 2018 e se si guarda il suo palmares non ci sono trofei importanti e la sua best position in campionato rimane il secondo posto con la Lazio ottenuto nella stagione 1994/1995. Per il resto esoneri, dimissioni ed una carriera che non è mai del tutto decollata, salvo le parentesi foggiane, leccesi e pescaresi. Ed infatti il tecnico boemo ha dato il meglio di sé solo nelle piccole piazze, ricevendo sempre bagni di folla ad ogni sua presentazione.
Eppure oggi parlando di Zeman, non si può non parlare di “Zemanlandia”, del bel calcio offensivo praticato dalle sue squadre che videro sempre tanti gol nelle loro partite, incassati quanto segnati.
Il suo 4-3-3 ultra-offensivo e spettacolare è stato il suo marchio di fabbrica: difesa altissima con il portiere a fare il difensore centrale e terzini propositivi sulle fasce. E se era alta la difesa, potete immaginare quanto fossero alti centrocampo ed attacco. Un insieme di palle basse a triangolazioni che hanno reso Zeman un mago del calcio per alcuni, un arrogante ed un presuntuoso per altri.
Ispiratosi al calcio danubiano e al calcio totale olandese, Zeman ha avuto l’onore di lanciare nel calcio che conta giocatori come Schillaci, Signori, Rambaudi, Baiano, di Biagio, Kolivanov, Shalimov, Francesco Mancini, Nesta, Nedved, Vucinic, Bojinov, Verratti, Immobile, Insigne e Florenzi, per citare qualche nome di spessore. Per non parlare del fatto che è stato lui a formare la carriera di Francesco Totti che divenne capitano proprio sotto la sua gestione.
Personaggio controverso, viene additato come “rosicone” ed incapace ma per tantissimi Zeman è stato un innovatore, un precursore ed un tecnico che ha messo sempre sé stesso (mettendosi sempre la faccia ogni volta), anche se i risultati sono stati molte volte scadenti.
Ancora oggi quando si parla della Foggia calcistica, la mente va a quel quinquennio dove una squadra offensiva all’ennesima potenza faceva un calcio spettacolare che stupì tutti. Del resto il tecnico di Praga è stato un prestazionista e non un risultatista: “il risultato è casuale, la prestazione non è mai casuale”, ripeteva spesso.
Per non parlare degli allenamenti in stile marines: celebri le sessioni di allenamento sui gradoni dei campi di allenamenti, le corse ripetute a sfinimento ed i carichi sulle spalle.
Fumatore incallito, non tollerava chi non si impegnava. Sul tecnico boemo non ci sono vie di mezzo: o lo sia ama o lo si odia, amato quanto odiato. Eppure la sua inconfondibile voce bassa e roca è stato il suo marchio di fabbrica.
“Chi è causa del suo mal piange se stesso”, dice il detto: se Zeman non ha mai allenato squadre di vertice, la colpa è anche sua perché non si è mai messo in discussione, si è “seduto” riducendosi un personaggio controverso e antipatico.
Del resto i fatti parlano da sé: dodici squadre cambiate in dieci anni. Troppe delusioni, tanti fallimenti ma anche tante incomprensioni.
Molti lo rivorrebbero ancora su una qualsiasi panchina, perché il calcio di Zeman non è mai morto e sarebbe bello vederlo ora giocare in Serie A. Divertendosi e facendo divertire. Che poi questa è stata “Zemanlandia”, la terra di Zeman. Dove in campo lo spettacolo non mancava mai.