Walter Zenga, l’uomo ragno
“Notti magiche inseguendo un gol/sotto il cielo di un’estate italiana/e negli occhi tuoi voglia di vincere/un’estate un’avventura in più”. Questo è stato il ritornello di una canzone che nell’estate 1990 spopolò in televisione e nelle radio italiane. Era “Un’estate italiana”, la canzone dei Campionati del Mondo di calcio ospitati dal nostro Paese nel 1990.
Si celebrava la (allora) grandezza italica: stadi nuovi, stadi ristrutturati, il meglio del calcio mondiale sotto il cielo italiano. E soldi, tanti, tanti soldi caduti come pioggia sullo Stivale.
A vincere quel Mondiale fu la Germania ovest, prossima a diventare “unita”, contro l’Argentina. Che grande che era allora la nostra Serie A: i due capitani giocavano in Serie A e di quelle due squadre, ben dodici giocatori militavano nel nostro massimo campionato.
Uno che sicuramente avrà cantato “Notti magiche” è stato l’allora portiere della nostra Nazionale, che si classificò al terzo posto. E’ lui il protagonista del nostro spazio “Football Legend” di questa settimana: Walter Zenga.
Uno dei migliori portieri non solo degli anni Ottanta, ma uno dei migliori interpreti del ruolo nella storia del calcio. Un guascone, ma uno che volava quando parava. Uno che poteva vincere di più, ma che non si è mai lamentato di aver vinto poco. Un mito per molti, se non di tutti perché era uno fresco e sincero, uno che non le mandava mai a dire.
E la sera del 3 luglio 1990, al minuto 68 della semifinale contro l’Argentina giocata in un anti-italiano “San Paolo” di Napoli, Zenga commise l’errore più grande della sua carriera: un’uscita avventata su un cross facile da destra con l’attaccante argentino Caniggia che pareggiò il vantaggio iniziale di Schillaci. Quello fu il primo gol incassato dall’Italia in quel Mondiale dopo 517 minuti di imbattibilità, record mai ancora eguagliato.
Quello che era allora il miglior portiere del Mondo commise una ingenuità, gli avversari pareggiarono e alla fine vinsero i rigori, con lo sconosciuto Sergio Goycochea che per una sera divenne il nuovo Zenga parando due rigori all’Italia.
Ma ridurre la carriera di Walter Zenga alla topica del “San Paolo” è ingiusto, perché davvero Walter Zenga era il top allora, come erano il top i suoi compagni di reparto (Baresi, Ferri, Bergomi, Maldini) e ripensandoci è stato davvero un peccato che la nostra Nazionale non abbia vinto il titolo mondiale. Titolo poi vinto dodici anni dopo proprio in casa dei tedeschi.
Ma facciamo un passo indietro e vediamo la carriera di Walter Zenga.
Walter Zenga è un 1960 e sin da piccolo è stato un tifoso interista e non c’è cosa migliore per un ragazzino che fa il portiere sognare un giorno di difendere la porta della sua squadra del cuore.
Zenga è uno che ce l’ha fatta: da tifoso interista a portiere dell’Inter. Era il 1970 ed il piccolo Walter entrò nel settore giovanile nerazzurro. Italo Galbiati lo volle tra i pulcini della Beneamata: era davvero forte per avere quell’età, ma i suoi genitori dissero che aveva un anno in meno, sennò non avrebbe giocato a livello agonistico.
Aveva talento, aveva grinta, parava e gli piaceva farlo tuffandosi. Il futuro “Walter nazionale” a 18 anni entrò a far parte della rosa di mister Bersellini, ma era giovane, doveva farsi le ossa e crescere. Per questo motivo, tra il 1978 ed il 1982, difese le porte di Salernitana, Savona e Sambenedettese. Con i marchigiani, contribuì alla loro promozione in Serie B dopo una stagione, diventando nei due anni rossoblù uno dei migliori.
Alla Salernitana, in Serie C1, però fu un anno in chiaro scuro: “chiaro” perché si fece notare per alcune parate importanti, “scuro” perché commise troppi errori ed i tifosi lo imbeccarono e insultarono in molte occasioni. Ebbe la sfortuna di debuttare in granata subendo come niente quattro reti: non ci poteva essere esordio peggiore per lui.
Nelle Marche, Zenga divenne di fatto un vero portiere e fu apprezzato dall’ambiente, anche se vide dal vivo la tragedia del “Ballarin”, lo stadio della Samb, dove il 7 giugno 1981, prima del match contro il Matera per la promozione diretta in cadetteria, scoppiò un incendio che uccise due tifose e ferì 168 tifosi.
Zenga era pronto per il grande salto: a 22 anni, nella stagione 1982/1983, fece il secondo di Ivano Bordon, vice di Zoff in Spagna e all’ultima delle sue tredici stagioni consecutive all’Inter. La “palestra” nella Marche fu importante per lui ed il 23enne Walter Zenga poté indossare la maglia numero 1 dell’Inter, della squadra per cui faceva il tifo. La sua prima partita da titolare con l’Inter avvenne l’11 settembre 1983 allo stadio “Meazza” contro la Sampdoria. Il portiere doriano allora era, guarda caso, proprio Bordon.
Da allora giocò per un totale di 473 presenze: un mito di un’intera generazione di tifosi, non solo nerazzurri.
In maglia nerazzurra, Walter Zenga vinse un campionato (quello dell’”Inter dei record” nella stagione 1988/1989), una Supercoppa italiana e due Coppe UEFA contro Roma e Salisburgo.
In quegli anni, vinse per tre volte consecutive il premio di miglior portiere del Mondo per la IFFHS
(1989-1991), superando Michel Preud’homme e due volte Sergio Goycochea. Tanto per capire quanto era forte Zenga: quel titolo, istituito nel 1987, è stato vinto cinque volte da Buffon e da Casillas, quattro volte da Neuer e tre volte da Chilavert e Kahn. Ovvero il meglio dei portiere più forti del Mondo e molti di questi si sono ispirati proprio all’”Uomo ragno” che tirò i primi calci nella Macallesi. Sempre in quel premio, si piazzò anche due volte al terzo nel 1987 e nel 1988, oltre al 12° posto nel Pallone d’oro del 1990.
E pensare che con l’arrivo di Trapattoni, Zenga era ad un passo d’addio dall’Inter: si disse per soldi, si disse per questione tecniche, si disse per insofferenza verso uno scudetto che non voleva arrivare. Fatto sta che con il “Trap” in panchina, Zenga divenne un mito.
Vinse poco Zenga, ma la vittoria europea contro il Salisburgo salvò l’Inter (e lo stesso Zenga) da una stagione traumatica, con i nerazzurri che chiusero al tredicesimo posto (alla pari con la Reggiana), un punto in più del Piacenza quart’ultimo e primo retrocesso. Quella fu la sua ultima partita in nerazzurro: lui pianse, i tifosi sugli spalti piansero.
La storia d’amore con l’Inter terminò (male) quindi nel 1994: il presidente Pellegrini portò sotto la Madunina Gianluca Pagliuca, considerato allora il nuovo Zenga ed il “Walterone nazionale” fece la strada inversa, accasandosi alla Sampdoria. Una Sampdoria che non era più la grande Samp del periodo 1984-1991.
Sotto la Lanterna, Zenga contribuì a due ottavi posti consecutivi, mentre in campo europeo con i blucerchiati arrivò fino alla semifinale di Coppa delle Coppe, venendo sconfitti dall’Arsenal ai rigori. Stessi rigori che condannarono la Samp alla sconfitta nella finale di Supercoppa italiana contro il Milan campione d’Italia. “Rigori, maledetti rigori come sempre”, avrà pensato Walter Zenga.
Walter Zenga, nella stagione 1996/1997, chiuse la carriera italiana difendendo la porta del Padova in Serie B, chiudendo con un’11° posto. Ma l’ex portierone azzurro guardò oltre e capì che il futuro sarebbe stato l’estero e nell’estate 1997 prese armi, bagagli e…guantoni e volò negli States, vestendo i colori dei New England Revolution, la squadra di soccer di Foxborough, nel Massachussets.
Nel New England, Zenga rimase fino al 1999, vestendo anche i panni di allenatore-giocatore.
Tornando alla Nazionale, Walter Zenga debuttò a 24 anni nella Under21 come fuori-quota, prendendo parte ai Giochi olimpici di Los Angeles (esperienza chiusa al quarto posto) e vincendo l’argento continentale nel 1986 perdendo contro la Spagna.
Ed essendo un portiere di grande temperamento e molto capace, il CT Bearzot lo convocò come terzo portiere (dietro a Giovanni Galli e a Franco Tancredi) per i Mondiali messicani del 1986, dove l’Italia uscì già agli ottavi di finale per mano della Francia. Zenga fu poi titolare della Nazionale dei “grandi” con Azeglio Vicini, vincendo il bronzo sia a Euro ’88 che ai Mondiali successivi in Italia.
Dopo il fallimentare mondiale casalingo, nell’autunno 1991 Arrigo Sacchi divenne il nuovo CT CHEe non ebbe mai in simpatia Zenga, preferendogli i portieri che difenderanno poi la porta azzurra a Usa ’94, Luca Pagliuca e Luca Marchegiani.
Zenga aveva debuttato a Bologna l’8 ottobre 1986 contro la Grecia e “chiuse” contro l’Irlanda il 4 giugno 1992. A oggi è il terzo portiere con più presenze in azzurro dopo Buffon (176) e Zoff (112).
Dopo aver chiuso con il calcio giocato, Zenga decise di fare l’allenatore. E del resto uno che in campo era carismatico non poteva che fare l’allenatore. Un “ruolo” che lo ha visto far bene finora, ma anche male.
All’estero, Walter Zenga ha allenato, come detto, due anni i New England Revolution, per una stagione il National Bucarest e la Steaua Bucarest, la Stella Rossa Belgrado, i turchi del Gaziantepspor, non consecutivamente gli emiratini del l’Al-Ain, dell’Al-Nasr, dell’Al-Jazira e dell’Al-Shaab, i rumeni della Dinamo Bucarest e gli inglesi del Wolverhampton, l’unico club di serie cadetta allenato prima del suo approdo a Venezia. Piazze importanti e altre un po’ troppo esotiche. Il palmares di Zenga vede oggi la vittoria del campionato rumeno e di quello serbo con Steaua Bucarest e Stella Rossa, con cui vinse anche la Coppa nazionale. Parliamo del biennio 2004-2006.
In Italia, Walter Zenga debuttò con i milanesi del Brera, “la terza squadra di Milano”, in Serie D, Era il 2001, appena tornato dagli States, e a oggi ha allenato per due stagioni il Catania, per pochi mesi il Palermo, la Sampdoria, il Crotone e oggi, come detto, il Venezia.
Di queste squadre, non ha finito la stagione per rescissione e dimissioni con Brera, National Bucarest, Stella Rossa, Gaziantepspor, Al-Jazira, Sampdoria, Al-Shaab e Crotone, mentre è stato esonerato allo Steaua, al Palermo, all’Al-Nassr e al Wolverhampton. Tenendo conto che se non si fosse dimesso personalmente, anche dove si è dimesso forse sarebbe stato esonerato poco dopo.
Se Zenga è stato un grande portiere, come allenatore ha compiuto miracoli ma ha spesso deluso le aspettative.
All’inizio degli anni Duemila, Zenga è entrato nelle case degli italiani facendo il postino in bicicletta per Maria de Filippi in “C’è posta per te” e successivamente il commentatore tecnico delle partite della Nazionale in Rai. Durante il periodo di Italia ’90, fece da testimonial ad una marca di videogiochi.
Walter Zenga è sempre stato amato, ma molte volte è stato osteggiato per via del suo carattere troppo estroverso e troppo guascone che lo ha fatto litigare con presidenti, giornalisti e tifosi.
Zenga, in campo come nella vita, è stato uno sfrontato ed un istintivo, un ambizioso ed un guascone un ribelle. E poi schietto, sempre e comunque in ogni circostanza. Sopra le righe e mai interessato ai giudizi delle persone.
Zenga è stato un portiere carismatico, molto passionale in campo e fuori, l’idolo di una Milano che negli anni in cui era all’Inter era la capitale del bengodi nazionale. Lui era un gran viveur, un ragazzo che piaceva a mamme e figlie, con il ciuffo ribelle e la catenina ciondolante fuori dalla maglietta da gioco.
Era uno che si tuffava, ma che non saltava e se lo faceva, il più delle volte, sbagliava. Era uno da “pronti via”, ma non sopportava i rigori e qualche volte in più del dovuto faceva “papere”. Mentre Gianni Brera lo chiamò “ deltaplano”, i tifosi nerazzurri cantavano “Uno di noi e Zenga uno di noi”.
Ma del resto si sa, i grandi campioni sono così: o si amano o si odiano. Ma lui ha sempre parato tutto, critiche comprese. Sorrideva sempre, beffardo e con il chewing gum in bocca.
E poi la pecca di Italia-Argentina, il grosso errore di una carriera perfetta che doveva avere la ciliegina sulla torta con la finale di Roma dell’8 luglio 1990 con Zenga erede di Zoff. Invece l’inzuccata di Caniggia, unita all’errore di posizione suo e di Ferri, ha cambiato la storia del calcio. Zenga fece l’unico vero errore della sua carriera quella sera al minuto 68, mentre Donadoni e Serena sbagliarono successivamente i due calci di rigore.
A Zenga però non perdonarono mai poca umiltà in azzurro: se Roberto Baggio, dopo il rigore sbagliato a Pasadena, chiuse scusa a tutti dicendo che i rigori li sbaglia chi li tira (ponendo l’accento tra le righe al fatto che bisogna sempre avere il coraggio di tirarli), l’ex portiere non si è mai scusato per l’errore, accusando però i suoi compagni durante quella partita di non aver segnato prima del triplice fischio dei tempi supplementari. Per carità, l’errore ci può stare anche se questo ti impedisce di giocare una finale mondiale, ma Zenga non ha mai fatto il mea culpa e fu inviso a tutti. Dall’ultimo dei tifosi ai vertici federali.
Per il resto, nulla da eccepire: uno che in vince per tre volte di fila il titolo di miglior portiere del Mondo ha sempre ragione.
Chissà se Stan Lee, il creatore dell’”Uomo ragno” nel 1962 e morto lo scorso 12 novembre, ha apprezzato il fatto che Walter Zenga avesse come soprannome il nome di un super eroe uscito dalla sua matita.
Del resto, per uno che volava in campo da tutte le parti e difficilmente sbagliava, il soprannome ci stava eccome.