Paulo Roberto Falcão, la leggenda
La leggenda (non troppo metropolitana) diceva che negli anni Ottanta, nelle scuole romane, alla domanda su quali fossero i sette re di Roma, gli alunni (romanisti) ne aggiungevano un altro dopo Tarquinio il superbo: Paulo Roberto Falcão.
Brasiliano di Xanxerê, Santa Catarina, Falcão è stato uno dei calciatori più forti del Mondo tra la fine degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta, un centrocampista centrale educato con i piedi e con un’intelligenza tattica senza eguali. Regista ed allenatore in campo, Falcão aveva una visione del campo ed un tocco che lo rendeva un brasiliano atipico, visto che non si pensava che un “gauchista” potesse tali capacità balistiche.
Paulo Roberto Falcão è stato il faro del centrocampo della Roma di Nils Liedholm che tra il 1980 e il 1985 lottò sempre per la vittoria dello scudetto, con il clou della stagione 1982/1983 che vide i giallorossi vincere il loro secondo titolo a distanza di quarantuno anni dall’ultimo, datato 1942.
Calcisticamente Falcão “nacque” a Porto Alegre, cittadina nel sud del Brasile che accolse lui e la famiglia quando era ancora piccolo. In età adolescenziale venne tesserato nelle giovanili dell’Internacional, la squadra locale: il giovane era visto da tutti come un predestinato.
A vent’anni Falcão debuttò nel campionato brasiliano con il club rosso-bianco, dove rimase fino al 1980, giocando 157 partite e segnando ventuno reti. La bacheca del club si aprì per inserite cinque campionati gaucho e tre brasiliani. Dal punto di vista personale, venne eletto per due anni consecutivi miglior giocatore del campionato brasiliano (Bola de Ouro, 1978-1979). Quanti record: mai l’Internacional aveva vinto il titolo nazionale e mai nessun giocatore, fino a quel momento, aveva fatto il bis nel trofeo indetto dalla rivista “Placar”. Predestinato, si diceva prima. E si diceva bene.
Nel 1976 fu convocato per la prima volta in Nazionale e fu tra i protagonisti del terzo posto brasileiro nella Copa America “itinerante” del 1979.
Falcão piacque a molti club europei, ma fu la Roma del presidente Dino Viola a tesserare il giocatore, staccando un assegno da 1,5 milioni di dollari. Falcão divenne il primo giocatore straniero a vestire i colori della Roma dopo nove stagioni, dai tempi della coppia Amarildo-del Sol. Lo volle Liedholm, sostenendo che nella sua Roma mancava un giocatore della sua caratura.
La notizia dell’acquisto fece storcere il naso ai tifosi giallorossi che si aspettavano l’ingaggio di Zico, allora considerato il giocatore più forte del Mondo (poi passato nello stesso periodo all’Udinese). Eppure il suo arrivo a Fiumicino fu accolto da molte migliaia di tifosi romanisti: l’accoglienza di un giocatore all’aeroporto è la cartina torna-sole dell’attesa verso di lui. Il destino volle che Falcão arrivò a Roma il giorno di san Lorenzo, la cui sera è nota per le stelle cadenti: tanti tifosi non appena saputo del suo arrivo a Roma, la sera alzarono al cielo gli occhi e al passaggio della prima stella cadente espressero il desiderio di vincere il tricolore grazie al loro nuovo giocatore.
In giallorosso chiese espressamente la maglia numero 5: a quei tempi non c’erano le maglie personalizzate, ma quel numero apparteneva al centrocampista centrale, di quel centrocampista che imponeva la manovra e che impostava le palle per i compagni.
La sua prima partita fu “nostalgica”: amichevole Roma-Internacional giocata a Roma due settimane e mezzo dopo il suo arrivo e chiusa sul punteggio di 2-2. Falcão fu tra i migliori in campo. La sua prima partita ufficiale la disputò il 14 settembre successivo contro il Como, dove che fece dei passi indietro rispetto alla prima uscita. Dopo un avvio in salita, il centrocampista brasiliano prese le chiavi del centrocampo, facendo capire ai tifosi che si erano sbagliati sul suo conto e che anzi potevano iniziare a sognare in grande.
Sorprese il fatto che non sembrasse un giocatore sudamericano ma bensì un europeo, visto che non faceva i cosiddetti “numeri” ma era di un’efficacia senza eguali. Per non parlare del fatto che quando gli avversari attaccavano lui rientrava in difesa e quando la Roma attaccava, attaccava anche lui. Un giocatore veramente universale.
E l’approccio del brasiliano fu determinante: in quattro stagioni e mezzo, Paulo Roberto Falcão porterà la Roma (grazie anche ad una squadra molto forte) a vincere uno scudetto, due Coppe Italia e a conquistare tre secondi posti, un terzo posto ed un settimo posto. Ma la Roma di quel periodo raggiunse il top con la finale di Coppa dei Campioni: il 30 maggio 1984, con il tricolore sul petto, il club capitolino, dopo aver eliminato IFK Göteborg, CSKA Sofia, Dinamo Berlino, Dundee United, approdò per la prima volta nella sua storia all’ultimo atto della coppa più importante del continente. E la finale fu giocata contro il Liverpool allo stadio “Olimpico” di Roma. Nei novanta minuti regolamentari la partita si concluse sull’1 a 1 ed il risultato fu identico anche alla fine dei supplementari: a decidere la nuova regina d’Europa ci sarebbero voluti i rigori. Trionfarono gli inglesi 5 a 3 e fece scalpore la scelta di Falcão di rifiutarsi di calciare il proprio rigore.
La sconfitta in finale bruciò non solo perché da allora la Roma non arrivò mai così avanti, ma anche per il fatto che tutta la città era virtualmente dentro l'”Olimpico” quella sera. Falcão fu il peggiore in campo e il fatto di non aver calciato il rigore rese ancora più amara la sconfitta, anche se lui ammise di non essere stato in buone condizioni fisiche sin dall’inizio del match. Per la Roma sarebbe stato un biennio fantastico: scudetto e Coppa dei Campioni in due anni. “Sarebbe stato”, appunto.
Paulo Roberto Falcão fu il faro di una delle Nazionali brasiliane più forti di sempre, quella di Spagna 1982: ritenuta la favorita numero uno per la vittoria finale, si arrese nel secondo girone eliminatorio solo all’Italia e a Paolo Rossi. Per motivi disciplinari non fu convocato da Cláudio Coutinho per il Mondiale argentino del 1978.
La love story tra Falcao e la Roma terminò con la conclusione della stagione 1984/1985, quando il centrocampista brasiliano ebbe un acceso diverbio con Dino Viola per il rinnovo del contratto, nonostante a fine stagione l’asso di Porto Alegre portasse a casa un lauto stipendio. In più in suo sfavore si mise un brutto infortunio che accelerò il suo addio alla Roma: la sua ultima partita la disputò prima del Natale 1984 e a fine stagione tornò in Brasile, dove firmò un biennale con il San Paolo. La scelta del ritorno a casa era stata dovuta al fatto che nel 1986 si sarebbero giocati i Mondiali in Messico, intesi da Falcão come l’opportunità per riprendersi calcisticamente e portare il Brasile a vincere il suo quarto titolo iridato.
La sua prima partita con la maglia tricolor fu contro l’Internacional: la squadra di Porto Alegre, nel bene e nel male, ha sempre incrociato la vita di quello che era l'”ottavo re di Roma”.
Nonostante i buoni auspici, il Mondiale messicano fu un fiasco e i verdeoro del CT Telê Santana furono eliminati nei quarti di finale dalla Francia ai rigori. Al termine della manifestazione, Falcão si ritirò dal calcio giocato. E per uno che era allenatore in campo, la giusta via era quella della panchina.
La sua prima avventura fu con il “suo” Brasile dopo il fallimentare Mondiale italiano, chiuso agli ottavi di finale dopo la sconfitta con l’Argentina. Allenò i verdeoro un anno solo, portando la Seleçao alla finale di Copa America in Cile, sconfitta ancora dall’Argentina. Il periodo 1986-1991 è stato considerato come il peggior periodo della Nazionale brasiliana come ricambio generazionale, successi internazionali e anche Paulo Roberto Falcão ebbe poca fortuna.
Nel 1991 fu chiamato ad allenare i messicani dell’América e l’anno dopo il “suo”Internacional. Nel 1994 allenò il Giappone, una Nazione che aveva nel proprio campionato maggiore molti atleti brasiliani, ma la sua esperienza durò da febbraio a metà ottobre.
Dopo diciassette anni di inattività, nel 2001 tornò ad allenare per una stagione l’Internacional e poi il Bahia, club di Salvador. La seconda tranche con il club di Porto Alegre vide la squadra vincere il suo trentanovesimo titolo “gaucho” con Falcão profeta in patria, anche se il club fu subito eliminato in Copa Libertadores. Il 18 luglio 2011 venne esonerato dal club “gaucho” dopo una serie di sconfitte.
Nel settembre 2015 andò allo Sport Recife ma anche lì l’avventura terminò presto e nel luglio 2016 tornò ancora all’Internacional, ma dopo un solo mese fu esonerato per gli scarsi risultati.
Lo scorso anno, Paulo Roberto Falcão ebbe il privilegio di entrare nella hall of fame del calcio italiano come miglior straniero e, nonostante la querelle “rigore non calciato”, la sua ultima volta all'”Olimpico” venne salutata dai tifosi giallorossi con un grande applauso: anche grazie a lui, la Roma era arrivata a vincere il tricolore ed ad imporsi come una delle grandi del campionato.
Ebbe una vita personale molto viva, tra gossip veri e presunti e un matrimonio finito a carte bollate con l’affidamento del figlio. Ma agli amanti del calcio interessava poco (o nulla) di cosa facesse Paulo Roberto Falcão lontano dai campi da gioco. A tutti loro interessava cosa facesse in campo il numero 5 e come si muoveva.
Ecco Falcão: regista dotato di piedi e di un intelligenza che altri potevano solo sognare ed un carisma che nessuno si immagina potesse avere visto che di primo acchito di brasiliano non aveva nulla, se non il passaporto.
Chi ama il calcio, in particolare coloro che mettono in cima ai loro pensieri il calcio degli anni ’80, posizionerà Paulo Roberto Falcão tra le prime posizioni non solo degli stranieri giunti a giocare in Serie A, ma anche dei migliori interpreti di uno sport che sa emozionare come pochi.
Dopo Falcão, anche Francesco Totti è stato ribattezzato “l’ottavo re di Roma” ma per tutti l’erede di Tarquinio il Superbo è solo, e solamente, “Paulo Roberto il regista metodista”.