Il Portogallo è un Paese dell’Europa meridionale, confina con la Spagna e con l’Oceano Atlantico, è un membro dell’Unione europea, dell’Onu, della Nato e la sua capitale è Lisbona. E fin qui la parte politico-amministrativa. Calcisticamente, il Portogallo ha vinto i recenti campionati europei di calcio in Francia e dodici anni fa perse in finale con la Grecia e ha sempre dato l’idea di essere un’eterna incompiuta. La storia del calcio portoghese ha dato al mondo pallonaro molti campioni: da Eusébio a Luis Figo, da Paulo Sousa a Rui Costa, da Deco a Cristiano Ronaldo. Insomma, gente che ha vinto Coppe dei campioni e Palloni d’oro.
Paulo Futre, eroe del Portogallo
Il miglior calciatore degli anni Sessanta-Settanta portoghese è stato la “perla nera”, quello degli anni Novanta Luis Figo, mentre quello degli anni Duemila, senza dubbio, Cristiano Ronaldo. Il miglior giocatore degli anni Ottanta che ha sfornato il Paese lusitano è un stato un attaccante che ha avuto meno, ma molto meno di quanto avrebbe meritato. E’ stato considerato come il miglior giocatore della sua epoca e ha fatto vedere sui campi d’Europa giocate di classe, velocità, dribbling e capacità balistiche di un certo spessore. Oggi questo uomo ha 50 anni esatti, ma negli anni Ottanta era uno dei migliori giocatori europei. Signore e signori, Jorge Paulo dos Santos Futre, Paulo Futre.
DALLA MAGICA NOTTE DI VIENNA AL PALLONE D’ORO SFIIORATO
Nato nella “provincia” di Setubal (che ha dato i natali anche a José Mourinho), Futre ha iniziato a giocare da professionista in uno dei top team lusitani, lo Sporting Clube de Portugal, noto alle cronache come Sporting Lisbona. Il club verde-bianco se lo accaparrò sin da bambino e ad appena 18 anni aveva già racimolato alcune presenze con la Nazionale maggiore: un predestinato, quindi.
Era la stagione 1983/1984 ed i ragazzi allenati da Jozef Vengloš si classificarono al terzo posto in campionato dietro alle eterne rivali Benfica (campione) e Porto. Futre giocò 21 partite e segnò tre reti. Nonostante la maggiore età da poco compiuta, il Porto lo prese e se lo portò…ad Oporto.
Con i Dragões, Futre giocò tre stagioni vincendo due Primeira Liga consecutive, due Supercoppe nazionali e, soprattutto, la Coppa dei Campioni: il 28 maggio 1987, al “Prater” di Vienna, sconfisse il Bayern Monaco di Lothar Matthaus per 3 a 1. Dopo 19 anni, una squadra portoghese arrivò in finale e dopo venticinque alzava al cielo l’ambito trofeo. Era il Porto di misterArtur Jorge, di Rabah Madjer, Juary e capitan João Pinto. L’allora numero 10 di Montijo fu determinante nella vittoria di tutti quei trofei e la stampa portoghese incominciò ad occuparsi di quel ragazzo con la capigliatura folta che aveva un piede ed un’intelligenza tattica senza eguali. Futre nel 1986 e nel 1987 venne eletto miglior giocatore portoghese: neanche il mitico Eusebio vinse il premio consecutivamente, anche se lo vinse nel 1970 e nel 1973. Ma il meglio doveva ancora venire: nel dicembre 1987, solo l’olandese Ruud Gullit si mise tra lui e il Pallone d’oro. Era dai tempi di Eusébio che un portoghese non saliva sul podio del massimo premio calcistico individuale europeo (dal 1966). Ma se Eusébio era di origine mozambicana, Futre è stato il primo portoghese made in Portugal a salire sul podio.
Futre era ormai conosciuto non solo in patria, ma anche all’estero e molte squadre europee avevano incominciato ad interessarsi a lui. L’asso di Montejo chiuse l’esperienza al “do Dragão”con venticinque reti in ottantatre presenze.
Nell’estate 1987, Futre cambiò maglia e Nazione: si accasò all’Atletico Madrid, i cugini “sfortunati” del Real che stavano dominando la scena iberica, ed europea, con la “Quinta del Buitre”.
Futre vestì la maglia colchonera fino al 1993, vincendo due Cope del Rey consecutive nel 1991 e nel 1992 (nella seconda siglò il gol del 2 a 0 in fiale contro il Real Madrid) e il miglior piazzamento nella Liga fu il secondo posto nella stagione 1990/1991, dietro al Barcellona di Johan Cruijff, ma davanti alle merengues di Butragueño e Sanchez.
E REGGIO EMILIA IMPAZZI’
Dopo l’esperienza all’Atletico, Futre passò prima al Benfica (nell’estate 1992, diventando uno dei pochi giocatori ad indossare le maglie delle tre storiche squadre portoghesi) e, fino al novembre 1993, al Olympique Marsiglia. Queste due esperienze per Futre non furono esaltanti, anche se riuscì a vincere la Coppa di Portogallo nei suoi pochi mesi con le “aquile”. In Francia andò a rinforzare la squadra presieduta da Bernard Tapie, fresca vincitrice della Champions che alla fine del campionato fu retrocessa in Ligue 2 per illecito sportivo. Futre stava entrando nella fase di massima espansione della sua carriera e decise di cambiare squadra.
E lui, un po’ per sfida, accettò di giocare nella nostra Serie A, allora il miglior campionato non solo d’Europa, ma del Mondo. Non si accasò in nessun top team, ma andò a giocare nella provincia più profonda: nella Reggiana, squadra promossa per la prima volta in massima serie. Erano gli anni Novanta, gli anni della nostra Serie A al top del calcio mondiale: durante l’estate e e con il mercato di novembre (allora non c’era il mercato di riparazione di gennaio, ma già a novembre) da noi arrivarono gente del calibro di Bergkamp, Jonk, Pancev, Boksic, Desailly, Sauzée e molti altri giocatori cambiarono maglia (da Balbo a Platt, da Raducioiu a Gullit, da Marchegiani a Osio).
Deus ex machina dell’operazione “Futre-Regia” fu quel Franco dal Cin,che nell’estate 1983 riuscì a portare nella piccola Udinese il grande Zico. Dal Cin era considerato un guru del mercato e fu anche tra i promotori della costruzione del primo stadio di proprietà italiano, quel “Giglio” che dal 15 aprile 1995 divenne la casa della Reggiana, diventando un precursore di ciò che saranno successivamente lo “Juventus Stadium”a Torino, il “Mapei Stadium” (erede del “Giglio”) e la “Dacia Arena”.
Uno dei calciatori più forti d’Europa che si riduceva a giocare in una squadra alla sua prima stagione in Serie A? Eh già, però i granata allora allenati da Pippo Marchioro fecero il (loro) colpo del secolo: 4 miliardi all’Olympique Marsiglia, maglia numero 10 (strano eh?) sulle spalle e Paulo Futre che avrebbe deliziato i tifosi reggiani nella loro prima esperienza in Serie A.
E il giorno della presentazione si mobilitò tutta la cittadinanza per vedere quel giocatore fantastico che era approdato nella tranquilla Reggio Emilia per farla diventare la nuova città del calcio.
La prima partita utile a Futre per giocare fu contro la Cremonese di Gigi Simoni, un match tra squadre che avrebbero lottato fino all’ultimo per la salvezza. Era il 21 novembre 1993, la dodicesima giornata: la Reggiana, che allora giocava allo stadio “Mirabello”, aveva racimolato fino a quel momento sei punti e nessuna vittoria. Eppure la squadra non era malvagia: in porta il futuro campione del Mondo Claudio Taffarel; in difesa l’ex Juve Luigi de Agostini; in mezzo al campo il nazionale rumeno Dorin Mateut ed i talentuosi Padovano e Scienza in avanti.
Minuto 61: assist di Morello per Futre che, in area, batte Turci di sinistro con un tiro nell’angolo. Gol al debutto e prima vittoria granata in Serie A (il match si concluse2 a 0). Ma la prima vittoria della “Regia” fu bagnata dalla sfortuna, perché ventuno minuti dopo Futre fu toccato duro dal difensore avversario Alessandro Pedroni: “rosso” diretto per il giocatore, barella per il portoghese. Il referto medico fu terribile: rottura del tendine rotuleo e campionato finito. Dai pochi mesi previsti, Futre tornò in campo solo l’autunno successivo, con la Reggiana salvatasi ed in corsa per giocare un’altra stagione in Serie A.
Solo che la magia stava svanendo: la Reggiana non era più all’altezza e lo stesso Futre sembrò un altro giocatore. Morale: “Regia” in B con Futre autore di quattro reti. L’attaccante mise a segno la prima rete post infortunio il 2 ottobre 1994 vittorioso a Genova contro il Genoa vittorioso 3 a 1 (5a giornata),. Seguirono poi i gol al Parma nel derby di andata (7a giornata, gol del vantaggio ma vittoria parmense per 2 a 1), al Cagliari (28a) e alla Cremonese (30a).
IL PASSAGGIO AL MILAN, L’UNICA PARTITA E ULTIMI SCAMPI DI CARRIERA
In estate Futre fu aggregato al Milan per una tourné estiva in Cina. L’asso portoghese in Estremo oriente fece vedere che sapeva ancora giocare a pallone e che a 29 anni non era ancora da considerarsi un ex calciatore e passò alla squadra di Capello, ricca di talenti e di attaccanti di peso, per volontà del presidente Berlusconi. Il grande Futre, pericolo delle difese degli anni Ottanta-inizio anni Novara, si trovò però davanti a sé gente come Weah, Roberto Baggio e Dejan Savicevic. In aggiunta, alcuni problemi alle ginocchia lo tennero fuori per molto tempo, tanto da debuttare in maglia milanista solo all’ultima giornata, il 12 maggio 1996, contro la Cremonese: la prima e l’ultima partita, come il primo e l’ultimo gol italiano, le giocò contro la squadra lombarda.
Futre nell’estate 1996 dovette darsi una mossa altrimenti davvero sarebbe diventato un ex, decise allora di cambiare ancora Nazione e approdò in Premier League, vestendo i colori dei londinesi del West Ham United, non un top team del massimo campionato inglese ma una squadra sempre ostica da affrontare. Ma anche ad Upton Park la strada per lui fu in salita e per questioni di maglia, Futre fece infuriare la dirigenza degli hammers: come si faceva a dare ad un fantasista come lui un’anonima maglia numero 16 al posto della numero 10? La 10 era sulle spalle di un altro compagno e lui non si vedeva con un altro numero. Prese la situazione in mano il tecnico Redknapp, minacciando di cacciare il giocatore portoghese. Futre accettò il16, non digerì l'”affronto” e alla fine ebbe la maglia numero 10.
Ma anche con gli azzurro-granata furono molte ombre e poca luce, anche se le movenze erano ancora da campione. Il tabellino fu impietoso: nove presenze, zero gol. Futre era oramai davvero un ex giocatore. Un grande ex.
Nuova stagione, altra squadra: nell’estate 1997 il talento di Montijo tornò a Madrid sponda Atletico: a distanza di dieci anni, Futre tornò nella squadra dove militò più stagioni. Con in squadra giocatori del calibro di Vieri, Vizcaino, Kiko, José Mari e Juninho Paulista, la sua seconda esperienza bianco-blu-rossa durò solo dieci partite, senza finire ancora una volta nel tabellino dei marcatori.
L’anno dopo salutò l’Europa e decise di chiudere la sua carriera accasandosi allo Yokohama Flügels, squadra della massima serie nipponica (che chiuse i battenti l’anno dopo). Futre disse addio al calcio in Giappone, negli anni Novanta terra di conquista per molti ex giocatori europei e sudamericani.
Oggi a 33 anni molti giocatori rincorrono ancora la palla in un rettangolo verde, ma nel 1999 i troppi infortuni fecero capire a Futre che il destino era segnato: addio al calcio a soli 33 anni.
Appese le scarpe al chiudo, Futre decise di dedicarsi all’attività manageriale, diventando il direttore dell’Atletico Madrid, la squadra cui è stato più legato per poi diventare un imprenditore nel ramo immobiliare.
OBRIGADO, PAULO
A parte una curiosa copertina apparsa sull’edizione portoghese di “Playboy” nell’ottobre 2015, Paulo Futre nel 2011 appoggiò la candidatura di Dias Ferreira a presidente dello Sporting Lisbona.. In caso di vittoria, l’ex giocatore del club bianco-verde sarebbe diventato il direttore sportivo dei Leões. Il “ticket” (che avrebbe portato Frank Rijkaard sulla panchina) perse però le elezioni.
A parte il ruolo di opinionista, Futre oggi è lontano dal calcio.
Cosa rimane oggi di questo giocatore? Di lui tutti si possono ricordare i dribbling, le giocate sopraffini, i gol, le finte. Insomma, i ragazzi nati dalla metà degli anni Novanta in poi non sapranno oggi chi era, ma i loro fratelli maggiori, i loro padri ed i loro nonni si ricordano di uno dei più cristallini talenti europei il cui destino ha deciso di fare “marameo” un tardo pomeriggio novembrino proprio nella partita di debutto in Italia.
E fa pensare che colui che arrivava dalla terra del fado, un genere musicale portuguese dal suono e dalle parole malinconiche, abbia dovuto (praticamente) chiudere la sua carriera di calciatore nel Paese della spensieratezza, del mare, del sole e del mangiare bene.
E quello stesso destino ha anche portato al crack la stessa Reggiana: spese pazze, stadio costato molto e quasi mai riempito, un’altra apparizione fugace in serie A, stagioni di magra tra B e C1, il fallimento del luglio 2005.
“Mal comune, mezzo gaudio” dice il proverbio: il declino di Futre coincise con il declino della squadra che voleva essere grande, ma che invece fece il passo più lungo della gamba.