Football Legend il Milan di Arrigo Sacchi

E’ stata definita dalla UEFA “la squadra di calcio più grande di sempre”. E’ stata la squadra che ha cambiato il calcio moderno. E’ stato un esempio di bel gioco, tecnica e tattica in 105×70 di spazio. E’ l’ultima squadra ad aver vinto consecutivamente la Coppa dei Campioni/Champions League. E’ durata solo quattro anni, ma sono stati quattro anni di spettacolo puro, il Milan di Arrigo Sacchi da Fusignano, Ravenna.

E come dare torto al massimo organismo calcistico europeo: uno scudetto, una Supercoppa italiana, due Coppe dei Campioni (consecutive), due Coppe Intercontinentali (consecutive), due Supercoppe europee (consecutive) e una squadra composta da giocatori ancora oggi rimpianti (tecnicamente e tatticamente). Questo è stato il “Milan degli Invincibili”, il “Milan dei tre olandesi”, il Milan padrone dell’Europa e del Mondo calcistico.

Il club rossonero rivoluzionò il calcio, segnando un’epoca e diventando un modello da seguire erano come il Real Madrid di Alfredo di Stefano, la “Grande Inter” di Helenio Herrera, l’Ajax di Johan Cruijff, il Bayern Monaco di Franz Beckenbauer (e come saranno poi la Juventus di Lippi oppure il più moderno tiki-taka barcelonista di Josep Guardiola).

Eppure quel Milan è stato un qualcosa di speciale: basato sul calcio totale orange, il 4-4-2 “sacchiano” ha seminato magia: quattro difensori in linea con i terzini (Tassotti e Maldini) a spingere, in mezzo alla difesa due veri baluardi (Costacurta e Baresi), in mezzo al campo, un mediano dai piedi fini e dalla grande intelligenza tattica (Ancelotti), un centrocampista completo con velleità di fantasista (Donadoni), un jolly prezioso come il pane (Evani) e davanti Van Basten e Ruud Gullit, diversi ma che si intendevano alla perfezione. Oltre a Frank Rijkaard, arrivato nell’estate 1988.

Tra il 1987 e il 1991 (con la chiamata di Sacchi in Nazionale), il Milan vinse il vincibile, ritornando sul tetto d’Europa e del Mondo. Oltre a tornare a vincere in Patria dopo anni bui che videro due retrocessioni in Serie B e la paura del fallimento dietro l’angolo.

Il 20 febbraio 1986 ci fu la svolta: “Giussy Farina”, dopo quattro anni, cedette la presidenza (e i molti debiti) ad un giovane imprenditore milanese partito prima dall’edilizia e poi diventato un magnate della pubblicità e delle televisioni, Silvio Berlusconi. Berlusconi aveva idee chiare: il Milan doveva tornare sul tetto d’Italia, d’Europa, del Mondo. E per farlo non badò a spese. Presentatosi a bordo di un elicottero, la prima stagione di Berlusconi fu anonima con il club che si classificò al quinto posto e con la qualificazione in Uefa strappata alla Sampdoria dopo uno spareggio. In Coppa Italia i rossoneri incontrarono un bel Parma, allora militante in cadetteria, sia nel primo turno che negli ottavi, venendo eliminato.

Berlusconi decise di non continuare con Fabio Capello (“tappabuchi” dopo l’esonero di Liedholm nelle ultime sei partite del precedente torneo) e stagione 1987/1988 partì con il botto: Arrigo Sacchi, l’allenatore di quel Parma, divenne il nuovo allenatore rossonero. Il mister non aveva mai allenato in Serie A e aveva un passato da calciatore dilettante.

Come detto, Berlusconi non badò a spese e quella “pazza” estate arrivarono i centrocampisti Carlo Ancelotti e Angelo Colombo dalla Roma e dall’Udinese, mentre dall’estero arrivarono Ruud Gullit e Marco van Basten, rispettivamente dal PSV Eindhoven e dall’Ajax, pagandoli in tutto solo 15 miliardi (13 e mezzo il giocatore originario del Suriname, due quello di Utrecht). Ovviamente Sacchi portò dei suoi fedelissimi, dei gregari: Roberto Mussi, Walter Bianchi, Mario Bortolazzi.

Gli addetti ai lavori, ma anche i tifosi, erano scettici: come avrebbe potuto un allenatore neofita del grande calcio guidare una squadra storica come il Milan? Come avrebbe potuto uno che non ha mai giocato a calcio allenare una piazza come il Milan?

E invece il campionato 1987/1988 venne vinto proprio dal Milan a discapito del Napoli di Maradona campione l’anno prima e classificatori al secondo posto a tre lunghezze (due punti allora per la vittoria). I rossoneri dopo nove anni tornavano a vincere un campionato e poterono così tornare a disputare la Coppa dei Campioni.

E pensare che il Milan aveva racimolato undici punti nelle prime quindici giornate e a gennaio era a cinque punti dal Napoli, era già fuori dall’Europa (eliminato facilmente dall’Espanyol) con la tifoseria spazientita che chiedeva la testa del tecnico. Berlusconi (ieri come oggi) era un decisionista puro e decise di continuare con il tecnico di Fusignano. E i fatti gli diedero ragione: il 1° maggio 1988 al “san Paolo” ci fu una delle partite più belle di sempre, lo scontro diretto al vertice con il Napoli. 2 a 3 finale, Milan che superò i partenopei e vinse (due giornate dopo) il suo 11° scudetto.

E la Coppa dei Campioni edizione 1988/1989 da quale squadra è stata vinta? Dal Milan di Sacchi, che strapazzò nella finale del “Nou Camp” il malcapitato Steaua Bucarest davanti a oltre 80mila tifosi rossoneri, con le doppiette di Gullit e Van Basten. Una coppa vinta anche grazie alla “partita perfetta” del 19 aprile 1989: 5 a 0 al Real Madrid al “Meazza” dopo l’1 a 1 del “Bernabeu”.

A giugno, il club meneghino vinse anche la prima edizione della Supercoppa italiana contro la Sampdoria vincitrice della Coppa Italia e a dicembre Baresi alzo al cielo anche la Supercoppa europea, avendo la meglio sul Barcellona vincitore della Coppa delle Coppe.

I primi due anni del tanto vituperato Sacchi si erano conclusi come mai si sarebbe pensato.

In Coppa dei Campioni il Milan fece la storia: dopo un secondo e un terzo posto in campionato, ecco arrivare il bis in Coppa dei Campioni l’anno successivo. dopo aver eliminato Real Madrid, Malines e Bayern Monaco, nella finalissima del “Prater”di Vienna bastò un gol di Rijkaard per sconfiggere il Benfica.

Senza contare che il 17 dicembre 1989 ed il 9 dicembre 1990, capitan Franco Baresi aveva alzato al cielo di Tokio la seconda e la terza Coppa Intercontinentale del club rossonero, contro Nacional Medellin e Olimpia Asunción. Prima di allora, solo due squadra avevano fatto l’accoppiata Coppa Campioni/Libertadores-Intercontinentale: il Santos di Pelé (1962-1963) e l’Inter di Facchetti (1964-1965). Il Milan vinse anche un’altra Supercoppa europea, nel derby contro la Sampdoria vincitrice della Coppa delle Coppe dell’ottobre 1990. Nota dolente della stagione, la sconfitta in finale di Coppa Italia contro la Juventus.

L’ultima stagiona “sacchiana” fu la 1990/1991: Milan secondo in campionato dietro la Sampdoria, semifinalista in Coppa Italia ed estromesso dalla Coppa dei Campioni dall’Olympique Marsiglia. E la partita del “Velodrome” è passata alla storia come quella del “black out”, quando a tre minuti dal termine del match si spense un riflettore dello stadio e, dopo un vivace battibecco con l’arbitro Karlsson, Adriano Galliani, allora vice-presidente vicario del club, decise di far ritirare la squadra dal campo. Partita vinta a tavolino dai francesi (che arriveranno poi in finale sconfitti dalla Stella Rossa) e Milan squalificato per un anno dalle competizioni europee.

L’eliminazione in Coppa dei Campioni fu una mazzata, inaspettata. La squadra sembrava demotivata e spaccata a fine stagione: da una parte Sacchi contro Van Basten e dall’altra Sacchi contro la dirigenza e con alcuni giocatori. Morale: Arrigo Sacchi in Nazionale al posto di Azeglio Vicini e squadra affidata ad un ex allenatore rossonero (anch’esso con poca esperienza) ma dal passato glorioso, Fabio Capello.

Con il tecnico di Pieris, il Milan, in sei stagioni, vinse cinque scudetti, tre Supercoppe italiane, una Champions League (“miracolo del Bernabeu”) e una Supercoppa europea, perdendo una finale di Champions e una di Intercontinentale. Insomma, un altro gran bel palmares. Un ottimo bottino con un’altra grande rosa, ma il Milan di Sacchi era un’altra cosa. Eh sì perché quel Milan è stato un qualcosa di mai visto primo e tutti gli altri ne sono diventati delle copie.

Con il vate di Fusignano è cambiato tutto: modo di vedere e intendere la partita, mentalità, modi di allenamento, modo di difendere e di attaccare. Sacchi inventore al pari di Leonardo, Galileo ed Einstein.

Se ancora oggi quel Milan è un esempio, parte la si deve all’emergente Sacchi, ma anche a Berlusconi per l’ingente somma di denaro investita e dal valore dei giocatori portati in rosa. Ieri come oggi, se si investono tanti soldi si può comprare il meglio in circolazione ed il Milan “sacchiano” (a mettiamoci anche quello successivo di Capello) ne è stato l’esempio: in dieci anni, cinque Palloni d’oro vinti e altri cinque piazzamenti.

Eppure Sacchi fece una qualcosa di rivoluzionario che ancora oggi è Storia. Non finirà sui libri di storia studiati a scuola, ma quando si parlerà di lui e del “Milan degli Invincibili”, verrà sempre in mente quell’uomo nato il 1° aprile che indossava i Ray-Ban e aveva uno spiccatissimo accento romagnolo.

Sacchi visionario, Sacchi “pazzo”? No Sacchi era uno che sapeva quello che faceva e lo faceva con una semplicità disarmante, dominando ma innovando.

Poteva vincere di più in Italia, ma a quel Milan quell’unico tricolore è stato il trampolino verso la Gloria e la Storia. E meno male che Berlusconi non lo esonerò.

La storia (anche nel calcio) la fanno i vincitori e sicuramente quel Milan senza Sacchi, non sarebbe mai diventato la squadra più forte di tutte.