Quando si pensa a Firenze, viene in mente una carrellata di beni artistici da leggenda: Ponte Vecchio, piazza della Signoria, Uffizi, Santa Croce, David di Michelangelo, Duomo del Brunelleschi. Per non parlare delle Cappelle medicee e di piazzale Michelangelo. Insomma, un museo a cielo aperto in una città fra le più belle del Mondo. Ma Firenze non è solo arte e cultura, ma anche calcio. La locale squadra di calcio, nota in tutto il Mondo per il suo colore viola, è la Fiorentina.
GIOCATORI GLORIOSI CON LA FIORENTINA
Nella squadra gigliata sono passati giocatori di un certo spessore: Rosetta, Sarti, Montuori, de Sisti, Antognoni, Baggio, Dunga Batistuta, Giuseppe Rossi e Davide Astori. La lista sarebbe ancora più lunga, ma se si ferma per strada un qualsiasi tifoso della Viola e gli si chiede chi è stato il Maestro non risponderebbe con nessun artista che ha reso grande la città, ma direbbe il nome del calciatore portoghese che ha scritto la storia della squadra nel anni Novanta insieme a quel gran pezzo da 90 che è stato Gabriel Omar Batistuta: Manuel Rui Costa. E proprio a lui è dedicato il consueto spazio settimanale “Football Legend”, ad uno dei giocatori più forti visti al “Franchi” negli ultimi trent’anni.
MANUEL RUI COSTA
Numero 10 sulle spalle e fantasia allo stato puro, Rui Costa è stato il faro della Fiorentina che tra il 1994 ed il 2001 vinse molto, ma che poté vincere di più. Giocatore lento ma dotato di un tecnica senza eguali, Rui Costa è considerato come uno dei più talentuosi numeri 10 della sua generazione.
L’asso portoghese non è nato calcisticamente nella Fiorentina, ma il suo nome è legato da sempre al club più famoso del Portogallo, il Benfica, la prima squadra del suo Paese a vincere l’allora Coppa dei Campioni guidata da Eusebio, la perla nera, il più forte giocatore lusitano di sempre. E proprio il Pallone d’oro 1965 fu decisivo nella carriera di Rui Costa.
Ma facciamo un passo indietro, alla Lisbona del 1972. Manuel vi nacque il 29 marzo e la “porta occidentale d’Europa” stava vivendo gli ultimi fuochi del regime autoritario di Marcelo Caetano. Il Portogallo, guidato da quel tipo di regime dal 1932, era economicamente povero e la famiglia Rui Costa non particolarmente agiata. Il quartiere lisboneto dove nacque il futuro Maestro, Damaia, non era certo Beverly Hills e la famiglia Rui Costa faceva davvero fatica ad arrivare a fine mese. L’unica nota di svago era il respirare aria di calcio da sempre. Aria di Benfica, per cui Manuel tifava. Da morire. A nove anni i genitori lo portarono a fare un provino con la squadra di São Domingos con lo stesso Eusebio talent scout.
I PRIMI PASSI
L’attaccante degli anni d’oro delle “aquile” vide in Rui Costa il potenziale per diventare un giocatore professionista. Cosa volere di più: giocare nella propria squadra del cuore selezionato dal proprio idolo. Rui Costa fece tutta la trafila delle giovanili, ma non riuscì a debuttare in prima squadra: non era ancora ora di fare il salto di qualità e per fargli fare le ossa il club delle “aquile” lo spedì nel distretto di Braga, a 360 km a nord di Lisbona. Nella cittadina di Fafe, in seconda divisione (la Segunda Divisão Portuguesa), giocava l’AD: non un club di prim’ordine, ma quello giusto per giocarci un anno in prestito, capire come funziona il calcio e tornare poi all’ovile. La stagione 1990/1991 vede il 18enne Rui Costa segnare ben sei reti in campionato, regalando una salvezza tranquilla al club. Ma il meglio doveva ancora venire, perché il Portogallo quell’anno organizzò il torneo giovanile più importante al Mondo: il Campionato Under 20. Rui Costa ne fece parte e con lui elementi che negli anni successivi scrissero pagine importanti del calcio lusitano: Abel Xavier, Luis Figo, Emílio Peixe, Capucho e Paulo Torres, tutti sotto la guida di Carlos Queiroz. I lusitani vinsero il torneo, sconfiggendo in finale il Brasile ai rigori. Rui Costa segnò il rigore decisivo proprio nello stadio del Benfica, il da Luz, ed il Portogallo divenne Campione del Mondo per la seconda volta consecutiva, bissando il successo in Arabia Saudita di due anni prima. Un altro torneo giovanile di notevole prestigio era (e lo è ancora oggi) il Torneo di Tolone, riservato anch’esso alle Nazionali Under 20. Nel 1992 la XX edizione del Festival delle Speranze fu vinto dalla Seleção portoghese, guidata in attacco proprio da Rui Costa che, con quattro reti, vinse anche la classifica marcatori.
IL GIOVANE RUI COSTA
Lo stadio da Luz fu teatro della prima parte di carriera di Rui Costa, poiché il fantasista vi militò tre stagioni consecutive (1991-1994), giocandovi 107 partite, segnando dieci reti e vincendo un campionato (nel 1994, il trentesimo del club) e una Taça de Portugal (l’equivalente della nostra coppa nazionale). Debuttò in Coppa dei Campioni il 6 novembre 1991 e il Benfica, allenato allora da Sven-Göran Eriksson, espugnò nientemeno che Higubury, la tana dell’Arsenal. A livello europeo, il club di Lisbona si spinse solo fino alla semifinale di Coppa delle Coppe nel 1994, venendo eliminato dal Parma. Nel 1994, a 22 anni, Rui Costa era conscio del fatto che la Lisbona calcistica gli stava stretta e se voleva diventare un calciatore professionista con i contro fiocchi doveva partire dal Paese natio ed emigrare nei top campionati continentali.
L’ARRIVO A FIRENZE
Lo voleva il Barcellona, alla fine optò (anche per motivi burocratici del Benfica) per una piazza ambiziosa ma piccola come Firenze: per 11 miliardi, Rui Costa fu portato in riva all’Arno dal Presidente Vittorio Cecchi Gori.
Rui Costa con la maglia viola rimase fino al termine della stagione 2000/2001 giocando nella migliore Fiorentina del dopo-Baggio: terzo posto nel campionato 1995/1996 e 1998/1999 (dove rimase in lizza fino all’ultimo per vincere lo scudetto), due Coppe Italia (nel 1996 e nel 2001 contro Atalanta e Parma), una Supercoppa italiana (contro il Milan), un’altra semifinale di Coppa delle Coppe (sconfitta dal Barcellona) e la cavalcata in Champions League della stagione 1999/2000, con il club che si spinse fino alla seconda fase a gironi. Quella stagione nella “coppa dalle grandi orecchie” la Viola giocò contro squadre di caratura come Barcellona, Arsenal, Valencia e United, senza sfigurare. In tutto questo, Rui Costa si fece notare per la classe, le giocate e la dimostrazione che Eusebio ci aveva visto bene anni prima.
IL PASSAGGIO AL MILAN
Ma la Fiorentina non viveva in acque economiche positive: la gestione di Mario Cecchi Gori era stata la migliore degli ultimi dieci anni, ma i debiti erano diventati troppi da quando il figlio Vittorio ne aveva presa l’eredità. Con l’approdo di Batistuta alla Roma nell’estate 2000, la fascia di capitano passò dall’asso di Avellaneda a quello di Lisbona. Con Rui Costa capitano, la Fiorentina arrivò solo nona in campionato, ma vinse la sua sesta (e finora ultima) Coppa Italia della storia.
Ma nell’estate 2001 la “Fiesole” dovette perdere anche il talento di Rui Costa, ceduto per 85 miliardi al Milan. I soldi del club rossonero diedero fiato alle casse viola, ma nell’estate successiva la gloriosa squadra del giglio retrocesse in Serie B e a fine campionato fu dichiarata fallita, ripartendo la stagione successiva dalla Serie C2 con un altro nome (Florentia Viola). Rui Costa approdò in un Milan stellare: con il portoghese, a Milanello quell’estate arrivarono anche Pirlo ed Inzaghi uniti ad una squadra che annoverava già Maldini, Schevchenko, Gattuso e Ambrosini tra i tanti nomi. L’arrivo di Rui Costa fu appreso in pompa magna dai tifosi rossoneri che potevano così avere un centrocampo muscolare e tecnico allo stesso momento.
Rispetto a Firenze, Rui Costa a Milano fu meno “divino” ma i successi si moltiplicarono, sopratutto nel biennio 2003-2004 con il Milan che vinse uno scudetto, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana, una Champions League e una Supercoppa europea. Il numero 10 di Damaia fu protagonista in grande stile di quei successi, anche se non giocò i tempi supplementari e non calciò uno dei rigori della finale “italiana” di Manchester, in quanto sostituito alla fine del secondo tempo regolamentare. Rui Costa rimase al Milan fino al termine della stagione 2005/2006 per poi tornare a casa.
IL RITORNO A CASA
Perché quando uno sta via di casa (e vince) per dodici anni, sente poi la necessità di tornare da dove tutto era iniziato: Rui Costa, da buon figliol prodigo, tornò nel “suo” Benfica per giocare ancora due stagioni e far vedere ancora lampi di classe. In maglia biancorossa ottenne ancora un terzo ed un quarto posto in campionato, nulla di che ma conscio di essere tornato a casa da eroe e di aver chiuso la carriera altrettanto da eroe. L’ultima partita di Rui Costa fu l’11 maggio 2008 contro il Vitória Setúbal: chiudeva la carriera uno dei giocatori più talentuosi della storia del calcio portoghese.
Il 18 settembre 2007 era tornato per la prima da avversario a San Siro nella fase a gironi di Champions: come era successo con il suo primo ritorno a Lisbona con la maglia della Fiorentina nei quarti di Coppa delle Coppe del 6 marzo 1997, per lui furono solo applausi.
IL RAPPORTO CON LA NAZIONALE
Rui Costa ha giocato a livello professionistico per diciotto anni, vincendo molto e facendosi apprezzare da tutti, compresi i tifosi avversari. L’unico rammarico riguarda la Nazionale, con cui ha debuttato nel 1993 e con la quale chiuse il 4 luglio 2004, la data più triste del calcio lusitano: la finale dell’Europeo casalingo. E non c’è cosa peggiore che perdere la finale di una manifestazione internazionale organizzata dal tuo Paese: il Portogallo, da quattro anni fra le squadre più forti d’Europa, si arrese in finale contro la Grecia che vinse in maniera totalmente inaspettata la manifestazione. La finale di Lisbona fu un passaggio di consegne tra la vecchia guardia (Rui Costa, Figo, Deco e Pauleta) e quella nuova (Ronaldo, Bernardo Silva e Renato Sanches) che dodici anni dopo vincerà l’Europeo francese.
Il Portogallo però dalla finale del 2004 allo scorso Europeo, ha toccato risultati importanti: quarto posto nel Mondiale sudafricano, terzo posto (ad ex equo con la Germania) nell’Europeo polacco-ucraino e nella scorsa Confederations Cup. L’apice fu la vittoria nei supplementari del campionato europeo del 2016, con una nidiata di talenti cresciuti o allora militanti nel club delle “aquile”. Un po’ di quell’Europeo è stato targato Rui Costa, in quanto dal suo ritiro è diventato il direttore sportivo del club. E sotto la sua gestione sportiva, il club più titolato di Portogallo è diventato non solo la rampa di lancio per tanti giocatori, ma anche una squadra capace di vincere cinque titoli nazionali, tre Coppe di Portogallo, quattro Supercoppe nazionali e sette Coppe di Lega, mentre a livello europeo ha raggiunto due finali consecutive di Europa League (2013-2014) ed un quarto di finale di Champions League (2016). Se Rui Costa era un asso in campo, lo è anche oggi che veste giacca e cravatta e ha una scrivania nella sede del club di Lisbona.
IL NUOVO LAVORO
In questi anni da ds, il Benfica non solo è una delle squadre più forti del Paese, ma è una squadra ricca dotata di strumenti e location all’avanguardia, nonché (come detto) rampa di lancio per tanti giocatori e luogo dove questi si sono consacrati: da David Luiz a Angel di Maria, da Axel Witsel a Pablo Aimar, da Javi Garcia a Fabio Coentrao, da Nico Gaitan a Ezequiel Garay, fino a Nemanja Matić, Jan Oblak, Nélson Semedo, Victor Lindelöf e Renato Sanches. Tanta roba, come direbbero i giovani d’oggi. Tutti giocatori acquistati per pochi milioni per poi essere ceduti per molti milioni. A livello nazionale, sotto il management Rui Costa, i risultati sono apprezzabili ma a livello europeo c’è ancora molto da lavorare. Anche perché la squadra punta a diventare un serbatoio per i top team europei e allo stesso tempo un esempio di saggezza di gestione. Un vero modello, tanto che la Fiorentina voleva Rui Costa come ds nella stagione 2015/2016 giusto per “portoghesizzarsi” visto che aveva già un tecnico in rampa di lancio come Paulo Sousa.
Ma a noi interessa molto di più quello che Rui Costa ha dato al calcio, soprattutto al nostro campionato che quando lui indossava la 10 di Fiorentina e Milan era una Serie A strepitosa ed invidiata da tutti: quando Rui Costa “istruiva” Kakà sul ruolo da tenere in campo o lo stesso Rui Costa dialogava nella stessa lingua (calcistica) prima con Batistuta e poi con Shevchenko.
Rui Costa fa rima con tecnica, visione di gioco, palle indirizzate ai compagni con il mirino e grande intelligenza tattica. Rui Costa ha rappresentato il meglio del concetto di “trequartista con i piedi fatati” che abbiamo visto alle nostre latitudini. Per la gioia dei tifosi di Fiorentina e Milan che non hanno mai smesso di ringraziare i loro presidenti per aver regalato loro il Maestro di Lisbona. Ma anche il tifoso di qualsiasi altra squadra ha ringraziato i vari Cecchi Gori e Berlusconi per poter vedere sui campi italiani ed europei il talento di Rui Manuel César Costa, classe 1972, famiglia povera ma una bacheca piena di trofei e successi da far invidiare tutti