Football Legend Luis Silvio Danuello

Il mito Luis Silvio Danuello

La rubrica “Football Legend” è nata il 1° marzo 2016 per raccontare le gesta di alcuni tra i più forti calciatori (e di singole squadre) della storia: il primo giocatore ad essere analizzato fu Eusebio. Ad oggi sono stati redatti oltre trenta articoli ed abbiamo spaziato dalla stessa “Perla nera” a Lev Jascin, da Gaetano Scirea a David Beckham, da Eric Cantona ad Alan Shearer, da Michel Platini a Johan Cruijff, Pelé e Roberto Baggio, passando per Aldair e Maldini padre e figlio.

Questa volta invece vogliamo celebrare un giocatore di cui in pochi si ricordano, un giocatore brasiliano arrivato in Italia con le stimmate del predestinato, ma che invece dopo pochi mesi (anzi poche partite) fu costretto a lasciare la sua squadra e la Serie A perché…scarso. Questa volta lo spazio “Football Legend” lo vogliamo dedicare a colui che, ancora oggi, è l’emblema del “bidone”, del giocatore scarso che doveva essere il campione, dell’abbaglio e della fregatura del calciomercato. Ecco a voi Luis Silvio Danuello.

Prima di spiegare cosa è stato il “fenomeno” Luis Silvio Danuello, dobbiamo tornare indietro al 1980: anno ricco di eventi (anche luttuosi), dal punto di vista sportivo, calcistico in particolare, fu la stagione post “totonero”, l’Inter vinse il suo dodicesimo scudetto e l’estate 1980 divenne importante perché, dopo 14 anni, vennero riaperte le frontiere. Fu possibile, per ogni squadra di Serie A (allora a sedici squadre) poter tesserare un solo giocatore straniero, di qualsiasi continente.

Le squadre italiane fecero una vera corsa per accaparrarsi il miglior straniero: arrivarono i brasiliani Jaury, Elias e Falcão (Avellino, Bologna e Roma), gli argentini Bertoni e Fortunato (Fiorentina e Perugia), l’austriaco Prohaska (Inter), l’irlandese Brady (Juventus), gli olandesi Krol e van de Korput (Napoli e Torino) e il tedesco Neumann (Udinese). Non tesserarono stranieri l’Ascoli, il Como, il Brescia, il Cagliari e il Catanzaro.

Anche la neopromossa Pistoiese che si apprestava a disputare il suo primo (e finora unico) campionato di Serie A si accaparrò il suo primo straniero. I toscani, allenati da Lido Vieri, l’anno precedente, con in panchina Enzo Riccomini, si classificarono secondi in Serie B dietro al Como e davanti al Brescia, e furono promossi in Serie A. Lido Vieri chiuse la carriera di calciatore difendendo proprio la porta della Pistoiese e “gli olandesi d’Italia” affidarono a lui la panchina della matricola.

La città di san Jacopo fu travolta dall’entusiasmo di vedere la squadra arancione (un unicum ancora oggi nel panorama cromatico calcistico) sfidare le grandi. A capo di quella Pistoiese c’era Marcello Melani, vulcanico presidente del sodalizio toscano e noto per le sue grosse possibilità economiche. E per Melani (morto nel 2002 a 81 anni) il fatto di vedere la sua Pistoiese in sei anni passare dalla Serie D a sfidare Juventus, Roma, Torino e Inter fu motivo di vanto ed orgoglio. Per questo motivo diede incarico al vice di Lido Vieri, Giuseppe Malavasi, di dare un’occhiata nel Mondo per cercare quei giocatori che avrebbero garantito alla sua Pistoiese di salvarsi con largo anticipo. E per un presidente soprannominato “il Faraone” non era un problema spendere e spandere.

Malavasi quell’estate prese armi e bagagli e andò in Brasile a scoprire il giocatore d’area che serviva alla Pistoiese, quello che avrebbe garantito i gol salvezza. Il vice allenatore arancione sentendosi con alcuni intermediari locali andò a vedere la partita tra il Ponte Preta di Campinas ed il Comercial di Ribeirão Preto. La partita fu vinta dalla prima squadra per 2 a 0 con doppietta del ventenne Luis Silvio Danuello. La partita del giocatore del club di Campinas fu spettacolare: corsa, dribbling, senso di posizione in campo, movenze brasiliane. Malavasi capì che quel ragazzo di venti anni era ciò che serviva a Vieri, la punta di riferimento per i cross dalle fasce e per le verticalizzazioni da parte dei centrocampisti. Il dirigente tornò a Pistoia e raccontò a Melani che Danuello era quello che stavano cercando. L’affare si fece e Danuello per una cifra pari agli allora 170 milioni divenne un giocatore della Pistoiese.

Dopo Falcao ed Eneas, un altro giocatore brasileiro giunse a giocare alle nostre latitudini. Le premesse per fare bene c’erano tutte, visto che l’anno prima Danuello vinse il premio come miglior giovane e la “Taça San Paolo”, il campionato giovanile brasiliano, con il Marília. Insomma, sembrava che la Pistoiese avesse risolto il grande problema dell’attaccante, visto che nel complesso il sodalizio arancione aveva in squadra gente come Lippi (si, proprio lui), Frustalupi, Borgo, Agostinelli e Bellugi. Non una squadra di vertice, ma una buona squadra “operaia” che voleva salvarsi

Ma dove sta l’inghippo in tutta questa vicenda? Nel fatto che un conto è essere una “ponta”, un altro un punta. E si perché la prima parola, in portoghese, sta per “ala”, mentre la punta è l’attaccante. E questo era il ruolo di Luis Silvio Danuella, l’ala destra e non l’attaccante. Potete capire che un giocatore di 162 cm come era lui non poteva fare la prima punta. E tutti capirono sin dalle amichevoli estive che qualcosa non era andato per il verso giusto. Danuello esordì il 14 Settembre 1980 al “Comunale” di Torino contro i granata di Ercole Rabitti e dell’olandese Michel van de Korput,ma il (presunto tale) attaccante di Júlio Mesquita uscì dai radar di Vieri.

Danuello fino in primavera giocò solo sei partite senza segnare un gol e da titolare divenne panchinaro e poi relegato in tribuna. E in quelle poche partite si notò un Danuello davvero scarso, l’opposto (in peggio) di quello che aveva detto Malavasi al suo ritorno dal Brasile. Che abbia sbagliato giocatore Malavasi? No, il ragazzo era quello, solo che il livello del Porta Petra e del Comercial non aveva nulla a che fare con la Serie A di allora. E forse con il calcio in generale.

In primavera, il giocatore tornò in Brasile (senza avvisare) e la squadra in campionato vinse solo sei partite, ne pareggiò quattro, ne perse venti e tornò subito in cadetteria. Da allora la Pistoiese ha disputato ancora sei tornei di B, è fallita due volte e giocato anche due stagioni in Eccellenza tra il 2010 e il 2012.

Ora gioca in Lega Pro, lo stadio della squadra è intitolato alla memoria di Melani e su un muro nei pressi dell’impianto c’è il mitico murales “Luis Silvio c’è”, come dire che Luis Silvio Danuello è esistito veramente e non era una diceria. Eh si perché dopo l’amarissima stagione in Italia, Luis Silvio non tornò mai più nel Belpaese se non alla fine del torneo per riscuotere gli stipendi arretrati. Visto il “pacco” e il cattivo gesto di essere scappato via, Melani non gli diede un soldo e il giocatore se ne tornò con le pive nel sacco in Brasile.

L’attaccante di Júlio Mesquita giocò ancora con Internacional di Porto Alegre, Ponte Preta, Nautico e con i paulisti del San José. Si ritirò dal calcio ad appena 27 anni.

Dopo il suo addio al calcio, su Danuello è stato detto tutto e il contrario di tutto, con le malelingue a fare da padrone: si disse che il giocatore classe 1960 era diventato un barista in un chiosco nei pressi dello stadio della Pistoiese, poi un gelataio, poi un pizzaiolo e anche un attore di film per adulti per racimolare qualche soldo per arrivare a fine mese. Si vociferò (ma la voce fu sempre smentita) che la partita cui assistette Malavasi fu truccata dalle due squadre per far vedere allo scout italiano che campione fosse Luis Silvio.

Nel 2007, in un’intervista alla “Gazzetta dello Sport”, Danuello è tornato a parlare della sua vita e della sua pessima esperienza italiana. Parlò del malinteso linguistico (ponta/punta/ala) e del suo pessimo rapporto del nostro Paese con lui che, prima di tornare in Brasile, veniva deriso in tutti i campi e sui giornali dandogli il poco lusinghiero soprannome di “bidone”.

Oggi Luis Silvio Danuello di mestiere rivende ricambi per macchine industriali e ha aperto la sua azienda con i soldi guadagnati da calciatore, vive a Marilia con la moglie e i due figli, con la primogenita nata in Italia.

Cosa rimane di mitico in questa storia, per chi si ricordasse ancora di lui? Ci si ricorda il “mito” e non le giocate ed il ricordo di essere stato il più grande equivoco calcistico della storia del calcio (almeno italiano).

Ma la domanda che sorge spontanea sarebbe da porre al mitico Lido Vieri: mister, ma se Luis Silvio non ingranava come punta, perché non cambiargli ruolo? E non c’era nessuno a Pistoia che parlasse portoghese o che potesse aiutare giocatore e squadra a non incappare nell’imbarazzante ruolo di bidone? Tutte domande legittime, ma a cui ora, nel 2016, è inutile avere risposta.

Così è stato, il passato non si può cambiare ma una cosa a Luis Silvio la possiamo dire: in Serie A non sei stato l’unico bidone, come te ce ne sono stati (anche strapagati) e altri ne arriveranno. Perché il bidone, ahi noi, non passa di moda.

E questo i presidenti delle squadre di calcio, purtroppo, lo sanno molto bene.