Football Legend Carlos Valderrama
Il sito Garzanti Linguistica alla voce “Icona” riporta testualmente: “personaggio emblematico di un’epoca, un ambiente, un genere”. L’icona è un’immagine che fa pensare ad un qualcosa che ha influenzato le persone e a cui tutti sono grati.
Nel calcio le icone sono tante, tantissime, soprattutto fino agli anni Novanta. Non è una cosa negativa per periodo attuale, ma solo per il fatto che gli anni Duemila sono arrivati dopo il ventennio Ottanta-Novanta che ha riscritto le pagine dello sport più seguito e praticato al Mondo.
Tra gli anni Ottanta e Novanta dall’altra parte del Mondo, in Colombia, giocava un ragazzo di Santa Marta, cittadina affacciata sul mar dei Caraibi, che con il numero 10 sulle spalle, il numero dei fantasisti e di quelli più forti, si impose come un giocatore iconico nel vero senso della parola. Tecnicamente non era per nulla fenomenale, non correva più di tanto, ma era preciso nei passaggi e negli assist, tanto da diventare per due volte calciatore sudamericano dell’anno. Come lui solo quelli che hanno scritto pagine indelebili di uno sport che a quelle latitudini è una religione.
Stiamo parlando di Carlos Valderrama, il calciatore colombiano più forte della storia. Addirittura Pelé, uno che di numeri 10 se ne intende, lo inserì nella lista dei FIFA 100, i migliori giocatori della storia del calcio da “salvaguardare”, l’unico del suo Paese, uno dei trentuno sudamericani inseriti in classifica.
Perché è stato un’icona Carlos Valderrama? In tre elementi, tutti extracalcistici: la folta capigliatura afro bionda, i baffi neri, le collane e i braccialetti colorati indossati in campo. Un personaggio tra il bohémien ed il cartone animato, senza dubbio folkloristico, ma che ha permesso al suo Paese di uscire dal dualismo narcotraffico-corruzione, elementi che lo contraddistinguevano (e ancora oggi in parte) al di là dei confini nazionali.
“El pibe” (il suo soprannome) venne al Mondo in una cittadina e in una regione che profumano di icone religiose: (santa) Marta e Magdalena. Carlos Valderrama nacque in una famiglia più o meno agiata con altri nove fratelli con il padre Carlos senior infuse alla famiglia la passione per il futebol.
Dopo aver ottenuto il diploma, il giovane Valderrama decise che la sua vita sarebbe stata mantenuta dal gioco del calcio e due anni dopo, il 15 marzo 1981, debuttò nel massimo torneo colombiano con la maglia dell’Union Magdalena, la squadra dove il padre aveva giocato in passato. Con la squadra rossoblu Carlos Valderrama giocò tre stagioni, raccogliendo 94 presenze, siglò cinque reti…e fece quattro giorni di carcere per oltraggio a pubblico ufficiale. La squadra non era eccezionale, ma i suoi piedi lo erano e nell’estate 1984 passò dalla provincia alla capitale Bogotà, vestendo i colori del mitico Millonarios, la squadra top del Paese.
Nella metropoli Valderrama non si trovò per nulla bene, spaesato, proveniva dal mare dalla quiete delle provincia. Rimase solo una stagione per passare alla squadra principale di Calì, il Deportivo, dove si consacrò come il miglior talento colombiano di sempre. Con la squadra biancoverde rimase altre tre stagioni, segnando con continuità, nonostante fosse predisposto all’assist finale. I suoi capelli, super gonfi e super ricci, ed i suoi baffi neri iniziarono a fare il giro del Paese di pari passo con le sue ottime giocate. Nel 1985 raccolse la sua prima convocazione con la Nazionale dei cafeteros. Il Paese ed il Campeonato Profesional gli stavano stretti ed era giunto il momento di migrare in Europa verso squadre e campionati più attrezzati.
Nel 1987, da capitano, portò la Colombia al terzo posto in Copa America, tenutesi in Argentina: la squadra del Ct Francisco Maturana perse in semifinale contro il Cile, ma nella “finalina” la Colombia ebbe la meglio niente meno che sull’Argentina campione del Mondo uscente. Per i cafeteros quello fu il risultato migliore di sempre nel campionato continentale. A fine stagione Carlos Valderrama fu insignito del prestigioso premio di Calciatore sudamericano dell’anno, una sorta di Pallone d’oro continentale.
Come detto, nell’estate 1988 Valderrama partì per l’Europa, ma non finì in nessun grande club. Fino al 1991 militò in Ligue 1 ed in Liga con le maglie di Montepellier e Real Valladolid, due squadre per nulla glamour.
Gli addetti ai lavori sostennero che il Montpellier, zitto zitto, avesse fatto un grande colpo di mercato facendo giocare Valderrama in una buona squadra con in rosa, nei due anni, Júlio César, Laurent Blanc, Eric Cantona e Roger Milla, funambolico attaccante camerunense che due anni dopo, a Italia ’90, diede un dispiacere (sportivo) allo stesso Valderrama.
Il centrocampista di Santa Marta fece un pre-campionato importante, sia con la squadra bluarancio che con la Nazionale, ma in terra francese furono stagioni opache con la sola vittoria in Coppa di Francia nel 1990 ed in campionato la squadra di classificò nona, tredicesima e settima, partecipando alla prima e all’ultima stagione alle coppe europee (Coppa UEFA, Coppa delle Coppe).
Motivi del fallimento? Molteplici: inserimento difficile, lingua difficile, campionato veloce per le sue logiche, troppo tattico e veloce, oltre ad una forma fisica tutt’altro che perfetta. Eppure durante la seconda stagione fece bene e ottenne la convocazione per il Mondiale italiano del 1990. Nell’estate 1991, Valderrama lasciò l’Occitania per la Castiglia, firmando con il Real Valladolid dei colombiani, la squadra aveva in rosa i connazionali René Higuita e Leonel Álvarez, oltre a Maturana, che lasciò la panchina della Nazionale per allenare la squadra biancoviola. La stagione in terra iberica fu peggiore degli anni a Montpellier per alcuni problemi societari, tecnici (esonero di Maturana) e una squadra scarsa che si piazzò all’ultimo posto e retrocesse in Segunda. Valderrama e i suoi due connazionali lasciarono Valladolid e tornarono in Colombia: il nostro ricciolone con i baffi passò all’Independiente Medellín, la seconda squadra della seconda città colombiana.
Altra squadra, altro giro: stagione mediocre e Valderrama che in estate passò all’Atlético Junior, conquistando il titolo nazionale in due occasioni, nel 1993 e nel 1995.
Il 1993 fu un altro anno importante, con un altro riconoscimento per il riccioluto fantasista colombiano: titolo nazionale, bronzo in Copa America e secondo titolo di calciatore sudamericano dell’anno. Due volte (allora) come Maradona ed una in meno di Figueroa e Zico: Valderrama entrò di diritto nell’Olimpo dei migliori calciatori del Continente e miglior giocatore colombiano di sempre.
Ma al Valderrama lento in campo, non corrispondeva il Valderrama rapido nel cercare nuove esperienze e nuove avventure calcistiche: a parte una stagione (1996/1997) nella sua ex squadra del Deportivo Calì, Valderrrama, sempre più iconico e sempre più ricercato dalla stampa, giocò per otto stagioni nella Major League Soccer, il massimo campionato statunitense. C’è da dire che il numero 10 colombiano giocò sempre in squadre di livello medio basso, eppure nella Major trovò la sua dimensione e divenne un vero idolo. Tra il 1996 ed il 2002, anno del suo ritiro, vestì la maglia dei Tampa Bay Mutiny (in tre momenti), dei Miami Fusion e dei Colorado Rapids, spaziando tra Florida e Colorado. Nel 1996, anno di nascita dell’erede della fu NASL, Valderrama fu uno dei giocatori simbolo della rinascita del soccer americano a due anni di distanza dal Mondiale giocato nel Paese a stelle e strisce. Fu selezionato per i Tampa Bay Mutiny dove giocò complessivamente quattro stagioni, segnando otto reti in ottantatre partite. Ma soprattutto siglò addirittura 17 assist!
Il 1996 è stato il suo terzo anno top, vincendo anche il titolo di miglior giocatore della MLS.
Nella MLS si impose come uno dei migliori giocatori della storia del torneo: il campionato yankee era lento, non eccellente come tecnica e per questa stagione il capitano della Colombia si trovò a meraviglia.
Valderrama nel 1998 chiuse la sua esperienza con la Nazionale cafetera: ad oggi è il giocatore con più presenze della storia della Selezione, disputando 111 incontri conditi da undici reti. Il top per la selezione, con Valderrama capitano, fu il Mondiale italiano mentre il flop fu Usa ’94. Ecco perché. Al Mondiale italiano i cafeteros tornarono a disputare la manifestazione iridata per la seconda volta dopo Cile ’62 con in campo quella che è stata considerata come una delle Nazioni più forti del Continente. Oltre a Valderrama, la Colombia poté contare sul funambolico portiere Higuità (baffuto e capelluto come Valderrama), il forte centrale Andres Escobar, gli attaccanti Miguel Ángel Guerrero e Freddy Rincón. I cafeteros arrivarono agli ottavi di finale, dove furono eliminati ai supplementari dal Camerun di uno scatenato Milla che siglò una doppietta. Uno dei due gol fu sciaguratamente propiziato da Higuita con un suo clamoroso errore che mandò in porta l’attaccante camerunense. Valderrama, capelli giallissimi, gonfissimi, baffo nero, braccialetti e collane giocò tutte e quattro le partite, segnando una rete (contro gli Emirati Arabi Uniti) e propiziando il gol di Freddy Rincón contro la Germania, in pieno recupero, nella terza partita che portò la Colombia agli ottavi di finale. L’Italia impazzì per Valderrama (ovviamente per il suo style) e molti lo misero in contrapposizione (solamente stilistica) con Ruud Gullit, capitano dell’Olanda con baffo nero e dread locks fino alle spalle.
Valderrama guidò la Colombia al terzo posto nella Copa America del 1993 ed alla qualificazione al Mondiale americano dell’anno successivo. Fece storia il match di qualificazione disputato al Monumental di Buenos Aires il 5 settembre 1993, con l’Albiceleste che rivedeva in campo Maradona dopo la squalifica per doping: 0-5 per la Colombia e secondo Pallone d’oro sudamericano per Valderrama a fine stagione.
Eppure la Colombia non superò il primo turno del torneo iridato, complice troppa presunzione di far bene visto che molti l’avevano considerata come una delle possibili favorite o comunque un avversario ostico da affrontare. In tre partite fece tre punti su nove e tornò a casa.
Il 2 luglio 1994, a sei giorni dall’ultima partita mondiale della Colombia, il Paese e la Nazionale furono sconvolti per l’omicidio di Andres Escobar, reo di aver causato un autogol contro gli Usa. Valderrama decise di ritirarsi dal calcio per lo shock e tornò a giocare solo a partire dal 1995. Contribuirono alla pausa di Valderrama anche gli insulti ricevuti in Patria dopo il Mondiale, dove il capitano fu accusato di scarso impegno e di aver contribuito, lui che era il migliore di tutti, alla precoce eliminazione. Valderrama prese come un affronto le proteste, visto che lui stesso recuperò al limite la convocazione al Mondiale in quanto ad inizio anno subì un grave infortunio (strappo legamento e lesione a cartilagine) e temette di non potervi partecipare.
La Colombia, guidata dall’allora 37enne Valderrama, si qualificò anche per Francia ’98, ma anche in quel caso il percorso si interruppe nella fase a gironi. Il match contro l’Inghilterra, giocato il 26 giugno, fu l’ultima partita in Nazionale del numero 10 di Santa Marta. Nella kermesse francese Valderrama siglò l’assist per il gol-vittoria contro la Tunisia di Léider Preciado.
Valderrama era in là con gli anni, il fisico non era più di livello internazionale, la velocità era diminuita ancora di più e decise di concentrarsi solo con la MLS.
Dopo il ritiro andò dietro ad una scrivania, facendo il dirigente dell’Atletico Junior, ma l’esperienza fu tremenda: il 1° novembre 2007 un suo gesto deprecabile contro un arbitro (sventolio di una banconota) causò tafferugli allo stadio che portarono a diversi feriti ed arresti. L’ex capitano della Colombia fu squalificato e multato.
Nonostante questa parentesi, il livello di iconicità di Valderrama divenne ancora più elevato quando gli fu eretta una statua davanti allo stadio di Santa Marta: una statua con le sue sembianze che calciava di destro una palla e lui è raffigurato con capelli oro e baffi neri. “Alla Valderrama”.
Ma Valderrama era, è e sempre sarà il volto pulito e vincente della Colombia, una delle Nazioni con più problemi sociali al Mondo che grazie al capelluto centrocampista e una generazione di fenomeni negli anni Novanta aveva portato il Paese ad uscire dal trittico narcotraffico-violenza-corruzione che l’aveva da sempre contraddistinta.
Come fa un giocatore che non ha vinto nulla ad essere un Football Legend? Innanzitutto è stato uno dei giocatori più importanti sfornati dal Sudamerica, un giocatore lento e fisicamente inadeguato al calcio del 2017, ma che ha fatto vedere cose egregie nella sua ventennale carriera. Molto tecnico, palla al piede ed un mago nell’ultimo passaggio. La sua ottima visione di gioco, il tocco latino e l’intelligenza tattica lo hanno reso uno degli interpreti più importanti del futebol. Non sarà ricordato per nessuna partita in particolare, non ha nulla a che fare con la tecnica degli altri “dieci” della storia del calcio, eppure in tutto il globo il nome “Carlos Valderrama” fa venire in mente subito due cose: il baffo nero e la testa afro gialla.
Si è detto che Carlos Valderrama sia stato un bluff, un personaggio che ha campato grazie al suo modo di essere piuttosto che per ciò che ha dato al calcio, ma rimarrà uno dei giocatori più conosciuti al Mondo, anche se per la sua chioma ed i baffi.
Chissà come sarebbe stata la vita del Valderrama calciatore se avesse avuto i capelli corti e il volto senza peli. Non lo sapremo mai, ma siamo certi che, solo per il suo “conciarsi” in campo, molti tifosi europei lo avrebbero voluto nella propria squadra. Che fortuna hanno avuto i tifosi del Montpellier e del Valladolid allora.