La storia di Veron eccellente centrocampista di Lazio, Inter e Parma
Essere figli d’arte, una delle cose più difficili nel mondo dello sport. In tutti gli sport, nessuno escluso. Per molti un vantaggio, per altri un peso: tanto hype, tanta attesa sperando che un giorno il proprio figlio/a possa emulare le gesta dei genitori. La storia del calcio ne è piena: tanti ce l’hanno fatta e sono riusciti anche a superare il genitore, tanto da neanche ricordarsi chi fosse questo. Uno di quelli che ce l’ha fatta è stato senza dubbio uno dei centrocampisti argentini più forti degli anni a cavallo tra i Novanta e i Duemila, la golden age del nostro calcio quando la nostra Serie A era il meglio del meglio del football del Mondo. Il giocatore di cui parleremo nel nostro spazio “Football Legend” ha scritto pagine di grande calcio vestendo le maglie di Estudiantes, Sampdoria, Parma, Lazio, Inter con la parentesi inglese di Manchester United e Chelsea ed è un figlio d’arte: Juan Sebastián Verón.
In Italia sono in pochi a sapere chi fosse Juan Ramón Verón, padre di Juan Sebastián, ma a Manchester sponda United i tifosi più agée se lo ricordano eccome: numero 11 dell’Estudiantes di Osvaldo Zubeldía, quel Verón è stato il trascinatore della squadra biancorossa capace di vincere ben tre Cope Libertadores consecutive (1968-1970), con l’intermezzo della Coppa Intercontinentale del 1968 vinta contro i Red devils campioni d’Europa in carica e guidati in attacco dal trio Best-Charlton-Law. Una vittoria mai messa in discussione nelle due partite che assegnavano la coppa della miglior squadra di club del Mondo.
Verón padre con l’Estudiantes scrisse pagine di grande calcio, tanto da essere ancora oggi l’unica squadra ad aver disputato tre finali consecutive di Coppa Intercontinentale, mentre il figlio Juan Sebastián con la squadra platense debuttò in prima squadra, chiudendovi la carriera diventandone, nell’ottobre 2014, addirittura il presidente. Una vera istituzione i Verón in casa Estudiantes. Ma è stata tutta una famiglia che ha girato intorno al calcio: padre, figlio primogenito (Juan Sebastián) e figlio secondogenito (Iani). L’attenzione è rivolta al padre, che vestì i colori dei Pincharratas per ben dodici stagioni (non consecutive), dal primogenito, che giocò per l’Estudiantes per undici stagioni, anche in questo caso non consecutive. Che storia, che legame quello dei Verón con la squadra di La Plata. Un amore continuato anche con il ritorno di JSV a “casa” nel 2006 dopo dieci anni trascorsi tra Serie A e Premier anche per fare una promessa al padre che voleva che chiudesse la carriera con la maglia biancorossa.
Juan Sebastián Verón è stato un centrocampista leader di ogni squadra in cui ha giocato, un idolo di ogni tifoso che con i suoi gol e la sua classe è stato uno degli emblema del calcio argentino vincente nella nostra Serie A, un campionato che, anche grazie a giocatori come lui, era la massima serie calcistica più bella, affascinante ed ammirata del globo.
Verón debuttò a 18 anni nell’Estudiantes giocandovi tre stagioni…e un pezzo, per poi passare al Boca Juniors, con il River Plate il meglio del calcio di Buenos Aires e di Argentina. Con i biancorossi iniziò farsi notare come giocatore interessante, tanto da dimostrare talento e abilità superiori. E visto che il padre era chiamato in patria “la strega” (la “bruja”), Juan Sebastián Verón divenne “la streghetta” (la “brujita”). Per tutti JVS era, è e sempre sarà conosciuto con questo soprannome particolare. Il padre era mancino, lui destro. Per il resto, erano veloci e capaci di colpi mai banali.
Verón figlio debuttò in un Estudiantes lontanissimo parente di quello in cui giocava il padre, tanto da retrocedere nella serie inferiore, ma poi capace di risalire nella massima serie argentina. Dopo di che si spostò in uno dei top club del Paese, il Boca Juniors. Con la squadra xeneize giocò solo diciassette partite, segnando quattro reti. Un campionato nel complesso buono quello del figlio d’arte Veron che gli bastò per essere individuato dalla Sampdoria di Sven Göran Eriksson come il giocatore che serviva al centrocampo doriano per fare il salto di qualità. Era l’estate 1996, l’Argentina e Verón avevano vinto l’argento olimpico ad Atlanta e per 6 miliardi la Samp si accaparrò il talento di La Plata. Un giocatore della squadra “dei genovesi” che passava ad una squadra di Genova per la settima volta fino a quel momento (dopo Rodolfo Orlandini, Mario Evaristo, Tomás Garibaldi e Mario Boyé al Genoa, Juan Carlos Lorenzo e Tito Cucchiaroni alla Samp).
Ruolo di Juan Sebastián Verón? Nuovo Seedorf, nel frattempo ceduto al Real Madrid: il giocatore olandese non fu mai rimpianto grazie ai colpi del nuovo numero 20 blucerchiato.
I liguri avevano una squadra di tutto rispetto (da Mijailovic a Montella, da Mancini a Mannini). L’argentino sotto la Lanterna rimase due stagioni, contribuendo ad una qualificazione Uefa il primo anno e ad un nono posto quello successivo. Giocò 61 partite segnando sette reti e i tifosi della Gradinata Sud lo omaggiarono sempre con cori, grida e urla perché in campo era davvero il più forte di tutti per aver poco più che vent’anni.
Verón non passò inosservato ed il suo nome finì sui taccuini dei principali ds della Serie A, dando via ad un’asta per accaparrarsi il centrocampista classe 1975, anche perché la Samp non disputava le coppe e non poteva lottare per lo scudetto. Nell’estate 1998, per una cifra di 36 miliardi, la “brujita” si accasò al Parma, uno degli allora top team italiani. Insieme a lui si spostò in Emilia anche il compagno di squadra Boghossian, formando un centrocampo fortissimo in una squadra che quella stagione fece l’accoppiata Coppa Italia-Coppa Uefa, arrivando quarta in campionato qualificandosi per la seconda volta nella sua storia alla Champions League.
L’esperienza con i ducali durò un solo anno perché l’estate successiva al suo arrivo nella città di San’Ilario ecco arrivare l’offerta che non si poteva rifiutare: la Lazio mise sul piatto ben 60 miliardi e Verón passò ai capitolini per la gioia di Eriksson, tecnico biancoceleste: voleva la “brujita” e Cragnotti gliela prese. Juan Sebastián Verón allora era il meglio fra i mediani della nostra Serie A.
Nella Roma biancoceleste Verón rimase due stagioni scrivendo una pagina storica del calcio della capitale: triplete nazionale nel 2000 con la vittoria di scudetto, Coppa Italia e Supercoppa nazionale, oltre alla vittoria della Supercoppa europea vinta sul Manchester United campione d’Europa in carica. Un altro Verón era riuscito a far piangere i tifosi dei Red devils a distanza di trentuno anni.
Le sue reti più importanti in casacca laziale furono nel derby del 25 marzo 2000, il gol da calcio d’angolo contro il Verona (ottava giornata) e l’assist per Simeone nel match che diede il là alla vittoria della scudetto della Lazio contro la Juventus. Juan Sebastián Verón guidava un centrocampo che poteva contare su Nedved, Sérgio Conceição, Stankovic ed i connazionali Simeone ed Almeyda. Oltre ad una rosa che in quel periodo arrivò ad occupare anche la prima posizione nel ranking Uefa.
Alla Lazio si vide il miglior Verón di sempre: in parte perché toccò il top come forma e tecnica (aveva 24 anni quando arrivò a Formello), in parte perché era al centro di un collettivo calcistico tra i migliori di sempre del nostro calcio. Come dire: l’appetito vien mangiando. E nelle due stagioni laziali vinse, convinse e fece vedere il meglio del suo repertorio (velocità, punizioni, fisicità).
Ma non tutte le favole finiscono bene e nel 2001 in casa Lazio si iniziò a temere che tutto finisse gambe all’aria a causa del cattivo management di Sergio Cragnotti. Nel giro di due stagioni quella Lazio venne smantellata e Juan Sebastián Verón fu uno dei primi gioielli ad essere ceduti. Il centrocampista per 40 miliardi di lire approdò al Manchester United di Alex Ferguson, diventando quell’estate il trasferimento più caro della storia della Premier League.
Come dire: se non riesci a sconfiggere il tuo nemico, acquistalo. Ma ad Old Trafford. nonostante gli innesti estivi della “streghetta”, di Blanc, Van Nistelrooy e Forlan, lo United si classificò terzo a dieci punti dall’Arsenal campione d’Inghilterra e in Champions la squadra di Ferguson si spinse fino alle semifinali, dove venne sconfitto dal sorprendente Bayer Leverkusen.
Ad Old Trafford, Verón nel complesso non fece male, ma erano lontani i tempi italiani, nonostante la vittoria del titolo nazionale nella stagione 2002/2003. Che centrocampo, quello United: David Beckham, Paul Scholes, Ryan Giggs, Roy Keane e la “streghetta”. I Red devils avevano vinto il campionato nelle tre stagioni consecutive e volevano servire il poker, ma il primo anno di Verón, come detto, si classificarono terzi.
Coach Ferguson capì che Verón non avrebbe trovato spazio nel “suo” United: un errore pagato a caro prezzo in termini di bilancio.
Nell’estate 2003 nuovo trasferimento per Verón: per 20 milioni di euro il giocatore si spostò da Manchester verso la capitale Londra, vestendo la maglia blue del Chelsea.
Quell’estate Abramovich aprì i “rubinetti” come mai fino a quel momento: Verón, Mutu, Crespo, Duff, Bridge, Geremi, Joe Cole. Una campagna di rafforzamento fra le più importanti del club di Stamford Bridge. Ma anche a Londra, come Manchester, si videro solo sprazzi del Verón “italiano”: tredici partite totali (coppe comprese), una rete e secondo posto in classifica. Lo tolsero dal campo una serie di guai fisici ed un rapporto non idilliaco con Ranieri. E poi la conferma che, salvo alcuni rari casi, i giocatori argentini in Premier League tradiscono le attese.
Per far tornare il vero Juan Sebastián Verón era necessario un trasferimento in Italia ed il 3 luglio eccolo passare in prestito all’Inter. In nerazzurro Verón rimase due anni, tornando quello di prima, vincendo e contribuendo personalmente alla vittoria nella Supercoppa nazionale con un gol nella finale contro la Juventus campione d’Italia.
Quell’Inter poteva schierare in mezzo al campo, nella stagione 2005/2006, oltre alla “brujita” anche Luis Figo e Cambiasso, insieme ai vari Zanetti, Samuel, Pizarro, Cordoba e davanti Adriano e Cruz. Ironia della sorte: Juan Sebastián Verón e l’Inter sono nati lo stesso giorno, il 9 marzo (1975 e 1908). Mai la Beneamata aveva acquistato un giocatore nato il giorno del suo compleanno.
In nerazzurro era tornato il Verón che gli italiani (e i fanta-allenatori) avevano visto illuminare gli stadi nazionali. Nella Milano nerazzurra rimase due anni in prestito, vincendo un campionato (vinto d’ufficio) e, come detto, la Supercoppa italiana.
Ma la nostalgia di casa, unita ad un fisico non più fenomenale, spinsero il giocatore a voler tornare a casa. Non solo in Argentina, ma nel “suo” Estudiantes. Nell’estate 2006 il giocatore salutò la nostra massima serie, prese un aereo con direzione “Argentina” e fece scalo (virtuale) a La Plata: la “brujita” era tornata all’ovile.
E con la camiseta platense Juan Sebastián Verón disputò ancora sei stagioni, vincendo due Apertura, perse una finale di Copa Sudamericana (la nostra Uefa Europa League) nel 2008 contro i brasiliani dell’Internacional di Porto Alegre ma, soprattutto, la squadra platense, nel 2009, vinse la sua quarta Copa Libertadores.
Verón figlio aveva eguagliato Verón padre, almeno in Patria visto che, a differenza del padre, non poté vincere il Mondiale per club, la nuova versione, dal 2001, della Coppa Intercontinentale: il Barcellona di Pep Guardiola era troppo forte anche per capitan Verón e compagni.
Tra il dicembre 2011 ed il dicembre 2017, Juan Sebastián Verón annunciò diverse volte il ritiro, tradendo la causa “acchiappatopi” nelle stagioni 2012/2013 e tra l’agosto e il dicembre 2016 vestì i colori dei dilettanti platensi del Coronel di Brandsen e dell’Estrella de Berisso, dove fu anche il tecnico. Tra il 2012 ed il giugno 2017 solo e soltanto Estudiantes per Verón. Nonostante lo volessero i top team argentini, lui scelse senza pensarci un nanosecondo il club dove aveva iniziato a giocare a calcio.
L’amore per il club platense fu così forte tanto da diventare, in quegli anni, prima direttore sportivo e poi presidente.
Verón, la stagione del suo secondo ritorno all’Estudiantes (Apertura 2006), fu anche allenato da un tecnico allora alle primissime armi, ma che dodici anni dopo è diventato uno dei più vincenti e copiati tecnici del Mondo: Diego Pablo Simeone, compagno dello stesso Verón nelle sue due stagioni laziali. Quell’Estudiantes riuscì a vincere da assoluto underdog l’Apertura 2006, titolo che mancava da oltre venti anni. Nel 2010, con alla guida Alejandro Sabella, arrivò un altro Apertura.
In quegli anni si chiuse anche il cerchio della famiglia Verón: nel 2006 debuttava in prima squadra anche il terzo Verón, il fratello minore Iani.
Il Juan Sebastián Verón tornato in Argentina era ancora più forte di quello visto in Europa: decisivo, forte, leader e incontenibile palla al piede. Non a caso vinse due premi ambiti non solo per i calciatori argentini, ma anche per quelli sudamericani: miglior giocatore argentino dell’anno (2006 e 2009) e miglior giocatore sudamericano dell’anno (2008-2009).
In Nazionale Juan Sebastián Verón debuttò a ventuno anno e salutò l’Albiceleste dopo la partita contro il Messico negli ottavi del Mondiale sudafricano del 2010. In mezzo, 72 partite, nove reti, tre Mondiali disputati (miglior risultato due quarti di finale in Francia e in Sudafrica) e un secondo posto nella Copa America 2007.
Juan Sebastián Verón ha incarnato, in carriera, il perfetto bilanciamento tra l’essere un giocatore decisivo e la garra charrúa, tipica del giocatore sudamericano che mette fisico, gamba e tecnica per portare la sua squadra a vincere partite e coppe.
In ogni piazza in cui ha giocato, JVS ha sempre lasciato buoni ricordi (salvo Chelsea) e tutti i tifosi se potessero rimetterebbero gli orologi indietro nel tempo per rivedere la “brujita” prendere palla a centrocampo, scartare il marcatore di turno e lanciare il pallone sul piede del compagno libero pronto a segnare.
Giocatore e uomo carismatico, mai una notizia fuori luogo e considerato appieno uno dei più forti giocatori della sua generazione.
Una carriera calcistica di prim’ordine quella di Juan Sebastián Verón, anche se poteva vincere di più. Ma tant’è: Verón se potesse rifarebbe tutto il percorso professionale.
Nel nome del padre (Juan Ramón), del figlio ( Juan Sebastián), della “bruja e della “brujita”. Gol.