Juan Roman Riquelme el Diez per antonomasia
Nel 1980 Francesco de Gregori pubblicava la sua celeberrima “Leva calcistica del ’68”. Il ritornello è noto a tutti: “Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore/non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore/un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”. La storia del calcio è ricca di rigori sbagliati che hanno cambiato il corso delle partite: da quelli sbagliati da Conti e Graziani nella finale di Coppa dei Campioni 1984 ai quattro parati da Dukedam; da Baggio a Pasadena ai rigori di Pellé e Zaza e milioni simili. Il rigore, la massima punizione del calcio. E anche il protagonista del nostro spazio Football Legend ha avuto l’”onore” di sbagliare un rigore, ma da quell’errore è diventato forse ancora più forte di prima. Oggi si “scrive” di Juan Román Riquelme, el mudo o semplicemente el ultimo Diez.
Riquelme nasce a San Fernando il giorno prima della finale del Mondiale del 1978 (24 giugno) che vide l’Argentina sconfiggere l’Olanda e alzare al cielo la prima Coppa del Mondo della sua storia. Un Mondiale controverso e polemico che vide i lampi di Kempes, Passarella, Luque e Bertoni nascondere le magagne dei militari.
Juan Román è un ragazzo del barrio, i quartieri poveri delle città sudamericane, a trenta chilometri da Buenos Aires, la capitale del tifo più caldo del Sudamerica calcistico. Arriva da San Fernando, una cittadina come tante e come tutti i ragazzini della sua età giocano a calcio per strada sognando di diventare un giorno famosi. Famosi come Diego Armando Maradona, il giocatore argentino più forte della storia.
Tra Riquelme e lo stesso Maradona i paragoni si sono sprecati e i due giocatori hanno avuto molti tratti coincidenti: entrambi si sono fatti conoscere con la maglia dell’Argentinos Juniors, il club con la cantera più fruttifera d’Argentina. I Riquelme non se la passano bene economicamente, stringono la cinta per dare un futuro a Juan Roman e ai suoi fratelli. Ed il primogenito sembra proprio avere del talento calcistico, tanto che nel 1992, a quattordici anni, entrò nel settore giovanile del bicho. Vi rimase tre anni senza debuttare mai in prima squadra, ma facendo capire che aveva talento. L’Argentinos Junior però non è una grande del calcio argentino come lo erano le super squadre di Buenos Aires, il River Plate e il Boca Juniors. Due squadre, due stili di vite, due curve caldissime e amanti dei colori delle loro squadre e il quindicenne Juan Roman piaceva ad entrambe. In casa Riquelme si tifa xeneize da sempre, si tifa Boca punto e basta e per il padre sarebbe stata una pugnalata vedere il figlio con la maglia degli odiati rivali. Riquelme accettò l’offerta, diventò un giocatore azul y oro e per 800mila dollari approdò in uno dei due club più gloriosi della capitale argentina. Juan Román Riquelme debuttò in prima squadra a diciotto anni (era il 10 novembre 1996, in casa contro l’Union Santa Fé) e già alla terza partita mise a segno un gol.
I tifosi iniziarono ad apprezzarlo, ma giocò poco perché l’allora tecnico Héctor Veira non gli diede lo spazio giusto.
La stagione 1997/1998 è quella della svolta: via Veira, dentro Carlos Bianchi e la vita calcistica di Riquelme prese un altro corso. Il giorno clou della sua carriera ha una data (25 ottobre 1997), una partita (il derby River-Boca al “Monumental”) e un minuto (46′): nella partita più calda e importante di tutte, al primo minuto della ripresa, a cinque giorni dai 37 anni di Maradona, Juan Román Riquelme sostituì proprio il pibe de oro che si sarebbe ritirato giusto cinque giorni dopo. Il River vinceva 0-1: a fine partita furono gli xeneizes a portare a casa i tre punti grazie alla doppietta di Martin Palermo, uno che con Riquelme scriverà le pagine più belle del club azzurro e oro. Il “Monumental” (stadio “Antonio Vespucio Liberti”), lo stadio del River Plate collocato, ironia della sorte, nello stesso quartiere dove hanno sede il Boca Juniors e la sua “Bombonera” (stadio “Alberto José Armando”), è stato testimone di un vero passaggio di consegne tra il passato ed il futuro del calcio albiceleste. Il 20enne Juan Román la stagione successiva si prese la maglia numero 10, la maglia del giocatore più forte. Un peso? Per gli altri, non per il ragazzo lui.
Riquelme vestirà la maglia del Boca Juniors fino all’estate 2002, vincendo molto e diventando un idolo per tutto il Paese. Erano gli anni della ribalta del Boca dopo anni di delusioni e con in campo il suo formidabile nuovo diez, il club allora presieduto da Mauricio Macrì, scalò le gerarchie mondiali e divenne una delle squadre più forti a cavallo tra la fine dei Novanta e l’inizio dei Duemila: arrivarono due Apertura e un Clausura (1998 e 2000; 1999), due Cope Libertadores consecutive (2000, 2001) e una Coppa Intercontinentale.
Riquelme fu il trascinatore di un intero popolo e la finale della Coppa Intercontinentale del 28 novembre 2000 fu l’apice della carriera del ragazzo di San Fernando. Quel giorno si sfidarono il Boca Juniors e i Galacticos del Real Madrid campioni d’Europa uscente e con in rosa gente del calibro di Figo, Raul, McManaman, Roberto Carlos, Hierro e Casillas. Pronostico scontato e partita a senso unico? La Coppa la vinse il Boca Juniors dopo 23 anni con una prova maiuscola del suo bomber Martin Palermo (due reti nei primi cinque minuti) e di quel ragazzo che studiava da nuevo Maradona, autore dell’assist per il secondo gol e di 90′ di grande calcio.
La “Bombonera” e i tifosi xeneizes erano ai piedi di quel ragazzo diventato il faro del calcio argentino, un calcio passionale dove l’amore e la gioia per il bel calcio vanno a braccetto. L’Argentina si godette il miglior calciatore del periodo: Riquelme in quegli anni vinse anche due volte il titolo di calciatore argentino dell’anno (nel 2000 e nel 2001) e una volta quello di miglior calciatore sudamericano dell’anno (2001).
Ma come tutte le favole calcistiche argentine, c’è un aereo che parte verso l’Europa e Juan Roman Riquelme lasciò da idolo incontrastato la “Doce” (il soprannome della curva boquista) per vestire la maglia del Barcellona. Come fece Maradona nell’estate post Spagna 1982.
L’asso argentino di San Fernando fece male in maglia blaugrana, in parte perché non riuscì ad entrare nei gangli del calcio europeo e perché si scontrò con mister Louis van Gaal. Rimase in Catalogna solo la stagione 2000/2003, segnando solo sei reti in quarantadue partite: la squadra arrivò sesta in Liga, fu eliminata al primo turno in Coppa del Rey e nei quarti di finali di Champions. Con Van Gaal non ci fu mai feeling, ma il giocatore argentino non fece mai una polemica allenandosi e sudando come se fosse un titolare inamovibile.
Che fine aveva fatto quel meraviglioso giocatore che aveva fatto capire al Mondo che poteva esserci un secondo Maradona? Non gli bastò avere in squadra i connazionali Bonano, Sorin e Saviola (oltre a gente come Kluivert, Gabriel e due giovani Xavi e Iniesta) per far capire alla dirigenza di potergli dare una seconda chance, visto che non era costato poco (9 milioni di euro). Cosa fare? Quando si fallisce in una grande si va in provincia. E se Maradona, nel 1984, sbarcò al “San Paolo” di Napoli, el mudo andò a giocare al “Madrigal” di Vila-real, vestendo i colori del Villarreal.
Con la maglia del “sottomarino giallo”, Juan Román Riquelme ricalcò i fasti del...Juan Román Riquelme della “Bombonera”: con lui in rosa, la squadra andalusa toccò cime mai raggiunte prima.
Il giocatore in maglia amarillo perse il 10 (ebbe l’8), si chiamò “Roman” e con la squadra di mister Mauricio Pellegrini trovò la sua “dimensione” tornando ai livelli del Boca. Ancora oggi il “catino” valenciano ricorda ancora le sue finte, i suoi dribbling, i suoi gol e i suoi assist perfetti.
La prima stagione fu positiva (13 reti), ma nella seconda ingranò la quarta: le reti divennero diciassette (di cui quindici in campionato) e fornendo undici assist totali. E proprio la seconda stagione in Andalusia fu importante perché il “sottomarino” arrivò terzo in campionato, raggiungendo anche i quarti di finale di Coppa Uefa. Riquelme quella stagione a livello personale fu insignito del primo di “Don Balon” di miglior giocatore straniero della Liga, primo argentino dai tempi del successo di Oscar Ruggeri (stagione 1988/1989).
Il terzo posto in classifica voleva dire una cosa sola: Champions League. Il club con la maglia gialla partecipò al terzo turno preliminare e,grazie alla vittoria sull’Everton, i valenciani approdarono alla fase a gironi. E la stagione della prima Champions del club amarillo fu strepitosa: girone vinto (con Benfica, Lilla e Manchester United) e approdò in semifinale dopo aver eliminato nell’ordine Rangers Glasglow e Inter. Bastava ancora uno sforzo e la squadra avrebbe raggiunto la finale di Parigi. Tra il Villarreal e la finale ci fu però l’ostacolo Arsenal. All’andata, a “Highbury”, si imposero i Gunners ma nulla era ancora certo, perché al ritorno la squadra “tutta gialla” avrebbe venduto cara la pelle e la partita fu molto bella e avvincente. Al minuto 87, sullo 0-0, José Mari subì un fallo in area: calcio di rigore. Dal dischetto si presentò Juan Román Riquelme, sicuro di battere Lehmann. Ma l’argentino sbagliò clamorosamente ed il tedesco parò senza difficoltà. Pochi minuti dopo ci fu il triplice fischio: il sogno del “sottomarino giallo” si era chiuso ad un passo dal sogno. Su Riquelme ed i tifosi la scure della delusione, ma il club fece qualcosa di impensabile in pochi anni: nel 1998 vennero promossi per la prima volta in Primera Liga e in otto stagioni avevano raggiunto una semifinale di Champions, un quarto di Coppa Uefa e vinto due Coppe Intertoto consecutive, oltre ad un terzo posto in campionato.
Eppure qualcosa si ruppe dentro Riquelme: aveva deluso un popolo intero, l’opposto di ciò che aveva nel Boca. La delusione fu cocente tanto che con Pellegrini i rapporti si incrinarono e nel gennaio 2007 il numero 8 prese un aereo con destinazione Buenos Aires per rivestire la sua Maglia, quella del Boca Juniors. Riquelme e Villarreal si presero una pausa di riflessione, come due innamorati in crisi.
Da gennaio a giugno, dall’altra parte del Mondo, Riquelme era tornato quello pre-2002: assist man perfetto, giocatore con estro e fantasia all’ennesima potenza. La seconda vita de el mudo in maglia xeneizes iniziò con l’acceleratore: determinante, eccezionale, un giocatore che con i piedi sapeva quello che faceva e sugli spalti tutti urlavano il suo nome. Arrivò la sesta Copa Libertadores del club, conquistata in scioltezza contro il Gremio. Inutile dire che il fantasista con il numero 10 azul y oro fu il MVP della finale: 3-0 andata, 0-2 al ritorno con ben sue tre reti, otto in totale. Sesta “coppa dei campioni sudamericana” per il club, terza per il giocatore di San Fernando.
Il prestito finì e Riquelme ritornò a Villarreal. Riquelme rimase nel Castellon fino al 30 novembre 2007, quando si liberò del vincolo con gli spagnoli e poté tornare a tutti gli effetti al Boca Juniors. Che occasione: difendere i colori del suo vecchio-nuovo club nella finale del Mondiale per club contro il Milan a Tokyo il 16 dicembre. E invece no: essendo arrivato oltre il termine perentorio per i movimenti in entrata del 23 novembre, Riquelme non poté essere schierato in campo. Il Boca perse 4-2 ed il titolo di club campione del Mondo andò ai rossoneri.
Il Milan di Ancelotti era più forte, ma chissà cosa sarebbe successo con Riquelme in campo. Non lo sapremo mai, ma sappiamo però che Juan Román Riquelme, nel 2008 e nel 2011, vinse altri due premi come miglior giocatore argentino dell’anno: quattro titoli come Diego Armando Maradona. I tifosi xeneizes videro un altro Juan Román Riquelme: più maturo, tecnico, forte, artistico. In centosettantacinque partite segnò quarantuno gol, contribuendo a vincere ancora due Apertura (2008 e 2011); una Copa Libertadores ed una Recopa (la loro Supercoppa europea).
Riquelme rimase al Boca fino al termine della stagione 2012/2013, quando passò alla squadra che lo aveva lanciato nel mondo del calcio, l’Argentinos Juniors, con un obiettivo: riportarlo in Primera Division. La squadra ci riuscì e tornò in massima serie, ma Riquelme pochi giorni dopo, a 34 anni, decise di ritirarsi dal calcio giocato.
A livello albiceleste, Juan Román Riquelme si tolse qualche soddisfazione: con la Under20 vinse, nel 1997, il Campionato sudamericano e il Mondiale di categoria. Le due Selecciones, guidate da Pekerman, ebbero un Riquelme in forma e con il vento in poppa. Era una Nazionale ricca di talenti che in Europa fecero molto bene (da Cufré a Samuel, da Cambiasso a Aimar a Placente).
Con i “grandi” debuttò il 16 novembre 1997 e chiuse l’avventura in albiceleste nel 2009 dopo 51 partite e diciassette reti segnate. Undici anni dopo la vittoria del Mondiale di categoria, Riquelme fu tra i protagonisti del secondo oro olimpico argentino, vincendo il titolo olimpico a Pechino in finale contro la Nigeria. La Nazionale olimpica fu ancora più forte di quella del 1997, potendo contare sul talento, oltre che di Riquelme, di un’altra infornata di talenti planetari (di Maria, Gago, Fazio, Lavezzi, Banega e un Messi in rampa di lancio). Il 35enne Riquelme era il capitano della squadra di Sergio Batista e da vera chioccia guidò i suoi compagni al successo.
“El mudo” disputò anche due edizioni della Copa America, quella del 1999 (eliminazione nei quarti per mano del Brasile) e del 2007 (finale persa contro il Brasile), dove chiuse al secondo posto la classifica marcatori con cinque reti.
Prese parte solo al Mondiale tedesco del 2006, dove la squadra di Pekerman arrivò fino ai quarti di finale, eliminata dai padroni di casa ai rigori. Sulla strada di Juan Román Riquelme (che non giocò) ancora una volta Lehmann, che parò i rigori di Ayala e Cambiasso.
E se fra Riquelme e Maradona ci sono state sei coincidenze (stesso numero di maglia, debutto con l’Argentinos Juniors, affermazione con il Boca, Barcellona prima squadra europea, idolo nel calcio di provincia, quattro titoli di calciatore argentino dell’anno), con Lionel Messi, il giocatore argentino più forte di questi anni Duemila (se non di sempre) ce ne sono altre tre: stesso giorno di nascita (24 giugno), anno inverso di nascita (1978 e 1987), stesso numero di maglia (il 10).
Ancora oggi in casa Bocam il nome “Riquelme” fa ancora impazzire i tifosi della Doce. Tutti si ricordano i suoi movimenti, la sua tecnica e il suo agonismo: ogni volta che la palla arrivava tra i suoi piedi, la “Bombonera” sapeva che qualcosa di geniale sarebbe scaturito, qualcosa per cui valeva la pena aver pagato il biglietto. Non a caso per lui, in maniera quasi sartoriale, gli cucirono il nome di “artista del pallone”: se Julian Ross era un anime, Juan Román Riquelme era in carnee ossa e con un piede destro magico.
Riquelme è stato uno dei pochi (forse l’unico?) a considerare Maradona non un idolo, ma un comunissimo compagno di squadra o un giocatore da cui prendere spunto senza aver in lui l’idea del messia. El pibe de oro non hai preso bene il fatto che Riquelme lo considerasse uno dei tanti: una provocazione del mudo. Si? No? Chissà. Parlava poco il Riquelme “calciatore”, ma le cose non le lasciava dire agli altri. E’ facile diventare idoli in Argentina, difficile confermarsi e se Riquelme ho hanno chiamato el ultimo Diez, un motivo ci sarà.
Ne ha fatta di strada nel calcio quel ragazzo che dopo un rigore sbagliato è diventato ancora più forte di quello che era. Il “Nino” di de Gregori avrebbe indossato la maglia numero 7, ma il numero 10 è un’altra cosa.
Poteva vincere di più, ma non poteva fare di più. Più di Juan Román Riquelme in Argentina c’è stato solo Maradona. Ma lui non è molto convinto.