Javier Zanetti, il capitano del triplete
Era un pomeriggio di fine agosto, erano gli anni ’90. Prima di campionato per l’Inter e a Milano ecco il Vicenza di Guidolin, neopromossa sorprendentemente brillante. Sotto quel sole di fine estate, San Siro impazziva per un terzino sinistro che metteva in mostra percussioni, colpi di tacco e un missile su punizione a regalare tre punti sofferti ai nerazzurri. Quel terzino si chiamava Roberto Carlos e il popolo interista pensava che avrebbe incantato San Siro per almeno dieci anni. Non fu così, ma questa è un’altra storia. E soprattutto quel pomeriggio, a San Siro, di terzino esordiente ce n’era un altro, a destra. Più timido e riservato, meno esibizionista e giocoliere.
ZANETTI, IL CAPITANO DEL TRIPLETE
Se Roberto Carlos scorrazzava su e giù sulla sua fascia, dall’altra parte un ragazzino con i capelli ordinati prendeva le misure al prato che per quasi vent’anni sarebbe stato il suo regno. Javier Zanetti, signore e signori. Arrivato in estate, soprannominato “El Tractor”, era il primo acquisto di Massimo Moratti. Un ragazzino, appunto, che passava in secondo piano rispetto al suo connazionale Sebastian Rambert, di cui si diceva un gran bene. Un ragazzino che sarebbe presto entrato prepotentemente nella storia dell’Inter, ricalcando le orme di Giacinto Facchetti. Una storia, quella tra Zanetti e l’Inter, costruita mattoncino su mattoncino con impegno e perseveranza.
Già, perché se hai il dribbling di Ronaldo tutto è più semplice, altrimenti un popolo sportivo appassionato come quello nerazzurro devi conquistartelo con il cuore. Un ragazzino anche quindici anni dopo, in mano la tanto agognata Champions League: gli anni, quel 28 maggio al Bernabeu, erano 37 ma il fisico e gli occhi svegli erano sempre quelli di quel pomeriggio del ’95 a San Siro contro il Vicenza, quelli della sassata al Parco dei Principi per la vittoria della Coppa Uefa, quelli delle mille sgroppate coast to coast nei minuti finali, quando tutti gli altri avevano il fiatone mentre Javier Zanetti metteva il turbo.
Una storia completa perché spesso difficile, costellata di annate disastrose, tensioni, ribaltoni. Un mare quasi sempre in tempesta in cui si entrava e si usciva: Ronaldo, Vieri, Seedorf, Crespo, Ibrahimovic… Quanti i fenomeni amati e ripudiati dal pubblico interista, mentre Zanetti anno dopo anno continuava a mostrare la stessa pettinatura ordinata. C’è voluto un infortunio grave per fargli capire che 40 anni forse sono troppi per continuare ad essere quello che corre di più nell’Inter in serie A. Senza quell’infortunio a Palermo, forse, Javier “Pupi” Zanetti sarebbe ancora oggi il giocatore più elogiato da Roberto Mancini, come capitato d’altronde con tutti (e sono tanti) gli allenatori passati in vent’anni dall’Inter.
Un ragazzino prodigio e un uomo tutto d’un pezzo: difficilmente avversari e tifosi di altre squadre ne parlano male, perché il rispetto se giochi e vivi come Javier Zanetti è universale. Dal pianto inconsolabile dopo un’eliminazione al sorriso di gioia infinita dopo una vittoria, quel ragazzino con il 4 sulle spalle di strada ne ha fatta tanta e ancora oggi molti tifosi nerazzurri sono spaesati nel non vederlo lì, in mezzo al campo, ad avvitarsi su se stesso prima di partire in progressione guardando là dove nemmeno i più ottimisti immaginerebbero di poter arrivare.