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Football Legend: Italia-Germania 4 a 3

Italia-Germania, una gara rimasta nella storia quella tra gli azzurri e i tedeschi

Il 17 giugno 1970 allo stadio “Azteca” di Città del Messico, con calcio d’inizio alle ore 16 locali (le 23 in Italia), andò in scena una delle due semifinali del Campionato del Mondo di calcio. Per la prima volta il Mondiale non si disputò in un Paese europeo o sudamericano, ma in uno Stato centro-americano dove il fútbol era molto seguito. Per la prima volta la manifestazione veniva giocata in altura, visto che gli stadi della IX edizione della Coppa Rimet andavano dai 1.536 metri del “Jalisco” di Guadalajara ai 2.176 del “Cuauhtémoc” di Puebla, dai 2.200 dell'”Azteca” della capitale Città del Messico ai 2.666 del “Nemesio Díez” di Toluca.

Inoltre fu il primo Mondiale con la finale trasmessa a colori, il primo Mondiale con due sostituzioni possibili per ogni squadra e con l’introduzione dei cartellini disciplinari.
Le due semifinali erano storiche: tre delle quattro squadre impegnate avevano vinto già due volte la Coppa Rimet e se una di queste avesse vinto il trofeo il 21 giugno 1970 all'”Azteca” avrebbe conservato per sempre il trofeo intitolato alla memoria del Presidente FIFA ideatore del campionato del Mondo per Selezioni nazionali. Inoltre l’Uruguay del CT Juan Hohberg era campione del Sudamerica uscente.

Le due semifinali erano Brasile-Uruguay e Italia-Germania ovest: teatri dei due match furono il “Jalisco” e l'”Azteca”.

Ma l’attenzione va spostata proprio presso lo stadio della capitale messicana: quel giorno Italia e Germania scrissero una favola, una pagina indelebile nella storia del calcio giocando quella è stata ribattezzata come “la partita del secolo”. Il motivo: 4 a 3 finale per gli azzurri e match concluso ai supplementari con i giocatori esausti per aver giocato 120 minuti tiratissimi ed emozionanti.

Sono passati quasi 47 anni da quella partita e nel frattempo si sono giocate altre partite tirate e decise ai supplementari se non ai rigori, anche ai Mondiali. Eppure nell’immaginario collettivo quella era, è e sempre sarà la “partita del secolo”.

Ma facciamo un passo indietro all’inizio del Mondiale: l’Italia si presentò in Messico da campione d’Europa in carica, ma la paura per la squadra allora allenata da Ferruccio Valcareggi era quella di incappare in un’altra figuraccia come aveva fatto quattro anni prima a Middlesbrough contro la Corea del Nord o come nel 1962 quando gli azzurri erano usciti (anche con le ossa rotte nel vero senso della parola) in maniera ingloriosa in Cile. La Germania arriva al Mondiale senza aver partecipato all’Europeo italiano di due anni prima nel 1966 si era arresa in finale all’Inghilterra per 4 a 2, in quella che fino a quel momento era stata considerata come la partita più bella di sempre.

Nel 1970 i favoriti per la vittoria finale erano il Brasile del CT Zagallo con in campo il suo ex compagno di Nazionale Pelé (ed una Nazionale molto forte tecnicamente), l’Inghilterra di Al Ramsey e Bobby Charlton campione uscente, mentre erano interessanti le Selezioni di casa e quella del Perù, oltre a quella uruguaiana campione sudamericana in carica.

L’Italia fu inserita nel girone B con Uruguay, Svezia e il debuttante Israele, mentre i tedeschi furono inseriti nel girone D con il Perù, la Bulgaria e la Nazionale marocchina, anch’essa alla prima esperienza mondiale (come El Salvador nel girone A). Le squadre di “Uccio” Valcareggi e Helmut Schön passarono il turno come prime (l’Italia con una vittoria e due pareggi, la Germania facendo l’en plein) e nei quarti affrontarono rispettivamente il Messico e l’Inghilterra. Se Facchetti e compagni ebbero vita agevole (4-1), più impegnativa fu la sfida per Muller e soci, che vinsero ai supplementari contro l’Inghilterra: 3 a 2 e ancora per un’altra edizione la Nazionale uscente non avrebbe bissato la vittoria.

Il 17 giugno, come detto, si giocarono le due semifinali. Il Brasile vinse per 3 a 1 contro l’Uruguay con reti di Clodoaldo, Jarzinho e Rivelino con il gol della bandiera da parte di Cubilla al 19′ e per la quarta volta in (allora) nove edizioni si era qualificato per la finale.L’altra partita fu Italia contro Germania ovest.

L’Italia che affrontò quel Mondiale era nel complesso forte: in porta una sicurezza come Albertosi (ed in panchina Zoff), in difesa la coppia Burgnich-Facchetti era collaudata, ben assortita ed invalicabile, a centrocampo giostravano tre buoni elementi come de Sisti, Cera e Domenghini e davanti il tridente era costituito da Mazzola, Riva e Boninsegna. Senza contare a disposizione i vari Bertini, Rosato ed in supporto Iuliano, Gori, Prati e Rivera. Uno dei giovani d’oggi che segue il calcio sui social network avrà sentito parlare dell’attaccante del Milan e sicuramente si chiederà perché l’ex Golden boy del calcio italiano ed europeo, campione d’Europa e del Mondo con il Milan di Rocco e Pallone d’oro uscente, quel giorno era in panchina. La risposta è semplice: il Mondiale messicano è stato quello della staffetta Mazzola-Rivera, con i due giocatori che si alternavano in campo. Valcareggi vedeva meglio l’interista, mentre l’Italia vedeva invece meglio il numero 10 rossonero. E proprio quella celebre “staffetta” rese affascinante il torneo messicano.

I nostri avversari avevano Meier in porta, la difesa era curata da Franz Beckembaurer, dal milanista Schnellinger e da Berti Vogts, a centrocampo agiva Wolfgang Overath, mentre il peso dell’attacco era in mano al piccolo ma fortissimo Gerd Muller e nel bomber dell’Amburgo Uwe Seeler. I presupposti per un grande match c’erano. E i presupposti divennero realtà, con il Mondo intero ad attendere per la seconda volta 120 minuti per vedere la finalista di un Mondiale. La prima long semi-final fu Ungheria-Uruguay del Mondiale 1954.

Valcareggi schierò Albertosi; Burgnich, Facchetti, Bertini e Rosato in difesa; Mazzola, de Sisti, Cera e Domenghini a centrocampo; davanti Riva e Boninsegna; Schon si affidò a Meier; Vogts, Patzke, Beckenbauer e Schnellinger; Schultz, Grabowski e Overath; Müller, Seeler e Löhr. Arbitro dell’incontro fu designato il fischietto locale Arturo Yamasaki. Assistettero alla partita 102mila spettatori: un record.

Pronti via e l’Italia passa in vantaggio: bastano appena 8 minuti a Boninsegna per siglare il gol dell’1 a 0. L’attaccante dell’Inter batté Meier con un sinistro da fuori area. Lo Stivale esplose di gioia per la rete di “Boninba”, ma da lì in poi gli azzurri faticarono a farsi vedere ancora in avanti con i tedeschi a fare la partita e non a caso Albertosi fu artefice di alcune parate decisive. Il modulo “all’italiana” sembrò funzionare. Sembrò, perché al 92′ successe la cosa che nessuno più si aspettava: il gol del difensore che non segna mai, il gol del pareggio.
Due minuti dopo il novantesimo fu Schnellinger, servito da sinistra da Grabowski su cross, a trafiggere Albertosi. Schnellinger una sorte di “core ‘n grato” ante litteram visto che allora il gigante tedesco militava nel Milan. E la cosa strana allora non era tanto il gol di un centrale di difesa, ma il fatto che l’arbitro non avesse fischiato al 90′, Il motivo era semplice: le partite finivano sempre al minuto 90 e non venivano mai concessi minuti di recupero. 1 a 1, palla al centro e supplementari da giocare.
Per i tedeschi quella era la seconda partita consecutiva che si sarebbe decisa oltre i tempi regolamentari, mentre per l’Italia la prima.

Al 94′ i tedeschi dell’Ovest fecero l’1 a 2: ci pensò Müller a far venire i brividi agli italiani con il gol del momentaneo vantaggio. Se si fosse giocata tra il 1993 ed il 2004, la partita sarebbe finita per il golden gol dell’attaccante di Nördlingen, ma invece la partita (per la fortuna degli italiani) continuò.

E al minuto 98 arrivò la seconda sorpresa: 2 a 2 di Burgnich e partita che iniziò a salire come spettacolo e cardiopalma. Se Schnellinger segnò il suo primo (ed unico) gol in Nazionale in quella partita, Burgnich segnò la sua seconda rete in azzurro. A servire l’assist per il centrale friulano fu Rivera su punizione: l’attaccante rossonero era subentrato a Mazzola subito all’inizio del secondo tempo regolamentare. Al minuto 104 l’Italia mise la freccia: grande azione di Riva imbeccato da Domenghini sulla sinistra con l’attaccante del Cagliari che superò Meier di sinistro con un rasoterra che non gli lasciò spazio.

Cosa avrebbe dovuto fare l’Italia nell’ultimo quarto d’ora di gioco? Come minimo badare a curare il risultato, chiudendosi a chioccia.

Poco dopo l’inizio del secondo extra time, la partita da spettacolare (come punteggio, non come gioco) divenne eroica: Franz Beckenbauer cadde dopo uno scontro di gioco e, nell’impatto con il terreno, si lussò la spalla destra. Il giocatore tedesco decise di continuare a giocare pur di non far giocare la sua squadra in inferiorità: decise di farsi fasciare il braccio lungo il corpo e continuò a lottare su ogni pallone.
E al 110′ arrivò la doccia fredda tedesca: Müller di testa, su altro colpo di testa di Seelew ma innocuo, batté Albertosi con Rivera fermo a guardare l’avversario colpire non coprendo al meglio la porta azzurra. Il decimo gol in quel Mondiale per l’attaccante del Bayern Monaco fece cadere nella disperazione l’Italia in campo e l’Italia incollata davanti ai televisori in quella pazza notte estiva.

Albertosi se la prese con il compagno reo di non aver impedito all’avversario di segnare. Rivera già si immaginava i titoli dei giornali contro di lui il giorno dopo se la Germania avesse vinto la partita. Ma l’attaccante di Alessandria non immaginò che il suo nome sarebbe entrato un minuto dopo nell’almanacco dei gol più importanti della storia del calcio. L’azione del piatto di destro di Rivera e tutti i compagni che gli saltano addosso ha fatto storia e ancora oggi fa venire i brividi (di gioia).

Eh sì, perché l'”abatino” di Brera mise a segno il dodicesimo colpo consecutivo degli azzurri dalla ripresa del gioco. 4 a 3 e palla per la settima volta a centrocampo. Le due squadre arrivarono al 120’ stremate e l’arbitro Yamasaki mandò tutti negli spogliatoi: Italia in finale a distanza di 38 anni da Francia ’38 e Germania a giocarsi il terzo posto contro l’Uruguay.

Un’Italia stanca e (forse) appagata quattro giorni dopo capitolò per quattro volte sotto i colpi del Brasile di Pelé: terzo titolo per i verdeoro e Coppa Rimet che veniva assegnata definitivamente ai sudamericani. Al terzo posto si classificarono Mueller e soci: 1 a 0 all’Uruguay e Germania per la quarta volta sul podio mondiale in sette edizioni disputate.
Qualche tempo dopo, i messicani decisero che quella partita doveva essere ricordata in qualche modo. E quale cosa migliore se non affiggere una targa ricordo? Davanti all’ingresso dell'”Azteca”, ancora oggi, è affissa una targa ricordo con queste parole: El Estadio Azteca rinde homenaje a las selecciones de: Italia (4) y Alemania (3) protagonistas, en el Mundial de 1970, del “PARTIDO DEL SIGLO”. 17 de junio de 1970 (Lo stadio Atzeca rende omaggio alle Nazionali di Italia (4) e Germania (3) protagoniste, nel Mondiale del 1970: della “Partita del secolo”. 17 luglio 1970).

In Italia la gente uscì per strada a festeggiare ed a sventolare quel tricolore che due anni prima si era issato sul tetto d’Europa e che ora si era sperato si potesse issare sul tetto del Mondo. Peccato che a interrompere i sogni di gloria ci abbia pensato uno dei Brasile più forti della storia: lo stacco da terra di Pelé che segnò il gol del momentaneo 1-0 è ancora oggi un mistero della fisica, visto che al momento di colpire il suo marcatore (Burgnich) era già sceso.

Dopo la “partita del secolo”, Italia e Germania si affrontarono altre ventuno volte con sei vittorie italiane (tra cui la finale del Mundial 1982, la semifinale di Germania 2006 e dell’Europeo 2012); sette pareggi (0 a 0 ad Argentina 1978, 1 a 1 e 0 a 0 negli Europei di Germania 1988 ed Inghilterra 1996) e otto vittorie tedesche (tutte in amichevoli, salvo nei quarti di finale di Francia 2016).

Lo stadio “Azteca” salì ancora alla ribalta sedici anni dopo nel secondo Mondiale ospitato dal Paese centro-americano: il 22 giugno 1986, a distanza di tre minuti, Diego Maradona compì i suoi due gesti più celebri contro l’Inghilterra, ovvero “la mano de dios” e il “gol del secolo”. Due gesti atletici che, come la semifinale del Mondiale 1970, sono entrati nell’immaginario collettivo come gesti atletici senza tempo.

Italia-Germania 4 a 3 è stata anche oggetto di un film nel 1990 con Massimo Ghini e Nancy Brilli dove dei maturandi del 1970 si incontrarono venti anni dopo per raccontare la loro vita guardando proprio la replica della partita.

In tutta questa storia chi ne uscì male fu Nicolò Carosio: se i tifosi azzurri con qualche capello grigio in più si ricorderanno il ringraziamento di Martellini, telecronista RAI, al triplice fischio finale di Yamasaki, e si emozionarono con lui nel vedere il mach, si ricorderanno anche dell’esautorazione che ebbe dalla Rai il radiocronista siciliano, reo di aver insultato il guardalinee etiope Tarekegn che, durante la partita contro Israele, annullò due gol validi all’Italia. Le parole che usò il telecrocronista furono gravi, si sollevò un polverone mediatico senza precedenti e proprio Italia-Israele fu la sua ultima radiocronaca. Anni dopo, ovviamente da morto, Carosio fu riabilitato e si scoprì che non disse nulla contro l’aiutante dell’allora arbitro brasiliano de Moraes.

Sarebbe stato bello sentire le sue parole dopo il gol di Rivera che decretò Italia-Germania come la partita più bella della storia del calcio, “el partido del siglo”, anche se tecnicamente e tatticamente era stata una partita come tante altre giocate fino a quel momento e che si giocheranno negli anni a venire ma che ha fatto la storia di questo sport.

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