Il calcio totale
Paesi Bassi terra di tulipani, polder, diritti civili avanzati, massima libertà di espressione, controcultura, tolleranza, mulini a vento e dighe. Paesi Bassi detti anche “Olanda”, anche se è un termine improprio, essendo questa una delle dodici provincie del regno orange. Calcisticamente l’Olanda viene associata ad uno stile di gioco simile ad una filosofia. Uno stile di gioco che ha cambiato il calcio a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta “deflagrato” poi negli anni Settanta. Uno stile di gioco che stravolse i benpensanti calcistici dell’epoca. Un modo di fare calcio che ha reso Amsterdam padrona del calcio europeo nella prima metà dei Settanta. Uno stile di gioco dove non esistevano ruoli prestabiliti, uno stile di gioco dove tutti dovevano fare (e sapevano fare) tutti i ruoli, cosi come scritto nel libro di Johan Cruyff. Era il Calcio totale, De Totaal Voetbal.
Solo nei Paesi Bassi di quel tempo poteva nascere questa rivoluzione calcistica: controcultura + movimenti giovanili = trasformazione del calcio. I Paesi Bassi, nazione nel ‘600 leader del commercio internazionale, usarono arte e cultura per mettersi alla pari con l’Inghilterra del beat, della Swinging London e della psichedelia e con la Francia del “vietato vietare”, del “Mai 68” e della “quasi rivoluzione” del Movimento sessantottino. Il Paese era ricco, si stava bene ma non era più quello di una volta. La Contestazione aveva stravolto il Paese già tre anni prima rispetto agli altri e anche il calcio, allora non primario rispetto a Inghilterra, Italia, Spagna e Portogallo, ne risentì le influenze. L’Olanda era un concentrato di idee, di cultura alternativa e di cambiamenti sociali in quel periodo.
Con la nascita delle prime due coppe europee della UEFA, la Coppa dei Campioni e la Coppa delle Coppe, le squadre olandesi, fino al termine della stagione 1967/1968, ebbero come massimo risultato il Feyenoord semifinalista nella coppa europea più importante. Le coppe andavano ovunque, tranne che nel Paese allora guidato dalla regina Giuliana. Il calcio nei Paesi Bassi divenne importante tra il 1969 ed il 1973, quando divenne la Nazione numero d’Europa, se non del Mondo. In quel periodo si assistette alla Oranje Revolutie e l’Olanda divenne un esempio per tutti: due squadre olandesi consecutivamente in finale di Coppa dei Campioni tra il 1969 ed il 1973, con quattro vittorie. Le due squadre che avevano osato farsi avanti nell’Olimpo del calcio europeo avevano in comune solo i colori sociali (ma lo stile delle maglie era diverso) perché appartenevano alle due città rivali del Paese dal punto di vista sportivo, economico, politico, sociale: il Feyenoord di Rotterdam, l’Ajax di Amsterdam. Le due squadre vinsero la “coppa dalle grandi orecchie” tra il 1970 ed il 1973, con la squadra della capitale vincitrice delle ultime tre.
Come fecero queste due squadre a portare i piccoli Paesi Bassi a diventare la caput mundi del calcio? Ma più che il Feyenoord ad entusiasmare e stupire fu l’Ajax, club delle liberale Amsterdam nato nel 1900 che strizzò da sempre l’occhio alla causa sionista, vincitore di molti scudetti in Patria ma con zeru tituli fuori dai confini nazionali. L’Ajax divenne grande in quel periodo grazie ad un allenatore che nel 1965, dopo averci giocato tra il 1946 ed il 1958, fu chiamato per salvare la squadra dalla retrocessione. Si chiamava Marinus Jacobus Hendricus Michels per gli amici “Rinus”. Michels è stato lo zenith, perché il miracolo Ajax nacque molti decenni prima con due allenatori inglesi, Jack Reynolds e Victor Buckingham, che plasmarono (in epoche diverse) la squadra bianco-rossa con uno stile di gioco diverso da tutte le altre squadre, prefissandosi di usare l’attacco delle loro squadre come la vera “difesa” (più si segna, più gli altri dovranno segnare) e imbastire uno snervante possesso palla. Un modello di gioco che vide il “generale” Michels” andare in guerra (calcistica) al comando dei suoi giocatori-soldati. Il “cavallo di Troia” di Rinus Michels era il Calcio totale. Punto di partenza: 7 dicembre 1966, stadio “Olimpico” di Amsterdam, andata degli ottavi di finale di Coppa dei Campioni tra Ajax e Liverpol con vittoria olandese per 5-1 in casa. Punto di svolta: 28 maggio 1969, stadio “Bernabeu”, finale di Coppa dei Campioni tra Milan e Ajax con vittoria italiana per 4-1. Punto di non ritorno: 2 giugno 1971, stadio di Wembley, finale di Coppa dei Campioni tra Ajax e Panathinaikos con vittoria ajacide per 2-0. Punti di massima espansione: le due successive finali di Coppa dei Campioni vinte dall’Ajax su Inter e Juventus.
Il mito di Michels all’Ajax durò fino al 1971. Il resto delle vittorie è opera del suo vice-, Ștefan Kovács. Non ci fu differenza perché il tecnico rumeno portò ancora più in alto i dettami di Michels ed è come se sulla panchina ajacide ci fosse ancora lui, sebbene da due anni allenasse il Barcellona. Perché è diventato un mito Rinus Michels? E’ stato il creatore del Calcio totale, come detto. Con quel modo di giocare, l’Ajax non solo giocava un calcio mai visto prima, ma giocava un calcio mai pensato prima. Michels aveva una visione del calcio fenomenale. I dettami del suo Calcio totale erano cinque assiomi: tutti devono saper giocare in tutte le parti del campo (flessibilità di ruolo e funzione); il campo si espandeva e si stringeva in base alla loro volontà (di gioco); tutti devono avere la stessa velocità di pensiero; la ricerca dello spazio doveva essere scientifica; il fisico e l’agonismo dovevano essere all’altezza della situazione. Nel Calcio totale nessuno aveva un ruolo definito, perché un centrocampista si poteva trovare ad attaccare o a difendere più volte nella stessa partita ed un attaccante non sempre doveva attaccare ma capitava che arretrasse e difendesse. Era l’antitesi del “catenaccio” italiano: difesa e contropiede contro giro palla e accelerazione.
Nel Calcio totale, dove veniva utilizzato il 4-3-3, ogni giocatore durante un’azione andava in pressing sull’avversario portatore di palla. La sua posizione non veniva lasciata libera, ma veniva sostituito da un altro compagno, lasciando inalterati modulo e tattica. Come detto, in 90 minuti capitava sicuramente che un giocatore facesse il terzino, il centrocampista, l’ala e l’attaccante. Nel Calcio totale i giocatori non seguivano la palla, ma seguivano i movimenti dei compagni: sincronizzazione, movimenti continui, riempimento di spazi, squadra corta, difesa alta, fuorigioco e portiere che usava i piedi come un difensore qualsiasi. Total football in poche parole Qual è stata la massima espressione del Calcio totale? Il Feyenoord? No. L’Ajax? Sì, ma non completamente. E allora? La massima espressione del Calcio totale è stata la Nazionale di calcio olandese partecipante ai Mondiali del 1974 in Germania ovest. L’Olanda non ha mai avuto un gran feeling con l’evento calcistico maximo del Mondo. L’edizione del 1974 vide tornare gli Oranje a distanza di sette edizioni (e trentasei anni) dall’ultima partecipazione e su ventuno edizioni ha preso parte a solo dieci edizioni, salendo però sul podio quattro volte, di cui tre volte al secondo posto.
Commissario di quella Nazionale doveva essere il cecoslovacco František Fadrhonc, ma la Federcalcio olandese lo relegò al ruolo di vice- di Rinus Michels, da tre stagioni al Barcellona ma chiamato a gran voce per far incantare il Mondo con il Calcio totale. Michels convocò ventidue giocatori. Di questi, tre giocavano all’estero, sei nell’Ajax, sette nel Feyenoord ed i restanti sei tra PSV Eindhoven, Twente e FC Amsterdam. A parte il giocatore del FC Amsterdam (che era il portiere), i giocatori Boeren e Twentenaren non giocarono mai titolari ed entrarono (sempre se entravano) a partita in corso. Motivo? I giocatori delle due anime (Ajax e Feyenoord) mal si sopportavano e stare gomito a gomito per tutto il ritiro sarebbe stato deleterio per tutti e per questo furono convocati pochi giocatori delle altre squadre onde evitare che si formasse un altro sottogruppo di giocatori. Per questo motivo non furono convocati il portiere ed il cannoniere d’Olanda di quel periodo: Jan van Beveren e Willy van der Kuijlen, entrambi del PSV.
Michels fece inoltre due cose inusuali: la presenza in ritiro di fidanzate e mogli come “diversivo” per stemperare gli animi di due anime dello spogliatoio che si odiavano; l’assegnazione dei numeri di maglia per ordine alfabetico e non per ruolo (l’attaccante Ruud Geels ebbe il numero 1, il portiere Jongbloed l’8, Cruijff il suo 14 e non l’1 non essendoci nessun compagno con il cognome iniziante per A o B). E poi i capelli e le basette lunghe, le catenine che uscivano dalle magliette: anticonformismo e rotture di una serie di regole che allora fecero scalpore La Nazionale oranje fu ribattezzava “Arancia meccanica”, non perché fosse una squadra violenta o distopica, ma perché era una macchina perfetta con indosso una maglia arancione.
La Nazionale di Michels fu Calcio totale all’ennesima potenza. A partire dal portiere, il 34enne non professionista Jan Jongbloe. Non era affatto il portiere più forte del suo Paese e tornava in Nazionale dopo un assenza di dodici anni dall’ultima (unica) apparizione, ma Michels lo convocò e lo fece giocare perché usava bene i piedi quasi fosse un giocatore di movimento ed era congeniale al suo metodo di gioco perché, usando i piedi, usciva dall’area e teneva alta la difesa di almeno 20 metri. In difesa l’Olanda contava su quattro difensori molto forti: i terzini Wim Suurbier e Ruud Krol ed in mezzo il libero ex centrocampista Arie Haan e lo stopper Wim Rijsbergen, ovvero il costruttore di gioco e l’ultimo marcatore.
Se la difesa era efficace, il centrocampo del Calcio totale olandese fu un concentrato di tutto: classe, piedi fini, intelligenza tattica e tanta garra. Tutti sapevano fare tutti i ruoli in mezzo al campo: filtri, ri-partenze e scambi di ruolo. I tre interpreti erano Johan Neeskens, Wim Jansen e Willem van Hanegem. Neeskens era il tuttofare di quella squadra: mediano, ala, centrale, trequartista con il vizio del gol. Neeskens era, in pratica, il più forte giocatore di tutti: intelligente, piedi buoni, buon fisico, un grande interprete del ruolo di “calciatore totale”, tanto da essere chiamato “l’attaccante ombra” dell’Olanda del Calcio totale. Davanti c’erano altri tre fenomeni: a sinistra Rob Rensenbrink, a destra Johnny Rep, in mezzo Johan Cruiff. Michels sapeva di avere tra le mani un qualcosa di strepitoso rispetto al suo periodo ajacide: i suoi adepti erano più maturi, più completi, più forti di quando li aveva lasciati tre anni prima per la Catalogna.
L’Olanda partiva, per la prima volta, tra le favorite e mise tutti d’accordo dopo le prime tre partite del girone: quella squadra sarebbe arrivata in finale. Motivo? 2-0 all’Uruguay, 0-0 alla Svezia, 1-4 alla Bulgaria. Nella seconda fase a gironi, gli olandesi sembrava giocassero un altro sport: 4-0 all’Argentina, 2-0 alla Germania Est e 2-0 al Brasile campione in carica. Sei partite giocate, quattordici gol fatti, un solo subito, per di più un autogol. Quattro reti per Neeskens e Rep, tre per Cruijff ed una a testa per Krol, Rensenbrink e de Jong. Il 7 luglio 1974 l’Olanda disputò la finalissima contro i padroni di casa, tornati in finale a distanza di due Mondiali. L’”Olympistadion” mise di fronte Cruijff e Beckenbauer, i capitani della due Nazionali (vincitori dei Palloni d’oro 1971, 1972, 1973 e 1974), Neeskens e Müller (Pallone d’oro 70), Rep e Vogt, Hoeness e Krol, Rensenbrink e Breitner. Si affrontarono due modi diversi di giocare al calcio: il Calcio totale contro il pragmatico il 4-4-2 tedesco, l’innovazione contro la tradizione, il new style contro l’old style. I primi cinquantatré secondi di incontro furono puro Totaal Voetball: quindici tocchi consecutivi di giocatori olandesi fino a quando Cruijff prese palla a centrocampo e partì verso l’area avversaria con una grande accelerazione. Vogts, il suo marcatore, lo perse e il numero 14 orange fu atterrato in area da Hoeness. Per l’arbitro inglese Taylor nessun dubbio: penalty. Dal dischetto, gol di Neeskens. La partita sembrava già finita.
“Sembrava”, perché 24 minuti dopo Taylor assegnò un penalty alla Germania ovest per fallo di Jansen su Hölzenbein. Breiter pareggiò i conti ed il Mondo si apprestava a gustarsi una nuova possibile “partita del secolo”. Al minuto 43′, 2-1 di Muller che fece crollare le certezza olandesi insaccando alle spalle di Jongbloed. Con quel risultato si chiuse la prima frazione di gioco e con quel risultato si arrivò al triplice fischio finale. L’Olanda per tutta la partita non mollò il colpo, ma la sua pecca fu quella di essersi specchiata troppo e di non aver chiuso prima la partita. Il vantaggio tedesco mise in confusione la perfetta macchina olandese. Gli olandesi volevano toreare, persero amaramente e meritatamente. A distanza di venti anni, la Germania ovest, contro i pronostici, aveva sconfitto per la seconda volta la squadra più forte e favorita della vigilia: nel 1954 la Ungheria Aranycsapat di Kocsis, Hidegkuti e Puskás, nel 1974 l’Olanda del Calcio totale.
La finale del 1974 fu il canto del cigno del Calcio totale. La fine di un’epoca, anche se quattro anni dopo l’Olanda arrivò ancora in finale (con in panchina Ernst Happel, l’allenatore del Feyenoord campione d’Europa nel 1970 e precursore del dominio olandese in Europa) ma perse un’altra volta contro la squadra padrona di casa, l’Argentina. A livello di squadre di club, nel 1974 la favola dell’Ajax padrona del calcio europeo era già finita perché iniziò nel giro di tre stagioni la diaspora dei suoi giocatori: il nuovo allenatore divenne George Knobel, Swart si ritirò, Neeskens raggiunse Cruijff al Barcellona dove vi giocava dall’anno precedente, Rep andò al Valencia, Haan all’Anderlecht, Mühren al Betis, Blankenburg all’Amburgo e Stuy all’FC Amsterdam. Mühren (colui che nella semifinale di Coppa dei Campioni contro il Real Madrid del 1973 al “Bernabeu”, come sberleffo, si mise a palleggiare a centrocampo dopo aver ricevuto palla), disse che se l’Ajax non si fosse sfaldato, avrebbe vinto otto Coppe dei Campioni consecutive. Molti addetti ai lavori sostennero che quell’Olanda ricordava un po’ il Wunderteam austriaco degli anni ’30, un po’ la Honvéd e l’Ungheria del periodo della Squadra d’oro, un po’ il Brasile mondiale del 1958.
Il Calcio totale ha vissuto altre epoche di giovinezza con altre squadre negli anni successivi: il Milan di Sacchi (1987-1990), il Barcellona di Cruijff (1988-1996), l’Ajax di van Gaal (1991-1997), il Barcellona di Rijkaard e Guardiola (2003-2008; 2008-2012). Copie, perché il Calcio totale di Michels era unico nel suo genere. La Nazionale olandese tornò competitiva nel periodo 1988-1992 con la terza e la quarta avventura di Michels come Commissario tecnico: vittoria dell’Europeo tedesco del 1988 guidata in campo da un monumentale Marco van Basten (e con una nidiata di talenti che incantarono l’Europa come fecero Neeskens e soci quattordici anni prima) e semifinalista a Euro ’92. Ad Italia ’90 c’era Leo Beenhakker e la squadra uscì già agli ottavi di finale. Due sono stati gli aggettivi che l’hanno contraddistinto il Calcio totale olandese, antesignano e utopico: dopo l’esperienza tedesca, il calcio di Michels ha tracciato il solco verso un calcio futuristico; sarebbe stato troppo bello se una squadra di quel tipo avesse vinto, con quel metodo di gioco, la Coppa del Mondo. Ci andò molto vicino, come Icaro con il sole.
L’erede del Calcio totale può essere considerato il Barcellona di Josep Guardiola con il suo tiki taka, un modello di gioco filosofico ed efficace che ebbe in due giocatori i suoi fulcri, come lo erano Neeskens e Cruijff: Xavi e Lionel Messi. Il tiki taka è considerato un “Calcio totale 2.0” perché non era frenetico, piatto ma preciso perché era completamente palla a terra e la sfera passava da un giocatore all’altro senza che finisse ai piedi dell’avversario, sfinendolo nella rincorsa al portatore di palla. Ci sono però dei distinguo tra le due squadre: gli olandesi seguivano i movimenti dei compagni, i blaugrana la palla; gli olandesi erano forti fisicamente, i blaugrana sopperivano la mancanza di physique du rôle con un giro palla da antologia; gli olandesi pressavano, i blaugrana sfiancavano l’avversario che li pressava. Sicuramente entrambi gli stili di gioco hanno sfruttato il momento: vivaio e tecnica, perché se non ci fossero stati quei giovani di talento e l’allenatore giusto non ci sarebbero stati né il Calcio totale né il tiki taka. Grazie ai Rinus Michels e ai suoi ragazzi, il calcio si divide in prima e dopo il 1974: Michels era conscio di aver cambiato il calcio. Il Calcio totale fu un fulmine a ciel sereno in un mondo calcistico allora ancorato al vecchio modo di intendere quello sport, tra il Sistema ed il Metodo. Peccato che sia ricordato anche come un modo di vedere il calcio in maniera troppo altezzosa e perdente. Ma un’”altezzosità” ed un concetto di “perdente” che cambiarono il calcio per sempre.
Fu una rivoluzione tecnica, tattica e morale quella operata da Michels, il quale ribaltò il calcio. L’Ajax e la Nazionale olandese erano il fiammifero acceso in un’epoca dove ovunque c’era “benzina” (leggasi “voglia di cambiamento”) ed illuminarono la strada di un calcio che doveva essere svecchiato. Due squadre iconiche ancora oggi emulate e ricordate, nonostante gli Orange si siano fermati due volte ad un passo dalla gloria mondiale. Alla faccia di chi ha vinto qualcosa finendo poi nel dimenticatoio del calcio mondiale . Ah per la cronaca: Rinus Michels, nel 1999, è stato nominato dalla FIFA “allenatore del secolo”. Quel Rinus Michels ingaggiato nel 1965 dall’Ajax per non farlo retrocedere.