Football Legend il Barcellona dream team
Nello sport, la parola “dream team” (trad. squadra da sogno), fa volare la mente alle Olimpiadi di Barcellona 1992 e alla squadra americana di basket: quel quintetto vinse a mani basse la medaglia d’oro (otto vittorie in otto partite, 938 punti realizzati, 588 subiti) componendosi non solo del basket americano migliore del tempo, ma del meglio del basket di sempre: Christian Laettner, Patrick Ewing, Larry Bird, Scottie Pippen, Karl Malone, John Stockton, Charles Barkley, “Magic Johnson” e, soprattutto, il più forte giocatore di sempre, Michael Jordan.
Ma anche il calcio ha avuto il suo “dream team”, la sua squadra da sogno. Questa ebbe il suo apogeo, ironia del caso, proprio nel 1992. Stiamo parlando del Barcellona di Johan Cruijff.
Fino agli anni Ottanta, il Barcellona non era una potenza calcistica come adesso: aveva vinto dieci titoli nazionali, venti Coppe del Re, una Supercoppa spagnola ed in Europa aveva vinto solo due Coppe delle Coppe e tre Coppe delle Fiere (la “nonna” dell’attuale Europa League) oltre ad aver perso una finale di Coppa dei Campioni e di Coppa delle Coppe. Poca roba nonostante fosse, già allora, una squadra con molti estimatori nel Mondo.
Nel 1988, a Barcellona, qualcosa però cambiò: atterrò sotto la Sagrada Famìlia uno degli allenatori più innovativi del tempo, nonché uno dei giocatori più forti ed iconici della storia del calcio: Johan Cruijiff. Compito dato al tecnico di Betondorp: far diventare i blaugrana un top team mondiale.
Il fu “Profeta del gol” ad appena un anno dal ritiro, nel 1985 si era lanciato nel Mondo del coaching e partì proprio dall’Ajax: con il club aiacide, in tre stagioni, vinse due Coppe d’Olanda consecutive ed una Coppa delle Coppe grazie anche a giocatori molto forti ed uno in particolare che (ironia del caso un’altra volta), nel 1992, raggiungerà Cruijff nella classifica dei giocatori premiati tre volte con il Pallone d’oro, Marco van Basten.
Cruijff rimase a Barcellona come entrenador per otto stagioni ed in quel lasso di tempo la squadra blaugrana vinse tutto: quattro campionati consecutivi (interrompendo la manita consecutiva di titoli del Real Madrid), una Coppa di Spagna, tre Supercoppe di Spagna, una Coppa delle Coppe ed una Supercoppa europea. Il punto più alto però fu la vittoria della Coppa dei Campioni, il 20 maggio 1992 a Wembley, contro la Sampdoria dei “gemelli del gol” Vialli-Mancini.
Prima di parlare di quella squadra da sogno, merita una menzione l’ideatore in campo di quella stessa squadra da sogno, lo stesso Hendrik Johannes Cruijff.
Johan Cruijff è considerato come uno dei calciatori più forti della storia del calcio mondiale, il top level tra la seconda metà degli anni Sessanta e tutti gli anni Settanta, diventando l’emblema dell’Ajax e dell’Olanda del Calcio totale.
Di famiglia per nulla benestante, Cruijff a 16 anni era già la punta di diamante delle giovanili biancorosse e l’anno dopo debuttò in Eredivisie, la massima serie olandese. Non era un grandissimo Ajax, ma cambiò tutto con l’arrivo di Rinus Michels nel 1965, già ex giocatore in passato dei biancorossi. Con l’avvento di questo allenatore, i lancieri si affermarono come una delle squadre più forti dell’epoca: tra il 1965 ed il 1973, la squadra vinse sei titoli nazionali, quattro Coppe d’Olanda, tre Coppe dei Campioni consecutive (nel 1971, 1972 e 1973), una Supercoppa europea (nel 1973 contro il Milan) e la Coppa Intercontinentale (nel settembre 1972) contro gli argentini dell’Independiente de Avellaneda. La squadra, inoltre, perse la finale nel 1969 contro il Milan. Era l’Ajax del Calcio totale, un nuovo concetto di calcio che aveva stupito il Mondo pallonaro. Prima del tris 1971-1973, l’ultima squadra europea ad aver vinto almeno tre Coppa dei Campioni consecutive era stato il Real Madrid.
Michels, a dire il vero, allenò gli aiacidi fino al 1971, lasciando poi il posto al suo vice Ștefan Kovács che portò il Totaalvoetbal ai massimi livelli mondiali.
Cruijff, maglia numero 14 sulla schiena quando i numeri di maglia andavano dall’1 alll’11, era il talento più cristallino di quella squadra, nonché il capitano ed il totem. Capello lungo e piedi fatati, era amato da tutti, aveva estimatori in tutto il Mondo e grazie alle sue giocate entrò nell’immaginario collettivo come il “Profeta del gol”.
Nell’estate 1973, Cruijff chiese di essere ceduto perché i suoi compagni di squadra non lo avevano rieletto capitano e, grazie alle conoscenze manageriali del suocero Cor Coster che divenne il suo agente e “consigliere economico”, il giocatore si spostò in Spagna.
Nell’estate 1973, con l’apertura delle frontiere spagnole, lo volle assolutamente al Real Madrid, squadra di cui era tifoso Francisco Franco. Cruijff declinò l’invito e si accasò al Barcellona, rivale storico (e politico) delle merengues: il cartellino del giocatore costò alle casse blaugrana oltre 1 miliardo di lire e il giocatore volle mantenere la parola data all’allora presidente Augustì Montal. Il giocatore si fece assicurare le gambe dai Lloyd’s per una cifra altrettanto alta.
Con i blaugrana, Cruijff perse la “14” in favore della “9”, ma la classe non gli mancò. Non era capitato nel miglior Barcellona della storia, ma, forse sarà un caso, al termine della sua prima stagione in Catalogna, iniziata per lui solo a fine ottobre e con la squadra quasi al fondo della classifica, il Barça vinse la Liga a distanza di ben quattordici anni dall’ultimo successo. Nelle cinque stagioni in camiseta blaugrana, Cruijff si aggiudicò il suo secondo e terzo Pallone d’oro (1973 e 1974), diventando il primo a fare il tris: Michel Platini lo eguaglierà nel 1985, Marco Van Basten nel 1992, Lionel Messi nel 2011 e Cristiano Ronaldo nel 2014.
Cruijff lasciò il Barcellona nell’estate 1978 anche perché quell’anno Montal, colui che lo aveva portato al Nou Camp, perse le elezioni della presidenza del club. In cinque stagioni, con l’”olandese volante” (soprannome datogli dalla stampa dopo un suo gol…volante contro l’Atlético Madrid), il Barcellona vinse una Liga ed una Coppa di Spagna
Decise di ritirarsi, ma Cruijff fu “obbligato” da tutto il Mondo a tornare ad indossare gli scarpini. Sbarcò negli Usa nella munifica NASL, il campionato di calcio del Nord America, un po’ cimitero degli elefanti ed un po’ un campionato-spettacolo, dove si cercava di far conoscere agli americani il gioco del soccer.
Cruijff giocò due partite amichevoli con i New York Cosmos e poi si accasò con i Los Angeles Aztecs e l’anno dopo ai Washington Diplomats: in due anni segnò ventiquattro reti, portando a casa molti soldi non però vincendo nulla. Ma il calcio yankee non era come quello europeo e allora il giocatore, non sentendosi ancora pensionabile, decise di ritornare nel Vecchio continente.
Dopo un tempo giocato con il Milan nel Mundialito 1981 ed una fugace apparizione ancora con i Diplomats e con i valenciani del Levante, Cruijff tornò in Olanda nel 1982 e dopo tre stagioni decise di ritirarsi: con le maglie di Ajax (due stagioni) e Feyenoord (gli arci-rivali della squadra di Amsterdam) vinse ancora due titoli nazionali ed una Coppa d’Olanda.
Ma uno che aveva dato tanto al calcio in campo, non poteva non dare anche qualcosa dalla panchina e così, nel giugno 1985, a neanche un anno dal suo ritiro, venne chiamato al posto di Leo Beenhakker come allenatore dell’Ajax, Con l’ex numero 14 “in panca”, il club di Amsterdam vinse due Coppa d’Olanda consecutive ed una Coppa delle Coppe nel 1987, tornando a riaprire la bacheca europea del club dopo quattordici anni di attesa. Un’altra volta, il numero 14 entra di prepotenza nella storia di Cruijff.
Si imposero all’attenzione, sotto la sua guida tecnica, giocatori che tra gli anni Ottanta e Novanta si fecero apprezzare in tutta Europa: Ronald Koeman, Frank Rijkaard, Aron Winter, John van ‘t Schip, Danny Blind, John Bosman, Denis Bergkamp e Marco Van Basten.
Cruijff aveva le idee chiare: se aveva rivoluzionato il calcio in campo, voleva rivoluzionarlo anche dalla panchina.
Gli anni Ottanta in Spagna videro il dominio (solito) del Real Madrid, ma anche la forza della squadra basche che, con Real Sociedad e Athletic Club, vinsero quattro titoli nei primi anni quattro anni degli anni ‘80. Il Barcellona, come al solito, arrancava: tra il 1980 ed il 1987, i blaugrana vinsero un titolo e tre volte arrivarono secondi.
Nel 1988 il Presidente del Barcellona Josep Lluís Núñez decise di portare in Catalogna Cruijff, con la speranza che potesse far tornare grande il Barcellona.
Cruijff accettò l’offerta e da quel momento la storia del club catalano cambiò radicalmente e se oggi è un top team mondiale, esempio per tanti ed invidiato da tutti, lo si deve alle stagioni con il tecnico olandese in panchina.
Il fu “Profeta del gol” iniziò a plasmare il vivaio, ponendolo al centro di tutto il suo progetto: la Masia, sede del settore giovanile, istituita nel 1979, divenne il punto centrale di tutto il sistema Barcellona. E per prima cosa tutte le squadre giovanili, dalla “Primavera” ai “pulcini”, dovevano giocare con lo schema della prima squadra, puntando tutto sul giocare bene a scapito (magari) dei risultati. I dogmi erano tre: possesso palla, movimento, velocità.
Quel Barcellona era stato costruito per vincere, tanto da tesserare i migliori giocatori spagnoli (Andoni Goikoetxea, Miquel Soler, José Maria Bakero, Txiki Begiristain, Eusebio Sacristán, Ricardo Serna, Fernando Muñoz, Sergi, Luis María López Rekarte, Julio Salínas, Miguel Ángel Nadal) ed internazionali dell’epoca (Hristo Stoičkov, Ronald Koeman, Michael Laudrup, Romario, Richard Witschge, Luis Figo), facendo entrare in prima squadra una bella nidiata di talenti (Ferrer, Amor, Óscar e Josep Guardiola su tutti).
Cambiarono i modi di allenamento, cambiò il concetto di calcio praticato fino ad allora. Il pensiero calcistico di Cruijff era riassumibile in poche parole: semplicità, velocità, triangolazioni, palleggio. Non c’era una punta vera (il classico numero 9), i difensori avevano libertà di movimento in avanti e i terzini diventavano all’occorrenza esterni di centrocampo.
Tra il 1988 ed il 1992, il club catalano vinse due titoli nazionali una Coppa di Spagna, due Supercoppe di Spagna ed una Coppa delle Coppe (contro la Sampdoria).
Quando il Barcellona divenne “dream team”? Il 20 maggio 1992 a Wembley: quel mercoledì sera il Barcellona divenne il top del calcio mondiale dell’epoca.
Il percorso che vide Guardiola e compagni arrivare a Wembley vide l’eliminazione, una dopo l’altra, di Hansa Rostock, Kaiserslautern e la vittoria della fase a gironi davanti a Sparta Praga, Benfica e Dinamo Kiev.
L’avversaria dei blaugrana, in finale, era una squadra che in quattro anni aveva fatto vedere cose pregevoli, vincendo sia in Italia (uno scudetto, tre Coppe Italia, una Supercoppa italiana, una Coppa delle Coppe) sia Europa (una Coppa delle Coppe, oltre ad una finale persa proprio contro il Barcellona): la Sampdoria, già affrontata tre stagioni prima nella finale di Coppa delle Coppe a Berna.
Chi avrebbe vinto quella sera, avrebbe vinto il trofeo per la prima volta nella sua storia.
Cruijff schierò Zubizzareta in porta; difesa a quattro con Nando, Ferrer, Koeman e Juan Carlos; a centrocampo Bakero, Salinas, Guardiola, Sacristan e davanti Stoichkov e Laudrup.
Fu una finale molto combattuta tanto che si andò ai supplementari: era la quarta volta nella storia che succedeva.
Anche l’extra-time sembrava terminare a reti inviolate, se non che, al minuto 112, per un fallo di Invernizzi su Sacristan, l’arbitro tedesco Schmidhuber diede un calcio di punizione. La palla distava 30 metri dalla porta: tanti metri, ci voleva uno specialista nei tiri forti e decisi. Quel qualcuno fera Koeman. Tiro, gol. Pagliuca non poté farci nulla.
La partita si chiuse otto minuti dopo ed il Barcellona divenne la diciannovesima squadra a vincere il trofeo, la seconda spagnola dopo il Real Madrid e capace di portare il trofeo in terra iberica dopo 26 anni di attesa
Cruijff divenne inoltre il terzo allenatore a vincere la “coppa dalle grandi orecchie” sia da calciatore sia come tecnico (dopo Miguel Muñoz e Giovanni Trapattoni).
Il Barça vinse poi la Supercoppa europea contro i tedeschi del Werder Brema, ma dicembre a Tokyo perse la finale di Coppa Intercontinentale contro i brasiliani del San Paolo.
I blaugrana giocavano un calcio unico ed incredibile e, sulla scia, della Nazionale di pallacanestro maschile degli Usa che, a Barcellona, vinse l’oro olimpico sconfiggendo la Croazia, anche il Barcellona venne nominato “Dream team”, una squadra da sogno, unica nel suo genere e nella sua tecnica.
I numeri erano incontrovertibili se gli Usa avevano vinto il loro decimo oro in dodici Olimpiadi cui presero parte, il Barcellona vinse la coppa più importante di tutte al secondo tentativo, dopo la sconfitta contro i rumeni dello Steaua Bucarest il 7 maggio 1986 (quando i catalani persero ai rigori trovandosi di fronte un implacabile Helmuth Duckadam parò tutti e quattro i rigori avversari).
L’anno dopo il Barça uscì agli ottavi di Champions League e in quello successivo arrivò in finale ancora una volta e ad Atene affrontò il Milan di Capello, una squadra che regnava sovrana in Italia e che voleva la consacrazione europea.
Le due squadre erano diverse, ma dotate di tecnica individuale incredibile. I favori del pronostico erano però tutti per i ragazzi di Cruijff, anche perché i rossoneri arrivarono alla partita con infortunati e squalificati. Lo stesso tecnico catalano, forse un po’ troppo in maniera arrogante e presuntuosa, si sbilanciò nel dire che la coppa l’avrebbe vinta ancora la sua squadra. Ed invece a vincere fu un grande Milan che si impose addirittura per 4-0, distruggendo il grande sogno di Cruijff.
Quella, diciamo, è stata l’ultima partita del “dream team” blaugrana.
Johan Cruijff lasciò la panchina barcelonista al termine della stagione 1995/1996 anche a seguito di alcuni problemi di salute. Dopo Barcellona, il fu “Pelé bianco” non allenò più dedicandosi ad altro, tra cui la nascita della sua fondazione in aiuto dei bambini bisognosi.
Il dado era però tratto e nel giro di pochissime stagioni, il Barcellona tornò ad essere competitivo anche se non arrivò più la Champions League. Eppure il vivaio diede giocatori importanti alla squadra ed arrivarono (come ai tempi di Cruijff) giocatori stranieri di livello altissimo.
Con gli anni Duemila, il Barcellona è diventato una squadra forte in campionato (dieci titoli nazionali e quattordici tra coppe e supercoppe nazionali) e una superstar europea con la vittoria di quattro Champions League, tre Supercoppe UEFA e tre Mondiali per club tutte nel giro di nove stagioni.
A vincere questi trofei furono tre tecnici cresciuti a “pane e Cruijff”: Frank Rijkaard, Pep Guardiola (che fece ben due triplete) e Luis Enrique.
Di questi tre, il vero erede fu Guardiola, portato dalla cantera in prima squadra nel 1990 da Cruijff e di cui divenne il fulcro del centrocampo per undici anni consecutivi.
Guardiola nel 2008 divenne allenatore ed in quattro sole stagioni, oltre a vincere ben quindici trofei tra Spagna, Europa e Mondo, realizzò nel 2009 il primo (e finora unico) sextuple della storia del calcio (vittoria nella stesso anno di campionato, Coppa nazionale, Supercoppa nazionale, Champions League, Supercoppa europea e Mondiale per club).
Guardiola plasmò un grande Barcellona in base ai dettami del tiki taka, ovvero il calcio pensato da Cruijff ma all’ennesima potenza. Per non parlare del fatto che sotto la sua guida tecnica, esplosero giocatori frutto del vivaio come Puyol, Busquets, Piqué, Pedro, Krikic ed i tre tenores, ovvero Messi, Iniesta e Xavi.
Questi tre giocatori andarono sul podio del Pallone d’oro nell’edizione 2010: per la prima volta, tre giocatori del Barcellona andarono contemporameamente sul podio del trofeo e per la prima volta nella storia furono tre giocatori cresciuti nel vivaio della stessa squadra.
Ancora oggi Guardiola (che ha continuato a vincere con Bayern Monaco e Manchester City, senza però alzare più la Champions) è considerato un maestro di calcio ed un “inventore”. Ma non ci sarebbe stato il tiki taka senza se non ci fosse Cruijff a porre le basi.
Il “filosofo di Santpedor” tempo dopo disse, in merito a Cruijff, due frasi passate alla storia: “Johan Cruyff ha dipinto la cappella Sistina, io e tutti gli altri allenatori abbiamo solo aggiunto qualche pennellata”; “Prima di conoscere Cruijff non sapevo nulla di calcio”.
Detto da uno che era il fulcro del centrocampo del “dream team” non poteva solo che essere vero.