Cosa accomuna Livorno e Bari? A parte il fatto che sono entrambe sul mare, niente. Eppure queste due città, calcisticamente, possono annoverare due curve molto calde e vicine alle sorti della squadra amaranto e dei “galletti”. I tifosi livornesi e baresi hanno un tratto comune, rappresentato da un giocatore che ha scritto la storia dei due club, dei toscani in particolar modo. Un giocatore che dalle parti del “Picchi” è un’Istituzione, un uomo che ha rifiutato contratti miliardi per stare vicino alla sua gente, quella gente (o meglio, i tifosi) che lo ha trattato come un figlio adottivo sebbene sia nato a Rimini, altra città di mare. Lo spazio “Football Legend” di questa settimana è dedicato allo “zar del calcio italiano”, Igor Protti. Classe 1967, Igor Protti ha scritto una pagina importante di calcio non solo nelle città di Santa Giulia e San Nicola, ma anche a livello nazionale. Un giocatore poco mediatico, ma molto, molto efficace. Attaccante dal fisico minuto, come tutti ha mosso i primi “calci” nella squadra della propria città, il Rimini, che tra il 1983 ed il 1985 militava in Serie C1 ed era allenato da Giuseppe Materazzi, uno che è stato importante nelle varie fasi della carriera di Protti. Si diceva un gran bene del giovane Igor, tanto che si interessò il Milan. Allora non era un Milan stellare, ma era pur sempre il Milan. L’affare con i rossoneri saltò (si parlava di Primavera) si spostò dalla parte opposta di Rimini, a Livorno. Il sodalizio amaranto, nobile decaduta del calcio italiano, giocava anch’esso nella terza serie nazionale. Nessun miglioramento per lui, ma gli anni nella città della fortezza lo fecero apprezzare per l’attaccamento e per la devozione all’impegno. E dalle parti del “Picchi”, dopo quattordici anni consecutivi di Serie C, si iniziò a capire che quel giovane con il nome di battesimo russo poteva essere colui che avrebbe potuto far tornare grande la “triglia”.
Protti fu aggregato alla Primavera e si distinse per un cosa per cui i tifosi livornesi vanno pazzi: segnare nel derby contro il Pisa, per di più nel recupero. Fu amore a prima vista, reciprocamente: mai aveva visto tanta gente sugli spalti, mai i supporter livornesi avevano visto, nel recente passato, un giocatore con il suo potenziale.
Rimase a Livorno tre stagioni ed iniziò a prendere confidenza con il calcio di provincia, segnando complessivamente una decina di reti. Il club amaranto allora non navigava in buone acque economiche e al termine della stagione 1987/1988 dovette cedere Protti alla Virescit di Bergamo, altrimenti avrebbe rischiato di non partecipare al successivo campionato di C1. Protti capì ed accettò: era grato al Livorno per averlo formato e non voleva che la squadra non potesse scriversi per “colpa” sua.
A Bergamo fece bene segnando dieci reti, la stagione successiva passò al Messina, in Serie B. Non c’era nulla da fare: a Protti piaceva il mare e in riva allo Stretto arrivò alla corte di mister Scorsa che, ceduto Schillaci alla Juventus, trovò nel ragazzo romagnolo l’attaccante giusto per fare i gol pesanti. Protti trovò continuità e divenne importante negli schemi di Scorsa, Materazzi e Colautti, ma al termine della stagione 1991/1992 il club giallorosso retrocesse in C1. Come a Livorno, in riva allo Stretto i soldi erano pochi e il club dovette cedere il giocatore.
Protti lasciò il mar Tirreno per salpare in riva all’Adriatico, accettando l’offerta del Bari: era sempre Serie B, ma la squadra del presidente Matarrese voleva la A dopo averla persa la stagione precedente. Dopo due stagioni, la squadra biancorossa tornò in massima serie anche se Protti segnò poco (quindici reti), ma poté giocarsi l’anno successivo la sua chance in Serie A. Era una bella squadra il Bari di quel periodo: Sandro Tovalieri, Joao Paulo, Kennet Andersson, Klas Ingesson tra i tanti, guidato in panchina da Giuseppe Materazzi. E poi quell’esultanza ad ogni gol che fece il giro del paese: il trenino. La stagione del debutto di Igor Protti in massima serie fu negativa per il Bari che si piazzò quindicesimo e ritornò tra i cadetti. Se la squadra fece male (nonostante essere stata l’ottavo attacco del torneo), Igor Protti fu però stratosferico: capocannoniere del campionato con 24 reti, in coabitazione con Giuseppe Signori della Lazio (al terzo successo in quattro stagioni), attaccante della Nazionale italiana. A 29 anni era al top della condizione.
Ah ecco, la Nazionale: uno che segna 24 reti il primo anno in Serie A della sua carriera come minimo deve ricevere almeno una convocazione in Nazionale. Ma per il Ct Sacchi Protti non esistette: va bene che aveva a disposizione attaccanti forse più forti, ma un capocannoniere si convoca ugualmente.
E uno che aveva segnato 24 reti e vince la classifica marcatori, non poteva che rimanere in A: passò per 7 miliardi alla Lazio di Zdeněk Zeman. Per Igor Protti la prova del 9: giocare da titolare in una squadra offensiva con un attaccante offensivo come il boemo. Doveva andare all’Inter, scelse una squadra in crescita e con una tifoseria molto calda.
Ma qualcosa non filò liscio: la squadra non girò, il rapporto con il tecnico non fu rose e fiori e solo con l’allontanamento di Zeman e l’arrivo di Zoff si poté dare una svolta alla stagione di Protti in biancoceleste, con la squadra che si piazzò quarta in classifica. Segnò sette reti, tra cui quella nel derby del 4 maggio 1997 al 91′ che pareggiò il vantaggio romanista di Balbo.
La Lazio decise di girare il 30enne Protti al Napoli, sempre in Serie A e ancora di fronte al mare. Protti fu però sfortunato: quattro reti e partenopei che si classificarono all’ultimo posto in classifica e retrocedettero in B dopo trentatre anni. Una stagione molto deludente che vide anche quattro allenatori avvicendarsi sulla panchina del club.
Tornato a Formello, con il mercato novembrino fu girato in prestito alla Reggiana in cadetteria. Dopo tanto mare, l’esperienza ai piedi degli Appennini ma anche lì i risultati furono grigi. Retrocessione in Serie C1 e otto reti segnate. A 32 anni la carriera di Igor Protti era ad un bivio: tornare competitivo o cercare fortuna nelle serie inferiori.
Qualcuno in lui credeva ancora, sia in A che in B, ma lui ringraziò tutti e si indirizzò verso “terrazza Mascagni”: volle proseguire quella storia d’amore interrotta undici anni prima, tornando al Livorno. Era l’estate 1999 e dalle parti del “Picchi” si giocava ancora in Serie C1 e fece una promessa a sé stesso, alla città e ai tifosi: ritornare in Serie B.
Sarà che aveva ora qualche anno in più rispetto ad suo primo addio, sarà che calcisticamente era più forte, saranno state l’aria del mare della fortezza, la tenacia e la sincerità dei livornesi, ma Igor Protti rimase al Livorno fino al termine della stagione 2004/2005, scrivendo la storia del calcio amaranto. Fu una scelta di suo pugno, non se ne pentì perché sapeva che doveva dare ancora tanto alla squadra e ai tifosi.
La prima stagione fu interlocutoria per lui (undici reti realizzate) e per la squadra (settimo posto), ma quella successiva fu quella che pose le basi per la promozione: Osvaldo Jaconi allenatore, ventidue reti segnate per Protti e sogni promozione livornesi interrotti solo contro il Como nella finale play off. La rabbia fu molta sapendo che bastava fare un passo in più.
E quel passo in più fu una grande passo per lui e per il Livorno l’anno successivo: 27 reti segnate e Livorno promosso in Serie B dopo trentadue di attesa. Quei gol diedero al numero 10 nativo di Rimini la palma di miglior bomber della stagione, anche se ancora una volta in coabitazione con un altro giocatore (Riganò della Fiorentina). Ma tant’è: Protti aveva promesso e Protti aveva mantenuto. E proprio quella stagione si cementificò una volta per tutte l’amore tra lui e la piazza.
La stagione 2002/2003 fu epica per Igor Protti: il Livorno si piazzò al decimo posto trascinato dalle 23 reti del suo numero 10 che gli permisero di vincere non solo la sua terza classifica marcatori consecutiva, ma, proprio con la vittoria della palma di re dei bomber cadetti, divenne il secondo giocatore italiano di sempre a diventare capocannoniere in Serie A, in Serie B e in Serie C. Prima di lui c’era riuscito solo Dario Hubner, un altro bomber di provincia che aveva fatto le cose in grande in provincia. Tutta l’Italia parlava di Igor Protti, di quel record unico in Europa e del Livorno, soprattutto.
La stagione 2003/2004 vide un regalo di Spinelli alla squadra e alla tifoseria: la firma di Cristiano Lucarelli, che tornò all’”ovile” rifiutando proposte miliardarie pur di tornare nella sua Livorno e nel suo Livorno. In pratica, il numero 99 del quartiere Shangai fece ciò che fece cinque anni prima lo stesso Protti: tornare dove era amato. Il tandem Protti-Lucarelli fu devastante quella stagione: 29 gol il livornese, quattro in meno lo zar. Sugli spalti del “Picchi”, i tifosi amaranto sognarono ad occhi aperti. L’anno successivo si concretizzò il Sogno: Livorno affidato a Walter Mazzarri, terzo nella classifica finale e promozione in Serie A. Dopo 55 anni, la città di Santa Giulia era tornata in massima serie. I tifosi andarono in visibilio per quella squadra guidata da quel numero 10 con il fisico mingherlino ma con un fiuto del gol come pochi. Protti aveva contribuito a dare alla città ciò che voleva: tornare nel calcio dei grandi. E farlo a 37 anni e con altre 24 reti segnate aveva un significato diverso.
E il Livorno nella stagione 2004/2005 si presentò ai nastri di partenza (oltreché con i tifosi in trasferta alla prima giornata a San Siro con il Milan tutti con in testa una bandana) con una squadra molto interessante con all’inizio Franco Colomba in panchina (Donadoni prese il suo posto alla 19a giornata) e giocatori di categoria: da Amelia a Galante, da Alessandro Lucarelli a Vigiani, da Vidigal ad un giovane Paulinho e davanti il tandem delle meraviglie formato da Cristiano Lucarelli e Igor Protti. Da una parte il bomber con il 99 e dall’altra il numero 10, il giocatore magico che con il suo piede aveva fatto vedere in tutto il Paese la sua arte. Il Livorno si piazzò al nono posto in classifica (terza miglior posizione di sempre fino al allora) e Lucarelli vinse la classifica marcatori del campionato, il primo con la maglia amaranto dai tempi di Mario Magnozzi (stagione 1924/1925). E a 37 anni Igor Protti si tolse lo sfizio di segnare ancora altre sei reti. E pensare che voleva ritirarsi all’inizio della stagione, ma l’amico Lucarelli e i tifosi glielo “impedirono”: tu ci hai portato in A e tu non ci abbandoni, vada come vada. Erano in cinquemila a chiederglielo.
La luce sulla carriera di Protti si spense il 22 maggio 2005 al “Picchi” nel match contro la Juventus cui aveva segnato il gol del momentaneo 1-1: al minuto 60′ lo stadio si alzò in piedi per omaggiare l’ultima uscita dal campo del suo beniamino che si sfilò la fascia di capitano e la legò per bene sul braccio di Lucarelli. A Livorno si chiuse una pagina di storia e se ne riaprì subito un’altra. Igor Protti oggi è il secondo giocatore del Livorno con più presenze, ma quello con più reti segnate.
Oggi il Livorno guida il campionato di Serie C e dall’addio di Protti ha giocato ancora cinque stagioni in A, sei in B e da tre stagioni milita nella terza serie nazionale. Nel mentre, la parentesi europea in Coppa Uefa della stagione 2006/2007 dopo il sesto posto in campionato la stagione precedente che vide la squadra di mister Daniele Arrigoni arrivare fino ai sedicesimi di finale partendo dal turno preliminare.
Igor Protti, l’idolo della curva e di una città intera, nel frattempo non era uscito dal calcio ma ci era rimasto alla grande, tanto da ottenere il patentino da allenatore e quello da direttore sportivo. La sua prima (e finora unica) esperienza “in giacca e cravatta” non poteva che essere al fianco dell’amico Lucarelli con il Tuttocuoio di San Miniato. Anzi, di Ponte a Egola frazione di San Miniato. L’esperienza, nella stagione 2015/2016, fu negativa, tanto che tutti e due furono esonerati.
Oggi lo zar di Livorno è il club manager del club amaranto, ma la città e la squadra hanno deciso che il nome del loro attaccante dovrà rimanere scolpito nei secoli: Igor Protti è cittadino onorario di Livorno dal marzo 2007 “per la sua luminosa carriera agonistica, ma anche per il suo impegno sociale e umanitario, che ne fanno un esempio e un modello di riferimento per i più giovani” (come recitò il comunicato del sito web della città toscana) e dal dicembre 2005 è stata ritirata la maglia numero 10 in segno di riconoscenza per ciò che aveva fatta con i colori amaranto. Per volontà dello stesso zar, la maglia numero 10 del Livorno però è tornata “indossabile” (dopo due anni di “buco”) dalla stagione 2007/2008, quando andò sulle spalle di Francesco Tavano. Da quel momento a oggi, quel Numero lo hanno indossato capitan Luci (tre stagioni) e dal 2015 da Daniele Vantaggiato. Tutti giocatori che hanno fatto la storia recente del club, ma mai nessuno come Protti.
E le sue città lo hanno insignito di menzioni degne di nota: dal riminese “Sigismondo d’oro” (nel 2003) alla doppia cittadinanza onoraria di Livorno e Bari concessagli a distanza di un giorno l’una dall’altra.
Ma è a Livorno che c’è stata la simbiosi tra Protti, la città e la tifoseria: come non essere idolatrati dopo 9 stagioni complessive, 144 reti segnate, due promozioni ottenute, tre classifiche marcatori vinte consecutivamente, il record di diventare re dei bomber in tutte le serie professionistiche con la maglia amaranto, la maglia numero 10 ritirata e una città che lo ama come una divinità pagana? Igor Protti fa parte di quella schiera di uomini che hanno deciso di rimettersi in gioco e che, nonostante fossero stati dati per “bolliti”, si sono rimboccati le maniche e hanno dato lustro alla propria squadra, entrando nel cuore dei tifosi. In ognuno, dal primo all’ultimo.
Vista la carriera di Igor Protti, si può dire che al calcio moderno manca una cosa importante: l’essere una Bandiera, giocatore che ha scritto la storia di un club per tanti anni con indosso una maglietta leggera colorata che per i tifosi equivale ad un qualcosa di intoccabile e a cui portare rispetto. Questa è stata la storia del “principe del gol” Igor Protti, riminese trapiantato a Livorno: bomber nato in riva al mare e che nelle città di mare ha regalato emozioni a non finire. Amante del tifo caloroso e della coppia Rivera-Zico. Questa è stata la storia di un attaccante dal fisico minuto che si è concesso alla beneficenza nei confronti delle persone disabili e che è stato testimonial dell’Unicef.
Questa è stata la storia di colui che è stato la quintessenza del calciatore che deve tutto alla provincia e che lui alla provincia ha dato il meglio di sé: dedizione, passione, amore per la maglia e rispetto verso i tifosi. E poi quell’amore viscerale per Livorno, la sua Livorno che lo ha battezzato “capo degli ultrà” nonostante non fosse in Curva Nord a cantare ma in campo a segnare.
E pazienza se ha sempre visto giocare la Nazionale davanti alla televisione.