La stagione 1995/1996 vide, per la prima volta Italia, l’assegnazione delle maglie personalizzate per ogni calciatore: riprendendo l’usanza già in atto da due stagioni in Premier League, ogni calciatore di Serie A (e di B) avrebbe avuto da allora in avanti un numero di maglia fisso da 1 a 99 e sulla schiena il proprio cognome o soprannome. Addio calcio nostalgico con i numeri da 1 a 11 dove l’1 era il portiere, il 5 lo stopper, il 7 il centrocampista centrale, il 10 il fantasista, il 9 il bomber e l’11 l’ala.
In quella stagione anche la Roma non poté esimersi da quella svolta epocale. Di tutti i giocatori ad oggi in attività, Francesco Totti è l’unico ad esserci in quella stagione: quell’anno ebbe la 20, il successivo la 17 e, dal campionato 1997/1998 a oggi, la maglia numero 10. Un record di costanza, fede e amore per una maglia che nella città capitolina, sponda giallorossa, è una Religione.
IL PRINCIPE GIANNINI
Prima del “pupone”, solo due giocatori romanisti ebbero l’onore di avere “cognome+10” sulla loro schiena: Giuseppe Giannini e Daniel Fonseca, entrambi per una stagione. Ma tra i due ex giocatori, Giannini è colui per cui i tifosi hanno più nostalgia ed è colui che ha segnato un’epoca per la squadra capitolina, il “principe”. Capello lungo, sguardo da ragazzino, piedi fatati e tempi di gioco perfetti per colui che ha incarnato per quindici stagioni lo spirito giallorosso.
Romano del quartiere Trieste, Giannini ha vestito la maglia della Roma 436 volte segnando 75 reti. Esordì in Serie A il 31 gennaio 1982 contro il Cesena e nel campionato 1984/1985 segnò la sua prima rete in massima serie e fu la Juventus la sua prima vittima. Frutto del vivaio capitolino, con la “lupa” vinse anche il torneo giovanile di Viareggio nel 1983 e l’anno successivo il campionato Primavera con alla guida Romeo Benetti. Giocatore preciso e con una buona visione di gioco, Giannini divenne presto l’idolo della “Sud” che vide in lui l’erede designato di Paulo Roberto Falcão: quando divenne capitano molti rividero in lui l’eleganza dei movimenti di Agostino di Bartolomei. Insomma, Giannini è stato da sempre un predestinato.
‘PICCOLA’ ROMA
Giannini ebbe la “colpa” di giocare in una Roma non esaltante (con il “principe” titolare, la Roma arrivò due volte seconda ed una volta terza, ma anche tre volte quinta, tre volte settima ed una volta decima), anche se riuscì a vincere tre Coppe Italia e a disputare la finale di Coppa UEFA contro l’Inter nella stagione 1990/1991, vinta poi dai milanesi. Memorabile la sua tripletta nella finale di ritorno della Coppa Italia 1992/1993 contro il Torino che non bastò a consegnare la coppa ai giallorossi di mister Vujadin Boškov per il computo dei gol in trasferta.
Sono ricordate ancora oggi le sue giocate ed i suoi tocchi eleganti che lo hanno reso, negli anni Ottanta, uno dei migliori fantasisti italiani. La sua tecnica non passò inosservata, tanto che Azeglio Vicini, allenatore tra il 1986 ed il 1992 prima della Nazionale Under 21 e poi di quella maggiore, lo tenne sempre in grande considerazione. Perla degli “azzurrini” vice campioni d’Europa nel 1986, Giannini con l’Under segnò la sua unica rete nella finale contro la Spagna, sbagliando poi nella lotteria dei rigori.
IN NAZIONALE
La consacrazione definitiva a livello nazionale di Giannini furono i Campionati del Mondo che si tennero in Italia nel 1990: nonostante l’atipica maglia numero 13, Giannini era la ciliegina sulla torta di una squadra ricca di talenti e fantasisti. Nella kermesse di Italia ’90, il “principe” segnò anche una rete contro gli Stati Uniti nel “suo” Olimpico nella fase a gironi. Giannini ai piedi di Roma, Roma ai piedi del suo “principe”. Un amore che non si è mai scisso anche dopo che lo storico numero 10 decise, nell’estate del 1996, di salutare la società giallorossa e fare ciò che stavano iniziando a fare molti suoi colleghi: andare a giocare all’estero. Si disse che l’addio del regista fu dovuto alle critiche ricevute dall’allora Presidente Sensi dopo un errore dal dischetto in un derby.
ALL’ESTERO
Giannini varcò il Brennero e giocò una stagione nello Sturm Graz allenato da Ivica Osim. La sua stagione con la squadra bianconera non fu altamente esaltante, anche se vinse la Coppa nazionale contro il Rapid Vienna e la Supercoppa contro i Campioni d’Austria dell’Austria Salisburgo. L’anno dopo tornò in Italia e la sua stagione in Serie A si divise in due parti: primi sei mesi al Napoli con Bortolo Mutti Carlo Mazzone, a gennaio al Lecce. I salentini retrocessero (come il Napoli), ma lui giocò anche la stagione successiva in cadetteria e fu uno degli artefici del pronto ritorno in A dei giallorossi. Con la promozione in massima serie del Lecce, Giannini si ritirò dal calcio.
L’ADDIO
Il suo addio (definitivo) al calcio avvenne il 17 maggio 2000. La città di Roma (l’altra metà) era su di giri per la vittoria tre giorni prima del secondo scudetto degli arcirivali della Lazio. La sua ultima partita, ad un anno dal ritiro, vide di fronte una Roma di vecchie glorie (tra gli altri Franco Tancredi, Bruno Conti, Herbert Prohaska e Rudy Voeller) ed alcuni giocatori reduci di Italia ’90 (Stefano Tacconi, Gianluca Vialli, Andrea Carnevale e Salvatore Schillaci). Giannini avrebbe dovuto giocare un tempo con ciascuna squadra. “Avrebbe”, in quanto ne giocò solo un tempo: nell’intervallo l’ex 10 giallorosso fece un giro di campo, ma poi successe l’incredibile. Alcuni tifosi entrarono in campo indisturbati, vista anche la scarsità di forze dell’ordine (chi pensava che una partita di addio al calcio avrebbe avuto bisogno di poliziotti in antisommossa?) e strapparono l’erba del campo, ruppero tutto impedendo la disputa della ripresa. Giannini e gli altri giocatori fecero un appello affinché tutto tornasse alla normalità. La partita più attesa di Giannini era durata 45 minuti e finì con un fuggi-fuggi generale e con il giocatore abbracciato ai suoi ex compagni Bruno Conti e Francesco Totti.
DA ALLENATORE
Quattro anni dopo Giannini iniziò ad allenare. La prima squadra fu il Foggia, allora militante in C1, ma fu esonerato dopo metà torneo. Nella stagione 2005/2006 fu il tecnico della Sambenedettese, sempre nel terzo torneo nazionale, e dopo sette partite (e nessuna vittoria) venne sollevato dall’incarico. L’anno dopo prese armi e bagagli e tentò la carta estero: Romania, destinazione Argeș Pitești, massima serie nazionale. Ma anche nella cittadina dei tulipani le amarezze furono tante e anche in quel caso venne esonerato, in quanto in dieci partite conquistò solo tre punti, frutto di una vittoria e nove sconfitte.
Un altro al suo posto avrebbe abbandonato la carriera, ma il “principe” non mollò e si rimise subito in discussione, accettando la proposta della Massese, Serie C1. Stagione travagliata per i toscani e Giannini che venne ancora esonerato in due momenti diversi della stagione: il primo dopo un inizio negativo e poi, dopo essere stato richiamato, per alcune divergenze con la dirigenza bianconera. Non c’era pace per il (fu) “principe”: fantastico in campo, disastroso in panchina.
E nella stagione 2008/2009 accettò la proposta di allenare, ancora in Lega Pro, il Gallipoli. Finalmente i risultati arrivarono e furono clamorosi: promozione a fine stagione in Serie B per i salentini. Giannini idolo di una piazza che per la prima volta assaporava il secondo campionato nazionale. Giannini però intuì che qualcosa in quella società non andava dal punto di vista economico e si dimise. La nuova dirigenza subentrata alla precedente sembrò più solida e lo richiamò.
Ma dopo un girone di andata discreto, la situazione precipitò in tardo inverno: i salentini facevano la doccia fredda negli spogliatoi, non c’erano soldi, Giannini litigò con la presidenza e a marzo si dimise definitivamente. In estate il Gallipoli fu dichiarato fallito e dovette ripartire dalla Promozione, mentre Giannini si accasò ancora in Lega Pro, all’Hellas Verona. Ma il destino era segnato anche in riva all’Adige: dopo la sconfitta con la Salernitana alla settima giornata, Giannini fu esautorato e sostituito da Andrea Mandorlini.
Nonostante il curriculum vedeva solo esoneri, Giannini nell’estate 2011 divenne l’allenatore del Grosseto in B, ma dopo sei giornate (e tre sconfitte) il vulcanico presidente Camilli lo esonerò. Nel maggio 2013, la Nazionale di calcio del Libano era senza allenatore dopo le dimissioni del tedesco Theo Bucker che non era riuscito a qualificare la Nazionale araba a Brasile 2014. La Federcalcio libanese cercò, quindi, il nome esotico e chiamò a Beirut proprio Giannini. La scelta fu bocciata dai media locali in quanto l’ex numero 10 romanista non aveva un buon pedigree come allenatore. Fatto sta che Giannini accettò e firmò un biennale.
Con la Nazionale libanese i risultati furono mediocri, visto che rimase in carica giusto due anni e, in 14 partite, conquistò tre vittorie, sei pareggi e cinque sconfitte. Il Libano non si qualificò per la Coppa d’Asia che si tenne in Australia nel 2015 e Giannini fu esonerato. L’esperienza nella “terra dei cedri” è l’ultima che vide il “principe” in panchina.
Nel mentre, Giannini ha avuto anche alcuni problemi con la giustizia: accusa di frode sportiva quando allenava il Gallipoli ed indagato in un’operazione anticamorristica contro un potente clan. Tornando al Giannini principe del centrocampo romanista, l’ex numero 10 del quartiere Trieste nel 2013 è entrato nella hall of fame del club romanista. Se il “principe” è stato un disastro in panchina, a distanza di anni è ricordato ancora con affetto e passione dai suoi vecchi tifosi per quanto fece sul campo da gioco. Ma anche quelli più giovani sono cresciuti “a pane e Roma” anche sentendo genitori e nonni parlare di quel ragazzino che aveva debuttato a 17 anni in Serie A e che aveva fatto innamorare un’intera tifoseria che vive il calcio in maniera più che mai maniacale e che vive di calcio 25 ore su 24.
GIALLOROSSO NEL CUORE
La Roma giallorossa è nota per il suo attaccamento alla maglia e agli ex giocatori gloriosi. Giannini lo è stato a pieno titolo, anche perché non si scrive uno striscione come ““Facile amarti, impossibile dimenticarti” (apparso nella sua partita di addio) al primo venuto.